Novellino

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La notte sembrava non terminare più, c'era una cappa di caldo molto fitta proprio sul letto di Simone che sembrava sciogliersi sul lenzuolo, era bagnato da gocce di sudore freddo, si chiedeva se fosse per il caldo o per l'ansia che aveva dentro lo stomaco, il telefono non aveva smesso di vibrare per tutto il giorno, erano tutti messaggi di Manuel, Simone non aveva neanche avuto il coraggio di leggerli ma immaginava il loro contenuto. Aveva passato la giornata con il terrore che Manuel si presentasse a casa sua, forse era il caso di rispondergli per zittirlo una volta per tutte ma questa volta proprio non riusciva, il pensiero di rivederlo, di non poterlo evitare in nessun modo, lo bloccava. Tenere Manuel alla larga era un bene, per lui e per Manuel stesso, era stato lui stesso a dirgli "Stammi alla larga" il giorno in cui lo aveva baciato al museo e forse era arrivato il momento di dargli retta, di lasciarlo andare. Come tutte le cose giuste, però, lasciar andare Manuel era l'impresa più difficile della sua vita ed era una cosa che lo feriva a morte, la verità era che voleva solamente stargli vicino, seguirlo in tutte le sue avventure, amarlo, averlo tra le braccia proprio come la notte del suo compleanno ma non poteva, sapeva che se avesse continuato ad amare Manuel con tutto se stesso, a dargli anima e corpo, tutto il suo amore, tutte le sue lacrime sarebbe morto, non fisicamente, ma il suo cuore non avrebbe più retto, un cuore che ama con così tanta forza ha bisogno di essere ricaricato, ma il suo sentimento non era corrisposto e il suo cuore non aveva una fonte di energia. In qualche modo pensava che evitandolo sarebbe riuscito a cancellare ogni briciola di ciò che provava per lui, ogni frammento dei ricordi con lui, il suo primo tatuaggio, la canna sotto il cielo stellato e i loro discorsi sulla legge morale, il furto della macchina e il loro primo e unico bacio, la loro prima e unica volta in quel cantiere illuminato di rosso, tutto quanto. Durante l'estate Simone aveva perso una decina di chili, a causa del caldo, del sonno perso ad affogare in un pianto silenzioso e nel sudore, del nodo che aveva allo stomaco. "Sto bene" era questo che diceva a suo padre, a sua nonna, agli amici e a Manuel, dalla sua bocca non osava far uscire il malessere che lo opprimeva e lo divorava, soltanto Jacopo sapeva ogni suo segreto, ogni sfaccettatura del suo stato d'animo, Simone si augurava che le sue non fossero parole buttate al vento, che Jacopo potesse sentirlo davvero, che fosse da qualche parte, si chiedeva se avesse ancora testa e corpo di un bambino di tre anni o se fosse cresciuto, se fosse ancora la sua copia sputata. Guardò l'orologio ed erano le cinque del mattino, i pensieri non lo lasciavano dormire ma la stanchezza lo fece crollare, chiuse gli occhi e cadde in un sonno profondo.

Quella notte aveva portato a Manuel sentimenti contrastanti rispetto a quelli di Simone, non era arrabbiato con lui per averlo ignorato tutto il giorno, temeva che gli fosse successo qualcosa ed era contento di rivederlo, non poteva sfuggire questa volta, non poteva ignorarlo o evitarlo, sarebbero tornati a essere i soliti Manuel e Simone associati , compagni di banco, di risate durante le lezioni e di avventure, era fiducioso, visto che Simone non poteva scappare da lui era la sua occasione per fargli capire che gli dispiaceva, per farsi perdonare e per essere l'amico che non era riuscito a essere l'anno scolastico precedente. Fu una notte piena di buoni propositi e di speranze, si promise di diventare una persona migliore, per se stesso e per il bene di Simone, aveva il presentimento che stesse male e si augurava di sbagliarsi.

"Simone! La sveglia sta suonando da un quarto d'ora! Svegliati!" Si alzò con il richiamo della nonna, l'odore del caffè e di cioccolato che invadeva le sue narici ogni mattina, di solito era la sua parte preferita della giornata, ma questa volta il profumo della colazione era nauseante, immaginava la tavola imbandita con il suo cibo preferito e, più che l'acquolina, alla sua bocca arrivava un forte senso di vomito. "Buongiorno, hai dormito bene?" disse Dante, intento a leggere il giornale e a sorseggiare il suo cappuccino "Ciao, papà. Ciao, nonna" Li salutava così tutte le mattine, non rispondeva alla loro domanda, non voleva mentire sempre, preferiva non rispondere. Aveva gli occhi gonfi e stanchi, reduci da una brutta nottata e circondati da un minaccioso fossato di occhiaie nere, a fatica prese uno dei suoi amati biscotti al cioccolato e lo inzuppò nel suo latte macchiato, sorso dopo sorso e morso dopo morso finì la sua colazione cercando di far rimanere tutto dentro la sua pancia senza rigettare nulla. Una volta pronto salì in auto sul posto del passeggero, non usava la vespa dalla notte dell'incidente, Dante aveva troppa paura, andava nel panico tutte le volte che vedeva Simone su una moto, temeva che tutto quello che era successo quella notte potesse riaccadere e da bravo figlio Simone lo assecondava, lasciava che fosse Dante ad accompagnarlo con la macchina ovunque andasse. Sembrava come se fosse tornato bambino, costantemente sotto l'occhio vigile di suo padre, lui e nonna Virginia si rivolgevano a lui sempre con parole dolci, non lo lasciavano mai da solo e interpretavano ogni suo comportamento come un campanello d'allarme. Per Simone la sua famiglia era l'unico posto dove si sentiva amato e soprattutto accettato ma sapeva anche che si comportavano in quel modo solo per paura che si facesse del male un'altra volta e si sentiva un peso per tutti quanti, una zavorra appesantita da tutte le cose brutte che si portava dentro. "Quest'anno la scuola mette su una squadra di rugby, lo sai?" disse Dante durante il tragitto "Sarebbe bello se tu partecipassi, sei bravo e alla scuola servirebbero giocatori come te." Simone guardò Dante mentre rimaneva concentrato sulla strada davanti a se, non si allenava da tutta l'estate e il suo corpo era cambiato molto in quell'arco di tempo, non si sentiva prestante come qualche mese prima, era fiacco e debole "D'accordo, papà." Sapeva che una risposta negativa avrebbe scaturito in suo padre molte domande a cui non voleva nè poteva rispondere, lo assecondò ancora una volta nella speranza che la squadra scolastica di rugby potesse restituirgli un po' di vita. Mancava solo un passo per varcare la soglia della sua classe e affrontare i suoi demoni, Dante si era fermato nel corridoio a salutare la preside e i colleghi, Simone prese un bel respiro e allungò la gamba facendo il primo passo. Manuel era davanti a lui, stava seduto sullo stesso banco dell'anno precedente, aveva le braccia incrociate e poggiate sul banco, la schiena dritta , indossava la sua solita canottiera bianca da basket, i ricci spettinati e la barbetta incolta, lo guardava con lo sguardo vivace, con gli occhi di qualcuno che è pieno di forza di volontà. Alzò il braccio e iniziò ad agitarlo "Simo! Simo!" Disse indicandogli il banchetto vuoto accanto al suo. Se quella scena fosse stata una chat di whatsapp Simone avrebbe visualizzato il messaggio senza rispondere o avrebbe inventato una qualche scusa per evitarlo, ma questa volta non era davanti alla solita foto profilo, era davanti a Manuel in persona, con i suoi occhi vivi, i suoi capelli, i suoi modi di fare a cui non seppe dire di no, lo amava e avendolo davanti non riusciva proprio a opporsi a quel senso di attrazione.

Mentre Simone si andava a sedere accanto a lui, Manuel lo scrutò per bene come era solito fare tutte le volte che lo aveva vicino, era magro, gli occhi scavati e spenti, indossava una camicia bianca a maniche lunghe, c'era caldissimo ed era da pazzi indossare una cosa simile, a stento riusciva a riconoscerlo, si erano visti soltanto qualche volta a inizio estate e lo aveva lasciato forte e in salute, adesso del Simone che conosceva erano rimasti solamente i capelli, i suoi ricci neri perfetti, aveva avuto modo di toccarli solo durante le loro azzuffate ma, ogni tanto, mentre scriveva le sue poesie, immaginava di stare sdraiato con lui e accarezzargli quei capelli morbidi. Manuel si era convinto che gli piacessero solo le ragazze, era Simone che era diverso, che aveva qualcosa di speciale, l'unico che era in grado di accendere la sua vena poetica, sicuramente perchè sapeva che Simone era gay e che provava qualcosa per lui e questa cosa lo coinvolgeva a tal punto da immaginare momenti dolci insieme a lui, ma sicuramente non era attratto dai ragazzi. "Ao ma che ti è successo ieri?" "Non mi funzionava il cellulare, scusami." "Si certo, e secondo te ci credo?" Simone preferì non rispondere "Sei strano, Simo. Stai male, si vede. Mi vuoi dire che ti prende?" "Non ho niente. Ho solo un po' di ansia perchè è il primo giorno." "Ma la smetti di sparare cazzate, Simo?" Mentre Manuel insisteva si rese conto che Simone stava entrando in uno stato di panico e smise di fargli domande, si era ripromesso di non essere più la causa del suo malessere ma del suo benessere, allungò il braccio verso il suo banco e appoggiò la mano sulla sua "Guarda che a me puoi dire tutto. Se c'è qualcosa che non va, qualsiasi cosa, io sono qui con te." "Grazie, Manuel." La giornata scolastica passò normalmente, Simone rimase più attento del solito, seguire le lezioni gli serviva a non pensare ad altro. Al portone avevano allestito un piccolo stand, un tavolo con uno striscione con su scritto "I Lupi del Da Vinci." Simone si avvicinò, c'era un ragazzo seduto in quello stand, capelli biondo cenere, occhi verde smeraldo e la carnagione non molto chiara, sembrava aver passato la bella stagione a prendere il sole. "Vorrei entrare nella squadra di rugby della scuola, è con te che mi devo informare?" "Si, sarò il capitano. Piacere, Tommaso Bellini, ma per gli amici sono Tommy." Disse alzandosi in piedi e porgendogli la mano. Simone si rese conto di quanto fosse alto, superava il suo metro e novanta, era piuttosto magro ma tonico e muscoloso, indossava una polo verde un po' larga e dei bermuda beige "Piacere, Simone Balestra." "Non ti avevo mai visto prima, Simone Balestra. Che classe fai?" "Quarta B." "Ah, capisco. Sei un novellino." "Come scusa? Faccio rugby già da un anno e in più sono al penultimo anno, non credo di essere un novellino, di che classe sei te?" "Sono di quinta E e gioco da quando avevo sei anni. Ti senti un po' novellino adesso?" "Beh si, adesso un po' si." "Sei carino, novellino. Sei il più carino di tutti quelli che sono venuti a iscriversi." "Pensavo di essere l'unico. In questa scuola non mi sembra che ci siano molti rugbisti o amanti del rugby." "Hai ragione, non ce ne sono, ma ci sono diversi gay. Tra quelli dell'ultimo anno ci conosciamo un po' tutti, la voce che sono il capo della squadra è girata in fretta e sono un tipo che rimorchia abbastanza ragazzi. Ecco perchè non sei l'unico." Simone credeva di essere l'unico gay a scuola, si sentiva tanto diverso dagli altri e sapere che c'erano altri come lui lo aveva sollevato. "Secondo me tu te la tiri un po' troppo. Io non sapevo della tua esistenza eppure eccomi qua." "Ti distingui dalla massa allora, novellino. Mi servirebbe un recapito telefonico per l'iscrizione." "Ci possiamo vedere a scuola, a che ti serve il mio numero?" "Segreti del rugby che non puoi sapere, dimostra che sei un novellino. Allora vuoi darmi il tuo numero o vuoi startene lì impalato?" Simone era confuso, aveva l'impressione che Tommaso ci stesse provando con lui e nessuno lo aveva mai fatto prima, non si sentiva il tipo di persona che poteva seriamente piacere a qualcuno "D'accordo, Simone Balestra il novellino, questo è il mio numero, scrivimi." Disse porgendogli un pezzo di carta e salutandolo con una pacca sulla spalla.  Simone era rimasto immobile con la faccia perplessa, era imbarazzato e allo stesso tempo elettrizzato per ciò che gli era appena successo, si sentiva quasi felice. "Simo! C'è tuo padre che ti aspetta fuori da un quarto d'ora, che stai a fa'?" Vedere Manuel lo fece cadere dalle nuvole, ritornare alla realtà portando il suo cervello tra i brutti pensieri che lo tormentavano da troppo ormai, come poteva anche solo pensare di avventurarsi con qualcun altro se ogni volta che vedeva Manuel gli cadevano le ginocchia, rabbrividiva e il suo cuore impazziva? "Ao ma chi era quel ragazzo?" Disse Manuel con tono sospettoso "Ti vedevo coinvolto, con me sta mattina facevi tutto il depresso e ora sei diventato mister simpatia?" "Era il capitano della squadra di rugby, tutto qui." "Non mi piace quel tale." "Ma se neanche lo conosci" "Mi sembra uno stronzo, stagli alla larga."

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