Simone è solo nella sua stanza, ma accanto a lui c'è un'assenza così presente da farsi quasi materia. Un'assenza che è ricordo, un ricordo che si fa sospiri, carezze, baci, due nomi sussurrati come una nenia, come se tutte le altre parole conosciute fossero state dimenticate in favore dell'unica davvero importante.
È passata una settimana da quella notte calda e umida di fine agosto: era appena tornato da Glasgow, dove aveva passato quasi un mese con sua madre, e Manuel si era precipitato a casa sua come se non aspettasse altro. Non c'erano state grandi cerimonie, ma nel sorriso luminoso dell'altro e nell'offerta di una sigaretta nel loro posto, Simone aveva letto tutto quello che desiderava.
Si sarebbe dichiarato già soddisfatto così ma poi, più tardi, nel buio della sua camera, aveva sentito Manuel arrampicarsi dal lettino più basso e poi aveva percepito il suo peso addosso, e il suo calore tutto intorno. Le labbra avevano catturato le proprie, prima timide, poi sempre più sicure.
"Ti sono mancato un po'?" aveva sussurrato Simone, e poi aveva colto la risposta silenziosa di Manuel nel cenno leggero del suo viso premuto contro il proprio e nei ricci che gli solleticavano la pelle.Quella prima volta strana e frettolosa sotto il cantiere della scuola era stata già bellissima per il cuore innamorato di Simone, ma per questa seconda non esistevano parole. Nessun lemma del dizionario, nessuna poesia o canzone era abbastanza per descrivere la perfezione dei loro corpi uniti, finalmente, dopo tanto tempo passato a cercarsi, volersi, respingersi e ritrovarsi.
Tuttavia, quando la luce del mattino era giunta impietosa a strappare via il velo rassicurante del buio, l'incantesimo si era rotto, e Simone si era ritrovato solo. Un freddo sferzante e innaturale gli era penetrato nelle ossa, o forse era stato il suo stesso corpo a produrlo, perché non era più scaldato da quell'amore fuggitivo.
Manuel per tutta la settimana non aveva risposto ai suoi messaggi, che avevano più volte variato tono, dal preoccupato, al supplichevole, all'arrabbiato.
Ma adesso basta, si dice Simone; vuole andare a casa sua per affrontarlo. Afferra il cellulare, il casco e le chiavi del motorino, e in una ventina di minuti è già a destinazione.Bussa deciso sulla vetrata del garage, e sussulta al suono della sua stessa voce che chiama quel nome in modo così diverso dai sussurri dell'ultima volta.
Vede la testa di Manuel spuntare dalla porta appena aperta; sul suo viso nota un'espressione di disappunto, quasi di rimprovero, con le labbra serrate, accompagnata da un sospiro.
Tutta l'irruenza di Simone pare essere sbiadita: "come stai?" è l'unica frase che riesce a pronunciare.Manuel sbuffa una risata priva di allegria. Il solito Simone, pensa, sempre così buono e premuroso. Troppo, per lui. Non se lo merita.
"T'ho mollato da solo a letto, so' sparito e te me chiedi pure come sto?" ribatte, e il veleno nel suo tono cozza con il significato delle sue parole.
"Sì, te lo chiedo, perché mi interessa".
A me interessa tutto di te, ogni minuscolo, insignificante dettaglio. Vorrei conoscere ogni singolo pensiero che ti passa per la testa. Parlami, ti prego. Non tagliarmi fuori."E fai male, non te dovrebbe interessa'. È tempo perso, co' me."
Manuel spera che il ribrezzo che prova per se stesso si trasferisca a Simone come una malattia contagiosa. Si odia, perché non fa altro che infliggere dolore all'ultima persona al mondo che lo merita, e vorrebbe solo che l'altro si rendesse conto che non ne vale la pena.Simone sente una frustrazione indicibile farsi strada dentro di sé: perché Manuel deve buttare tutto via così? Sono stati così bene l'altra notte (perché lo sono stati, vero?), quindi perché non cogliere questa felicità che li aspetta come un frutto maturo sul ramo di un albero? È proprio lì, basterebbe allungare una mano. La stessa che muove in direzione di Manuel, a cercare il suo viso.
Ma lui non si fa raggiungere, non può. Non merita il tocco salvifico di quella mano pronta a sorreggerlo; deve tornare nell'inferno a cui appartiene, perché è l'unico luogo che gli si addice.
"No, basta" supplica, e fa per andarsene; vorrebbe raggiungere la sua moto parcheggiata fuori e fuggire via, come fa sempre, perché è l'unica cosa che sa fare. Ma una mano forte e salda, la stessa che ha appena respinto, lo trattiene."No, basta lo dico io. Tu adesso mi dici perché scappi sempre. Si può sapere di cosa hai paura?"
La stretta di Simone lo strattona e lo fa voltare: Manuel è un burattino nelle sue mani, perché è più piccolo e debole di lui non solo fisicamente, ma in ogni altro senso.
Manuel si lascia catturare come una preda inerme da quegli occhi grandi, contro i quali non può nulla; li fissa, atterrito, incapace di muoversi per lunghi secondi. Poi, alla fine, esplode.
"Di te, Simó, di te! Ho paura di innamorarmi di te".Il destinatario di quelle parole sgrana gli occhi, il respiro gli si blocca in gola. Non sa cosa dire, ma non serve formulare una risposta, perché Manuel è un fiume in piena che ha appena rotto gli argini.
"Tu neanche lo sai quello che me fai, non te ne rendi conto. Io non ho difese davanti a te, sono nudo, e lo sai che de levamme i vestiti non me vergogno mai, ma quando c'è di mezzo l'anima è un'altra storia. Quella notte, fuori scuola, te ricordi che t'ho detto?"
Simone racimola chissà dove la voce per rispondere. "Che...con me è diverso"."Ecco, e lo sai perché è diverso? Perché io quando stavo a letto co' Alice me sentivo un dio, il re del mondo, e invece quando so' stato co' te non sapevo manco più chi ero. Me sentivo prosciugato ma anche riempito, e non ero più padrone di me stesso, perché ormai ero in balia di te. C'avevo una paura tremenda, e la cosa più spaventosa era che volevo rifarlo. Come quando vai sulle montagne russe col giro della morte e te senti male ma poi vòi fa' un altro giro. Volevo scappare il più lontano possibile da te ma volevo anche portarti a casa mia, nel mio letto, e non farti uscire più da lì fino alla mattina dopo".
Simone assorbe tutto, incredulo, spiazzato.
"Perché mi stai dicendo queste cose?"
"Per farti capire che è meglio se me stai alla larga, Simó."
Simone è confuso da quel controsenso: come possono delle parole simili convincerlo ad allontanarsi da lui?
Manuel prosegue in quel suo monologo affannato, come se tutte le parole che non ha mai pronunciato stessero uscendo tutte insieme solo ora che gli è impossibile fermarle."Io te faccio solo male, pure se non vorrei mai, pure se me farei taglia' un braccio se servisse a non fatte soffrì. Lo faccio perché è la mia natura, perché è da quando so' nato che creo problemi alle persone a cui tengo, come co' mia madre. Capisci perché c'ho paura de continua' sta cosa tra noi? Perché se vado avanti non me riesco più a ferma', e te trascino giù co' me".
Simone a quel punto sta piangendo, lacrime silenziose gli solcano il volto.
"Manuel."
Quel richiamo cattura di nuovo lo sguardo del maggiore, che si era diretto altrove. È come Ulisse con le sirene: non può resistere, non ha mezzi per difendersi.
Una volta riconquistata la sua attenzione, Simone parla."Io ti amo."
Lo dice come se fosse un dato di fatto, una verità incontrovertibile, ma in qualche modo già scontata, ovvia.
Manuel barcolla leggermente all'indietro, come se quelle parole, in qualche assurdo modo, si fossero materializzate e lo avessero colpito. Il loro significato era già noto, ma l'altro ragazzo non l'aveva mai comunicato così chiaramente. Quella consapevolezza, nuova e vecchia, meravigliosa e terribile allo stesso tempo, divora lo stomaco di Manuel con una voracità folle, aiutata dal terrore che lo invade. Due bestie feroci che lo riducono a brandelli."No, non lo devi dire". Scuote la testa freneticamente.
"Sì, invece" replica Simone, dolce e testardo Simone. "E tu non ti rendi conto della bellezza di quello che mi hai detto. Nessuno mi ha mai dedicato parole del genere".
"No Simo, non capisci. Io non so restare. Non sono capace, io-"Simone gli prende il viso tra le mani. "Shh, basta. Io non mi priverò di qualcosa di così bello solo perché potrebbe andare male. Se c'è una cosa che ho imparato è che le cose belle possono svanire in un attimo e bisogna cogliere l'occasione finché si può."
Come succede sempre, le mani gentili di Simone raccolgono Manuel e lo portano in salvo, la sua voce lo guida al sicuro e ammansisce le belve. Il suo sguardo, che prima ha spogliato la sua anima, adesso la riveste, come un amante premuroso che ricopre con il lenzuolo il corpo che ha appena amato.
"Però...mi devi insegnare a restare" mormora Manuel, ancora titubante."Io non devo insegnarti proprio niente" sorride Simone. "Devi solo guardare cos'hai qui dentro". Gli poggia una mano sul petto, all'altezza del cuore. "Cosa c'è?" chiede ancora.
E a quel punto, in un'epifania sconvolgente nella sua semplicità, Manuel capisce. Non ha senso avere paura di qualcosa che è già successo."Tu. Ci sei tu."