Accadde in un desolato palazzetto disperso nel Lazio, in disuso da così tanto tempo che la muffa cresceva negli incavi adibiti ad ospitare le opache finestre, lastre di vetro ancora lì dagli anni '70; un palazzetto semibuio, con le linee del campo non aggiornate secondo i moderni regolamenti e con una lattina accartocciata, un tempo contenente qualche bevanda di cui non era più dato sapere il nome né il gusto, appoggiata sulle scarne gradinate di cemento invecchiato ed annoiato; ecco, accadde proprio lì: in un tardo pomeriggio di inizio settembre, proprio quando il Sole si abbassava sull'orizzonte ed illuminava gli interni di quella stanza, dandole un'atmosfera paradossale, a metà tra casa accogliente e relitto abissale, apparvero due spiriti. Uno leggermente più alto, con la testa lucida senza peli, l'altro non di molto più basso, la sua barba lucente che, bianca come il pelo di un agnello leggermente inscurito per via del fumo d'un focolare, lasciava filtrare ogni raggio di sole. I loro corpi, se corpi si possono definire, erano, com'è lecito aspettarsi da delle anime ormai non più materialmente in vita, smorti: pallidi e con le ossa sporgenti attraverso la pelle simbolica, arti ossuti e un sottile, seppur dignitoso, drappo bianco a testa, a coprire i colpi scarniti; i loro volti, però, sembravano appiccicati a sputo, tanto poco avevano a che fare con le membra cui facevano capo. Nelle rappresentazioni artistiche gli spettri tendono ad avere espressioni impaurite, vacue, tanto angosciose quanto angoscianti, sui toni tra il blu e il colore dell'avorio; quei due appena materializzatisi in mezzo a quel luogo tanto inusuale per gli eventi soprannaturali, al contrario, avevano volti che a dipingerli si sarebbe dovuto usare l'arancione, e col rosso cremisi si sarebbero rese le sfumature ombrose date dai riflessi del sole per quelle finestre che il tempo aveva pitturato di un viola insicuro. Erano volti accesi, volti che trasudavano passione, vigore; ed i loro occhi, occhi che piuttosto di essere spalancati su un abisso di nulla assoluto, come nel pensiero comune si confà agli spettri, sembravano esser specchi, espressivi e vispi, di un fuoco interiore divampante. E si fissavano, due fiamme che sembrano sfidarsi vicendevolmente, a chi brilla più alto, a chi erge la propria lingua infuocata più vicino al cielo. Quel fissarsi determinato e quasi cagnesco ebbe fine quando il fantasma che appariva più vecchio, dalla sua marmorea barba, distolse gli azzurri occhi brillanti di mare lontano e rise, con tono bonario e ironico, composto e con un'espressione che nemmeno per mezzo secondo smise di far trasparire quella combustione continua, nel mentre all'opera dentro di lui. L'altra anima, ammorbiditasi simbolicamente anch'essa, si lasciò andare in un sorriso da divo di Hollywood che manteneva occhi agonistici e divampanti. Stettero zitti per un po', giacché gli spiriti non hanno di che preoccuparsi dell'impietoso scorrere del tempo: per loro il tempo è solo ricordo, una piccola cancellatura uscita male che, nel grande disegno dell'eternità, conta meno di niente. Poi il più anziano, fatto un gesto con la mano, invitò l'anima che gli stava accanto a sedersi con lui sugli spalti inutilizzati di quell'edificio dimenticato. Gesto, si conviene, totalmente di cortesia simbolica, poiché nulla di tutto ciò, il sedersi, il comunicare, conta davvero per le anime: un vezzo, un qualcosa di superfluo ed accessorio. Eppure quelle due anime che ancora dentro bruciavano, non una più intensamente dell'altra ma in egual modo, sembravano davvero desiderose di fare quella conversazione, forse sperando che qualcuno la spiasse con occhi vigili e sopracciglia sollevate dallo stupore, e che dopo averla spiata la registrasse. Non è però nostra prerogativa la comprensione dei motivi, dei misteriosi disegni di anime non corporali; lasceremo quel lavoro a qualcuno più competente, che noi non siamo capaci di comprenderli o di interpretarli. Eppure la loro conversazione ha del significativo, e sarebbe un gran peccato non riportarla, fosse anche solo per prolungare di un nonnulla l'inghiottimento di un oblio sereno, quell'oblio in cui le stesse anime vivono; insomma, la cronaca scritta di quel discorso è anch'esso un vezzo, un gesto poco più che simbolico, ma che, come spesso accade, potrebbe celare qualcosa di ulteriore nelle sue viscere – ancora una volta, lasceremo il compito di tale giudizio a chi possiede competenze ulteriori.
STAI LEGGENDO
LE DUE FIAMME
Short StoryUn dialogo tra Seneca e Kobe Bryant. "Ambivo ad altezze ammirabili ma sbagliate, e per quello ho raggiunto quelle che tu pure predicavi. È stato un effetto collaterale. Ed ora che vedo le cose da una dimensione di più, non so come giustificarmi. So...