o. prologo

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VOLEVA FICCARE il suo braccialetto di borchie negli occhi dell'autista con cui aveva a che fare

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VOLEVA FICCARE il suo braccialetto di borchie negli occhi dell'autista con cui aveva a che fare.

«Le dico che ha sbagliato strada, doveva girare due isolati fa!» ringhiò, mettendo la testa tra i sedili anteriori. Stava per perdere la pazienza.

«Signorina—» provò quello, ma la ragazza lo fermò immediatamente. «Provi a chiamarmi "signorina" un'altra volta e giuro che si ritroverà con dei seri problemi di vista».

L'uomo deglutì: «Volevo solo dire che l'indirizzo che mi ha dato è corretto, ma non— ecco, non è come dice lei».

«E invece io le dico che si sbaglia!» protestò, crollando sul sedile posteriore, incrociando le braccia al petto. Di quel passo sarebbe arrivata a casa tra un mese.

Darcy Sherwind non vedeva Tokyo da più di cinque anni, e nonostante quello, era più che sicura di ricordarsi dove diavolo fosse casa di sua zia.

«Bene, se non mi crede, allora fermi la macchina. Me ne vado a piedi. Non ho bisogno di un autista buono a nulla!». Aspettò che l'uomo accostasse, e quando non lo fece, non si arrabbiò. Invece, Darcy rise, scuotendo la testa. «È così che la mettiamo? Perfetto, ci si vede, stronzo».

E sì, lo fece. Aprì lo sportello dell'auto e si gettò sull'asfalto.

Non stavano andando ad altissima velocità, ma un minimo d'impatto ci fu comunque: tuttavia, nulla che la ragazza non sapesse gestire. Si rialzò da terra, togliedo la polvere dai pantaloni di pelle che le fasciavano le gambe. Aveva le mani graffiate e sbucciate, ma non ci fece caso.

L'autista frenò di scatto alla vista della ragazza che si buttava fuori dal veicolo senza pensarci due volte. «È impazzita?!» urlò, raggiungendola. La vista del volto del tassista, grasso e ricoperto di peli scuri, le fece fare una smorfia di disgusto.

«Assolutamente no. Grazie per il passaggio, ma devo andare» girò i tacchi e iniziò a correre.

L'uomo era talmente sconvolto che si ricordò di doversi far pagare, solo quando la ragazzina scomparve.

• [𖧷] •

Era pieno pomeriggio a Tokyo e in giro non c'era anima viva. Il quartiere dove abitava sua zia Silvia era sempre stato tranquillo e curato, ma quel giorno sembrava fosse stato pulito per il suo arrivo, pensò la ragazza.

I suoi capelli viola svolazzavano intorno a lei mentre correva, districandosi in tutte le direzioni, come una grande nuvola temporalesca arrabbiata con il mondo e le persone che vi abitavano. Le sue labbra sottili erano ripiegate in un sorrisetto soddisfatto, un sorrisetto color pesca, colorato dal lipgloss che si era messo qualche minuto prima in taxi.

Con un piccolo balzo, saltò una pozzanghera formatasi in mezzo alla strada, e lasciò che un grido di felicità risuonasse nell'aria. Le catene che pendevano dal pantalone tintinnarono le une con le altre, mentre i pesanti anfibi di pelle nera che indossava schiacciavano un vecchio volantino che rotolava per la strada.

𝐘𝐎𝐔 𝐊𝐍𝐎𝐖 𝐌𝐄, fei runeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora