IL CONTO ALLA ROVESCIA (1)

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NATHANIEL'S
P O V
💚

380 GIORNI PRIMA

HARVARD, 10 OTTOBRE 2021

Il sole che entrava dalla finestra proiettava la mia sagoma sul grosso armadio in legno scuro posto al suo lato opposto.
Il calore mi irradiava la parte sinistra del volto mentre ascoltavo vagamente le conversazioni di politica americana dei miei colleghi di Harvard.

"La verità, miei signori, è che Wilson non aveva altra scelta. I tedeschi ormai avevano tirato troppo la corda con la loro presunzione di essere superiori." Elijah Dorsey stava provando a sfaldare la tesi di Romeo August Deschamps, il mio migliore amico, e Lyle Nowak, il mio compagno di stanza, riguardo l'entrata in guerra degli Stati Uniti nel 1917.

"Nessun'altra scelta? Wilson inizialmente proclama la neutralità. L'economia americana con la guerra diventa dominante perché fornisce armi e capitali a tutti i belligeranti. C'è sempre una scelta Eli, e Wilson ha fatto quella sbagliata." Romeo spense la sua sigaretta in un vecchio e consunto posacenere mentre gli animi iniziarono a scaldarsi.
"Ti ricordi vero che il 7 maggio 1915, i tedeschi hanno silurato il Lusitania?" Elijah non demorse e  portò avanti a testa alta il suo ragionamento contro i due materialisti capitalisti Romeo e Lyle.

"Ce lo ricordiamo tutti Elijah. Ma entrare in guerra e far morire milioni di soldati americani per la morte di 128 cittadini USA a bordo di un transatlantico britannico non mi sembra una motivazione adeguata. C'erano già gli Inglesi in guerra, potevano pensarci tranquillamente loro." Lyle diede corda alla tesi di Romeo, mentre si allentava di poco il nodo della cravatta bordeaux che portava al collo.

"Non c'entra ne la presunzione dei tedeschi, ne l'economia americana ne tantomeno il transatlantico. Si tratta di umanità. Wilson è sempre stato un moralista. Come poteva stare a guardare la guerra che dilaniava in tutto il mondo quando tutti erano consapevoli che l'America l'avrebbe risolta subito? È per questo che al Senato nel gennaio del 1917, ha dichiarato inconcepibile il fatto che l'America non usasse la sua forza e autorità per garanti­re la pace e la giustizia nel mondo." I 3 dibattenti si girarono in contemporanea verso di me.

"Ecco Nathaniel e la sua capacità di concludere sempre i nostri dibattiti senza inserirsi mai veramente." Elijah prese il suo cappotto e si apprestò alla porta. "Io vado. Romeo tu che fai?" Chiese al suo compagno di stanza.
Romeo mi guardò e il nostro fu uno sguardo d'intesa.

Avete presente gli sguardi? Anche di quelli ce ne sono miliardi. Diciamo che il nostro era quel tipo di sguardo che nessuno sarebbe riuscito a decifrare, neanche i criptografi della seconda guerra mondiale.

"Io rimango. Ci vediamo dopo in sala per cenare se ci siete tutti." Il mio migliore amico si accese un'altra sigaretta e si sfilò la cravatta nera buttandola sul mio letto, o meglio, sopra di me.

"Io non ci sono. Devo vedermi con Madison." Lyle aveva un appuntamento con la sua ragazza.

In realtà non so se potrei definirla in quel modo. Lui sembrava sempre scocciato quando doveva vederla, ma non quando doveva andarci a letto.

"Okay allora ciao. Ci vediamo domani a lezione branco di scimmie." Elijah se ne andò e dopo 15 minuti di lamentele e piagnistei, anche Lyle lasciò la stanza.

Rimanemmo io e Romeo.

Il mio migliore amico si lanciò sul letto accanto a me prendendo il joystick della Playstation.

Romeo era alto quanto me, con dei lisci capelli neri e due occhi verdi come l'Harvard Yard.
Eravamo amici fin da piccoli, credo avessimo 12 anni la prima volta che ci incontrammo.
Il nostro rapporto era sempre stato autentico e sincero ma l'anno scorso le cose si erano un po' incrinate.

Durante una festa di una confraternita il fato, chiamiamolo cosi, ha voluto farci finire in una camera buia completamente nudi da soli. Fin qui tutto normale, dopotutto ci saremmo visti nudi a vicenda un sacco di volte. Se non fosse stato per l'alcool che avevamo in circolo e l'eccitazione che ci pompava il cuore.

Le cose sono degenerate e abbiamo perso il controllo. Decidemmo di non parlarne più, fare come se niente fosse successo.

Ma mi capitava di guardarlo a volte e pensare a quanto fosse bello, e a quanto mi fosse piaciuto il calore della sua pelle sulla mia.

"Non ho voglia di andare in mensa. Non possiamo ordinare qualcosa?" Si lamentò mentre il gioco si caricava.

Romeo era pigro. Pigro ogni oltre immaginazione. Faceva il minimo indispensabile per ogni cosa e, straordinariamente, riusciva comunque in modo ottimo in tutto quanto.

"Sono 3 giorni che mangiamo schifezze. Sto mettendo su troppi chili. Sai quanto ci metterò per rimettermi in forma? Il coach mi ammazzerà."

Facevo parte della squadra di football ed ero un running back, perciò la mia forma fisica doveva essere più che perfetta.

Mi girai a pancia in sui facendo vagare il mio sguardo sull'antico soffitto in pietra.

La nostra camera era in una delle ali antiche dell'università, perciò non c'era niente di moderno, appare le nostre cose.

Era grande, circa 20 mq, con mobili in legno antico e pregiato e addirittura un caminetto. Due letti si trovavano a circa 3 metri l'uno dall'altro e dal lato opposto, intorno al caminetto, c'erano delle poltrone come a formare un salotto. Accanto ai letti era situato un'armadio e una cassettiera, una modesta scrivania si trovava sotto l'enorme finestra ed infine qualche piccola mensola sparsa qua e la con dei libri poggiati sopra. Non credo che ne io ne Lyle avessimo mai toccato uno di quei libri. Non eravamo molto ordinati a dir la verità. I vestiti buttati per terra o sulle sedie, scarpe ovunque, qualche calzino qua e la.

Romeo, al contraro, era ordinato a livelli quasi maniacali. Ogni cosa doveva essere perfettamente al suo posto altrimenti sarebbe potuto impazzire. Mi ero beccato parecchie ramanzine da lui sul disordine in cui, invece, vivevo io. Cosa che andava completamente contro il suo essere pigro. Dopotutto se sei pigro non hai voglia di mettere apposto, no?

"Dai ti prego l'ultima volta. Giuro che da domani andiamo in mensa più spesso." Piagnucolò ancora e dovetti accontentarlo altrimenti avrebbe continuato a lagnarsi per tutta la sera.

"Okay. Ma smettila di rompere." Mi accorsi di essere quasi al bordo del letto e gli diedi una botta per farlo spostare. "E poi fammi posto. Ti vorrei ricordare che questo è il mio letto e le tue chiappone francesi stanno occupando tutto il mio spazio."

Romeo era nato e cresciuto in America, ma sua madre era francese, perciò avevo preso a chiamarlo francesino di tanto in tanto.

"Hai un computer?"
"No. Solitamente le email le mando tramite tavole babilonesi. Che cazzo di domanda è Romeo, ovvio che ho un fottuto computer." Mi faceva esasperare con le sue domande idiote.

Mi alzai contro voglia e cercai sotto l'ammasso di vestiti accatastati su una delle poltrone. Il mio Mac giaceva inerme sotto quella montagna di indumenti puzzolenti che ancora non avevo portato in lavanderia.

Glielo lanciai accanto e lasciai che smanettasse per ordinare del cibo mentre io mandavo un messaggio a Elijah per avvisarlo che non lo avremmo raggiunto a cena.
"Cinese?"
"Oh mio dio basta. Sto diventando un raviolo grigliato a forza di cinese. Non possiamo prendere una pizza ogni tanto?"
"Okay allora messicano. Aggiudicato."

Si, era fastidioso oltre ogni immaginazione e lo odiavo a volte.

Da una finestra solaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora