Capitolo Due

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Capitolo Due

C'è una regola sola nel mondo umano

Non guardare giù se precipitiamo

Rancore; Eden

Svegliarmi in un bagno di sudore, a causa degli incubi, non era mai stato una cosa che mi succedeva di frequente. Ne avevo sofferto dopo la morte di mia madre, ma avevo risolto abbastanza velocemente. Non c'erano più psicologi e mio padre non era l'uomo adatto per quel genere di problemi, riteneva che fossero superflui e dovuti da una mente fragile. Si era sentito in dovere di allontanare ogni sorta di bontà dalla mia testa, cercando di limitare le emozioni e costruendo in me un muro di protezione, come una corazza di ossidiana, pesante e nera. Quella fantomatica protezione mi aveva aiutata solo nei momenti più bui, durante i due anni successivi legati al trauma infantile che avevo vissuto. Per il resto si era poi sgretolata, lasciando che quella bimba riccia e allegra tornasse a farla da padrona.

Alzarmi quel giorno fu così difficile che mio padre si prese la briga di bussare contro la mia porta instabile, urlando un avvertimento che avevo già rimosso. Mentre gettavo il corpo sotto il flusso freddo dell'acqua della doccia, i ricordi di quello strano incubo riaffiorarono nitidi. Sentii nuovamente il contatto freddo del ferro contro la pelle nuda e un nodo bloccarmi completamente la gola. Necessitai di diversi minuti per calmare il battito irregolare del cuore, mentre agitavo le mani, chiudendole e aprendole a pugno, con lo scopo di riportare la mia testa alla realtà circostante. Non seppi darmi risposte riguardo quelle immagini, ma compresi come fossero un tentativo del mio subconscio di mettermi in allarme, con l'obiettivo di tenermi lontano dai guai.

Dopo un impreciso numero di minuti sotto il getto, uscii dal bagno ancora con i capelli bagnati e, rivestita con le mie solite tute scure e grigie, scesi in cucina per fare una povera colazione. Avevamo il caffè che mio padre aveva barattato con alcuni ortaggi e della frutta di stagione, come arance e mandarini. Era una colazione molto più abbondante rispetto a quelle proposte durante l'inverno, dove spesso avevamo a disposizione solo l'acqua del fiume poco distante. E nient'altro.

Mi gustai la colazione in silenzio, sentendo gli occhi pesanti di mio padre addosso.

"Hai avuto un incubo stanotte." Gli occhi stanchi e marcati dalle rughe dell'età mi scrutarono alla ricerca di un mio tentativo inutile di mentire.

Sbuffai rumorosamente, ma non negai.

"Fai in modo che non riaccada più, le urla notturne possono portare a visitatori indesiderati. Non farmi usare le maniere forti perché sei tornata ad indebolirti." E sembrò concludere lì la conversazione, portando con sé le bucce dei mandarini e delle arance.

"Ah, prima che mi dimentichi, oggi voglio che ripassi gli interventi di primo soccorso e le tecniche di difesa contro gli individui di massa muscolare maggiore della tua. Verrò a risentirti prima di pranzo e ad osservarti durante il pomeriggio. Sono stato chiaro?" era una domanda retorica a cui spesso nemmeno rispondevo. Delle volte spariva prima che potessi farlo.

Mi allontanai dalla cucina dopo aver rimesso a posto e mi diressi nella piccola stanza dove solitamente svolgevo le mie ricerche e i miei studi. Non potevamo ritenerla una biblioteca, ma per le dimensioni possedeva un numero importante di libri, per molti argomenti di interesse. Non sapevo a chi appartenessero e non me lo ero neppure mai chiesto.

Spostai la sedia e presi a leggere attentamente i tomi che mio padre aveva gentilmente lasciato sulla scrivania. Li studiavo da 4 anni, tutti i giorni, leggevo e leggevo tutte le nozioni che ritenevo importante per la mia salute e sopravvivenza.

Si fecero velocemente le undici di mattina e tra un tomo e l'altro, profondai nella sedia scomoda. Sbuffai ancora una volta, con un mal di testa atroce che mi colpiva le tempie senza tregua. Mi alzai, decisa a prendermi una lunga pausa.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 18, 2022 ⏰

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