6 ~ Vulnerabile

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Era trascorsa una settimana. Non mi sentivo con Daniele da una settimana.

Ogni volta che aveva cercato di contattarmi avevo rifiutato la chiamata, non avevo risposto ai suoi messaggi.

Sapevo che era ormai questione di giorni prima che me lo vedessi spuntare all'improvviso davanti, e davanti a tutti.
Allora lo avrei lasciato.

Lucia aveva ragione: non avrei neanche dovuto pensare di poterla tradire.

Ero stato un vigliacco.
Senza spina dorsale.
Non ero stato in grado di trattenere l'istinto primordiale e mi ero comportato proprio come un animale, senza pensare alle conseguenze di quello che avevo innescato solo con un sì.

Lucia mi avrebbe lasciato. Forse non mi avrebbe impedito di vedere i bambini, ma sicuro stava già pensando al divorzio.

Non c'era stato verso di chiederle scusa, di convincerla a restare insieme.
Neppure lo volevo, restare con lei.
Di certo non lo volevo per me.

Ma pensavo ai bambini, pensavo a loro tanto, in quei giorni, alla situazione che avrebbero dovuto affrontare da lì a poco, nonostante fossero così piccoli. Certo, non sarebbero stati i primi né gli ultimi a trovarsi nel mezzo di una famiglia spaccata a metà.
Faceva tristezza pensare che, con tutta probabilità, quello della domenica precedente, era stato l'ultimo compleanno di Martina con la sua famiglia unita.

Mi ero privato una vita intera di essere felice e adesso che avrei dovuto continuare a farlo per loro, per tenerli al sicuro dentro una famiglia unita, Lucia aveva deciso di lasciarmi. Si sarebbe buttata alle spalle il tradimento, ma non era intenzionata a fare altrettanto riguardo la mia omosessualità. Era furiosa e aveva tutte le ragioni del mondo per esserlo.

Premetti due dita sugli occhi.

Vedi a cosa ti ha portato a essere quello che sei. È tutta colpa tua.

Forse sbagliavo pure ad avere quei pensieri. Chissà, ma erano giorni in cui vedevo tutto nero.

Squillò il telefono e sobbalzai. Trassi un profondo respiro e risposi con la solita frase preconfezionata dell'azienda.

-Allora, qui rispondi ancora, non sei morto- aggrottai la fronte.

Recuperai il cellulare e scrollai le notifiche delle chiamate perse.  -Non avevo notato che mi avevi telefonato-

-Pensavo non mi stessi rispondendo apposta-

-Lucia- dissi in un sospiro. -Rimani la madre dei miei figli e, fino a prova contraria, sei ancora mia moglie-

-Ancora per poco-

-Immagino di sì- rimase in silenzio per un po'. -Hai bisogno di qualcosa? Questa è la linea dell'ufficio...-

-Lo so, ma al cellulare non mi rispondevi-

-È tutto il giorno che mi chiama lui, ho dato per scontato che lo fosse pure stavolta-

-Lui. Insiste. E tu perché non gli rispondi?-

-Lucia...-

-Oh, Mario! Stiamo divorziando-

-È passata solo una settimana, abbiamo ancora tante cose da chiarire...-

-E tu sei gay da quarant'anni. Da sempre. Non abbiamo null'altro da chiarire-

-Mi dispiace- la voce tremò e lei tornò in silenzio.

Passarono dei secondi che parvero secoli.
Colmi di infinito.
Di tensione.
Ansia.
Paura.

Il cuore batteva all'impazzata e le palme delle mani iniziarono a sudarmi.

-Non ti devi dispiacere. Ho avuto tempo per riflettere sulla cosa- disse piano. -Sono ancora arrabbiata con te- aggiunse tutto d'un fiato. Sbuffò. -Ma sei gay, ed è una cosa per cui non hai colpa e che non puoi cambiare. Hai sbagliato, sì, tantissimo. Ma io ho conosciuto i tuoi e so che hai agito spinto da convinzioni malsane che ti sono state inculcate-

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