Capitolo 2

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Un giorno il Silenzio mi disse che sapeva tutto quello che vogliamo dire ma non diciamo ( forse per paura, forse per altro ), tutto ciò che pensiamo ma non confessiamo ad alta voce, tutto ciò che nascondiamo agli altri e sopprimiamo, custodiamo o dimentichiamo. Disse che gli piaceva molto ascoltare, talvolta in compagnia del suo migliore amico Inchiostro, chiamato anche simpaticamente Ink. Lui era l'unico a sapere i segreti del Silenzio stesso! La gente decideva spontaneamente di confidarsi con lui, perché scritto nero su bianco non si dimentica niente, l'hanno sempre definito il suo pregio maggiore, oltre al fatto che il suo orecchio è sempre teso d pronto ad ascoltarti: non sarà mai troppo tardi per parlargli di te. Non ti giudicherà, non dirà niente,ma tra le sue stesse righe ti suggerirà un modo per alleggerire tutte le tue pene; non esiste persona che lui conosca che non l'abbia ringraziato almeno una volta per avergli salvato la vita. È un vero amico, Ink.
Questo Evangeline lo sapeva bene, passava pomeriggi a raccontargli di eroi e di avventure che non poteva negare di voler compiere. L'unico suo problema era che non gli aveva più parlato da quando le pene erano iniziate davvero. Scriveva per dare sfogo alla sua fantasia, per evadere ogni tanto dalla realtá, cosa di cui si ha tanto bisogno. Al giorno d'oggi si scrive per tanti motivi: c'è chi fa come Evangeline, chi per comunicare o denunciare delle realtà concrete, chi per bisogno di esprimersi, come sfogo personale, e chi per tutto questo insieme, che vede la scrittura come più di un lavoro, più di una passione, e la trasforma in uno stile di vita; così faceva Grau.
In quel momento era seduto sulla ringhiera in avorio di un balcone a gambe incrociate che osservava il cielo con un quaderno stretto tra le mani. Aveva dei lunghi capelli nero corvino che si andavano a schiarire verso il castano man mano che raggiungevano la metà della sua schiena. Indossava una camicetta lilla e dei pantaloni larghi e marroni chiari. Non aveva alcuna cintura, alcun accessorio, eccetto una collana con una candida piuma bianca come ciondolo. Giocava con la sua penna senza mai spostare lo sguardo dal cielo e si appuntava qualche parola ogni tanto sul quaderno. Sul suo volto un lieve sorriso venne dipinto dal passaggio di un falco accanto ad una nuvola dalla forma, a parer suo, alquanto affascinante; non sapeva identificarla a pieno in un solo oggetto, ma gli sembrava si trovasse nel punto e nel momento perfetto per il passaggio dell'animale alato.
Caterina lo stava osservando da dietro la porta d'ingresso della stanza, con un piede solo all'interno di quest'ultima. Rispetto a lei Grau era girato di tre quarti, riusciva quindi a vedere in parte sia la sua schiena che il suo viso: aveva dei luminosi occhi di colore fra l'azzurro e il blu notte rivolti verso l'orizzonte ed immersi nella visione di un altro mondo che solo lui poteva conoscere. Caterina avrebbe voluto avvicinarsi per scoprire cosa stesse pensando il sognatore, ma poi pensò che neanche faccia a faccia avrebbe potuto scovare luci e ombre della sua mente, così restò dov'era. Il giovane artista però sentì il peso del suo sguardo su di lui, così si girò e le sorrise, invitandola ad andargli vicino, cosa che lei fece, sedendosi sulla parte opposta della ringhiera.
«Sei nuova» dedusse, guardandola come volesse scavare nel profondo della sua anima. Non la riconosceva in nessuno che avesse mai visto nella sua vita, né in qualcuno che avesse conosciuto in quel castello intrigante.
«Sì, sono appena arrivata» rispose. Le sue palpebre batterono ripetutamente, non riuscendo a sostenere quello sguardo così intenso.
L'altro si lasciò sfuggire una risata: «Non era una domanda»
Lei si guardò le scarpe per il leggero imbarazzo, a lui però sembrava non importare.
«Devi aver già conosciuto la padrona allora. Che ne pensi?»
«Evangeline, dice? ...È strana»
«Qui siamo tutti strani. Anche tu, suppongo» la sua affermazione non conteneva alcuna nota di cattiveria, e il suo sguardo aveva un non so che di allegro, felice, speranzoso. «Ah, dammi del tu, per favore» e riabbassò lo sguardo sempre ridente sul quadernino.
«D'accordo...» disse, confusa quanto curiosa. Poi chiese, non riuscendo più a trattenere il dubbio: «Perché stai sorridendo?»
«Non dev'esserci sempre un motivo per sorridere, credo solo che facendolo ci si senta già meglio, non credi?»
Caterina allora rimase zitta per un po', poi sorrise a sua volta, annuì e gli porse la mano: «Piacere, Caterina Magnani»
Lui invece di stringerla le passò un libro che aveva lì vicino. Lei lo guardo e lesse il nome dell'autore in copertina: Grau Schnitzler; lo lesse ad alta voce e sbagliò la pronuncia del cognome, non sapendo come funzionasse il tedesco, ma il ragazzo non la corresse.
«È così che ti chiami?» chiese poi. Lui annuì. «È un piacere anche per me»
Si infilò la matita dietro l'orecchio, spostandosi una ciocca da davanti agli occhi.
«Quindi sei uno scrittore?» dedusse Caterina.
«Io mi definisco una persona che dipinge con le parole» precisò Grau. «A proposito, mi piacerebbe farti un ritratto, quando ti avrò conosciuta bene»
Caterina era confusa: non capiva come potesse essere possibile fare un ritratto con delle parole. Pensava si potesse fare solo con i colori, i pennelli, le matite... con tecniche tradizionali, insomma. Avrebbe voluto chiedere spiegazioni, ma Grau la precedette: «Lo scoprirai a tempo debito» concluse, schietto, senza neanche guardarla.
Grau era un ragazzo misterioso, profondo, che sapeva leggerti nel pensiero. Sin da piccolo aveva sempre avuto il grande potere dell'empatia, grazie al quale riusciva ad immaginare meglio quando leggeva, appassionandosi sempre di più ad ogni parola, pagina, capitolo di quelle storie eterne che accompagnavano le sue giornate.
Iniziò così ad inventare, ispirandosi ai vari scrittori di cui scopriva man mano l'anima. Ogni suo racconto era un quadro di emozioni e di immagini umane, reali, che ti colpivano e facevano commuovere, immergere completamente; è questo che li rendeva perfetti, nella loro imperfezione.
A sedici anni era già un prodigio, lodato per le sue capacità in tutta Rottach-Egern, la sua città natale.
Non per questo, però, lui continuava a scrivere: a lui piaceva, si sentiva libero di essere sé stesso quando lo faceva. Il suo rapporto con la scrittura era di grande amore, un amore incondizionato che lo liberava dalle catene della sua stessa vita, che doveva subire ogni qualvolta fosse sotto i riflettori per proteggere e poter mantenere la sua attività.
Essere diversi dalla massa in un mondo come il nostro è un'esperienza difficile, dura, che richiede coraggio, e non si può fare altro che abbracciarne l'idea. Al giorno d'oggi, fortunatamente, si è sempre più consapevoli di non essere soli, di non essere sbagliati, e abbiamo dei compagni lungo questa lotta in salita contro la discriminazione.
Negli inizi del 1900, però, essere diversi comportava la completa emarginazione dalla società o addirittura la morte.
Grau aveva scoperto di essere omosessuale alla strana, difficile, ma che sa di libertà età dei diciotto anni, quando tutto ma allo stesso tempo niente sta per diventare lecito e la paura dell'ignoto grava sulle nostre spalle e ci minaccia di rovinarci gettandoci il fiato sul collo.
Il ragazzo non aveva mai provato un particolare interesse per alcuna ragazza che conoscesse, ed era già da qualche settimana che la sua attenzione era costantemente puntata sul suo nuovo vicino di casa dagli spettinati capelli dorati e gli occhi verde smeraldo, i quali, secondo il giovane scrittore, sembravano veramente delle gemme brillanti.
Ogni volta dhe che si sedeva sul suo letto e guardava dalla finestra, il corvino sperava di vedere dall'altra parte il suo viso sereno e spensierato, che gli faceva pensare che in fondo non gli avrebbe fatto male esserlo un po' anche lui.
Un giorno se lo trovò davanti alla porta di casa; sembrava piuttosto in imbarazzo e Grau, a vederlo lì, non era certamente da meno, anche se non lo dava a vedere. Lui leggeva tutti come un libro aperto, ma nessuno fino ad allora era riuscito a leggere lui e la sua anima.
Il biondo, acquistando un po' di sicurezza, gli chiese se ci fossero fogli in casa sua, avendo finito i propri. Allora Grau, lievemente confuso, lo aveva fatto entrare nell'abitazione. Era un ambiente piuttosto disordinato, ma il ragazzo non diceva nulla, né sembrava averci pensato; si muoveva a suo agio in quell'ammasso di oggetti, fidandosi, anche senza conoscerlo, del giovane padrone di casa davanti a lui, che gli dava le spalle con la sottintesa intenzione di essere seguito.
Arrivati davanti ad un tavolo in legno, Grau si chinò su una scatola al di sotto di esso. Né tirò fuori una ventina di fogli di carta e li porse al ragazzo biondo, che lo aveva colpito dal primo giorno in cui era entrato in quella casa davanti alla sua.
Lui lo ringrazio scandendo le parole con piena voce, accompagnandole con un caldo sorriso: il filo sottile della timidezza svanita in un attimo.
Grau pensava che avesse davvero un bel sorriso, uno di quelli di cui si parla nei libri, di quelli così luminosi che sembra di essere di fronte al sole stesso. Lui si trovava davanti al sole e se ne stava innamorando, stava cadendo bruciando solo per lui. In quel momento non poté essere più d'accordo con il giovane Icaro; pensò inconsciamente che era proprio vero che ogni storia, in fondo, è una storia d'amore.
Mentre il ragazzo era intento ad uscire dalla casa, Grau d'istinto lo fermò prendendogli il polso, ma non ne sapeva il perché; era come stato stregato.
Il biondo si girò confuso, e Grau gli chiese la prima cosa che gli venne in mente: il suo nome. In effetti ancora non lo sapeva, ne era rimasto incantato ancora prima di conoscere quel dettaglio; quel ragazzo era il motivo per cui sarebbe rimasto con i piedi per terra invece di salire sulla torre dove tutto il mondo si apriva nei suoi occhi e taceva, lasciando spazio alle più vere delle false realtà generate dalla sua fantasia. Adesso non gli serviva più salire lì per sentirsi come in volo.
«Engelbert» fu il nome pronunciato dal biondo accompagnato da un'adorabile risata, dovuta all'aria completamente imbambolata di Grau, che non aveva ancora capito che cosa gli stesse prendendo.
Pensava gli calzasse a pennello, era proprio il nome perfetto per lui.
Glielo aveva fatto capire solo con uno sguardo: per la prima volta era stato vulnerabile davanti a qualcuno che non se ne era approfittato.
Si salutarono con un gesto della mano, ma Grau non voleva che se ne andasse, allora gli chiese a cosa gli servissero i fogli. Lui gli rispose che amava disegnare e che era in cerca di ispirazione. Grau ammise che anche lui la stava cercando. Engelbert gli propose di andare a cercarne insieme. Lui neanche lo lasciò finire che si ritrovò vicino a lui sulla porta, in segno di conferma.
Passò del tempo e si ritrovarono ad essere uno la fonte d'ispirazione dell'altro. Si vedevano quasi ogni giorno e sapevano tutto dell'altra persona senza bisogno di farselo dire. Si parlavano come se si conoscessero da una vita, ridevano, discutevano, piangevano, si consolavano... e si innamoravano. Ogni parola, ogni gesto, ogni sguardo li faceva innamorare ogni istante di più dell'altro e della vita, che pareva aver fatto loro il miglior regalo di sempre.
Grau canticchiava un lento motivetto, con gli occhi chiusi e la testa piegata all'insù, mentre ricordava tutti quegli avvenimenti. Caterina invece lo guardava con gli occhi spalancati e lacrimava in silenzio, senza sapere perché.
"Non dev'esserci sempre un motivo per sorridere, credo solo che facendolo ci si senta già un po' meglio", gliel'aveva insegnato Engelbert. Era una semplice affermazione, una di quelle che ti cambiano la vita.
Insieme erano una forza della natura, la chiara dimostrazione dell'amore di cui questo mondo avrebbe bisogno in più quantità, ma che invece stava e sta tutt'ora venendo distrutto da chi non l'ha mai saputo dare.
Mani unite dentro i cappotti, baci furtivi, parole dolci sussurrate all'orecchio; era di questo che si componeva il loro rapporto quando non erano soli. Non potevano farci niente, nessuno ha mai potuto farci niente, perché coloro che comandano credono sia sbagliato, che il "normale" sia l'unica strada giusta; e noi allora crediamo che se sono al comando vuol dire che sanno cosa stanno facendo, che hanno ragione.
Grau e Engelbert non sapevano né volevano sapere chi fossero queste persone, né cosa avessero in mente. Credevano semplicemente che per vivere bene dovevano stare nascosti da chi, quello che c'era fra di loro, non sapeva neanche cosa significasse.
Erano come bambini che, ormai abituati, smettono di chiedere perché, non per mancanza di curiosità, ma per la rassegnata consapevolezza che un motivo non c'è, almeno non uno che abbia senso o che sia ragionevolmente spiegabile.
Continuavano a vivere il loro amore con tutti loro stessi, come se nulla potesse mai davvero separarli, e il Silenzio mi ha detto che è così, che è sempre così per le coppie nelle quali c'è vero amore da entrambe le parti, e credo proprio che avesse ragione.
Finirono per avere quasi unicamente la compagnia dell'altro: sempre più persone non volevano avere a che fare con loro, si allontanavano, facevano finta di non conoscerli, come se essere semplicemente innamorati desse loro qualche problema. Il Silenzio mi ha detto che il perché lui non lo sa, e nemmeno Ink. Quelli che si comportano così non si sono mai confrontati con lui a riguardo.
Per i due ragazzi non mancavano le volte in cui venivano insultati, ma mai erano arrivati a subire oltraggi come accadde quel giorno.
Grau era uscito di casa per incontrare Engelbert; erano un paio di giorni che i due non potevano vedersi per problemi di salute di quest'ultimo, che aveva insistito a rimanere da solo per non far ammalare anche l'altro. Gliel'aveva detto tramite un foglio lanciatogli dalla finestra, e lui malgrado aveva dovuto accettare la sua decisione.
Appena posò gli occhi sul giardino di Engelbert, però, Grau perse un battito: il giovane pittore era inginocchiato a terra, circondato da ragazzi con espressioni soddisfatte, mani sporche di dolore, occhi dipinti da odio ingiustificato e superficiale, ma così forte e radicato da portarli a compiere quei gesti.
Engelbert sanguinava dalla testa, gli occhi erano inespressivi; uno dei ragazzi gli colpì per un'ultima volta lo stomaco con il ginocchio per poi andarsene seguito dagli altri. Diedero a Grau uno sguardo fugace ma intenso: non sarebbe servito ferire fisicamente anche lui per farlo stare male come, o forse peggio, del ragazzo lì a terra. Non esitò un attimo a raggiungere Engelbert che, per la prima volta almeno in sua presenza, piangeva.
Le persone che come lui sorridono sempre spesso fanno fatica ad esprimere ciò che davvero sentono in pubblico, ma quando lo fanno è perché hanno davanti la persona giusta, e lui ce l'aveva.
Dopo due giorni di dolore e speranza per entrambi quell'angelo raggiunse il cielo a causa di un trauma cranico che non erano riusciti a curare.
Grau si sentiva in colpa come mai in vita sua: si diceva che avrebbe dovuto essere lì con lui in quel momento, che avrebbe dovuto fare di più; si diceva che avrebbe dovuto provare ad alimentare anche solo un po' la sua luce, invece che starci sotto a vederla spegnersi lentamente. Se fosse stato lì Engelbert avrebbe totalmente smentito questa sua credenza, e il Silenzio non può essere che d'accordo: Grau era colui che più aveva supportato Engelbert e che aveva sempre prima di tutto tentato di farlo star bene, ma il dolore in quel momento lo accecava così tanto che pensava di meritare di essere stato al suo posto.
Allora fece quello che sentiva dal profondo di dover fare: scrisse un libro, un libro in cui racchiuse tutta la loro storia e i suoi sentimenti a riguardo. Non poteva più tenere tutto nascosto, la gente meritava di sapere. E non poteva continuare a nascondere sé stesso dietro le pagine per timore di morire. Ormai non aveva più niente di cui aver paura.
Il giorno della pubblicazione del libro, il 30 Aprile 1921, salì sulla sua torre, su cui non saliva dal giorno in cui aveva capito di essersi innamorato. Lasciò il libro al centro della superficie piatta e circolare all'apice della costruzione. Salì sul muretto che circoscriveva la superficie e saltò giù, con un'espressione rilassata, la quale dire che facesse paura è dire poco.
«Mi sono ucciso perché volevo vivere, ma la vita non mi dava le condizioni neanche per provarci» Grau non staccò un attimo gli occhi dal cielo, mentre pronunciava in tono flemmatico e nostalgico la fine della sua storia, di cui, sebbene non fosse stata raccontata ad alta voce, Caterina aveva sentito nelle vene ogni dettaglio; al posto del sangue inchiostro che sta scrivendo una vita.
Ink me lo aveva detto una volta: per trovarlo e parlargli basta cercare dentro di noi.
«Ti mancava troppo quella persona in particolare?» chiese Caterina, avendo compreso quanto Grau fosse straordinario. Quel palazzo la inquietava, aveva il cuore stretto in un filo.
«Che mi mancasse non c'è dubbio, anche ora non sai quanto voglia vederlo, ma non era solo questo» rispose Grau, finalmente guardandola in viso.
«E allora cos'era?» la curiosità fece capolino tra le sue iridi verdi oliva.
Grau ci mise un po' a trovare le parole giuste, e Caterina aspettò.
«Non riuscivo a sopportare il peso di quelle terribili realtà da solo. Con lui sembrava come se pesasse di meno: ci spartivamo il dolore in due e in due ci curavamo, era come una magia. Senza di lui...»
«Dovevi affrontare tutto da solo...»
«Già»
Caterina riprese in mano il libro che il giovane le aveva dato per presentarsi e lesse il titolo ad alta voce: «La Torre di Grau»
Sul suo viso si formò un'aria interrogativa, che, se prima c'era per esprimere un dubbio, una domanda tra sé e sé, ora era una curiosità espressa direttamente al suo interlocutore.
Allora lui spiegò: «C'era una torre, dove dicevo io, su cui salivo spesso per cercare ispirazione, per distaccarmi da tutto il resto. Poi ho conosciuto lui e la sua presenza mi bastava»
Caterina lo ascoltava, incanta da quanta forza potesse avere l'amore.
«Mi hanno detto che adesso quella torre porta il mio nome, sinceramente non avevo calcolato questa possibilità» sorrise divertito, si alzò dalla ringhiera dopo chissà quanto tempo e posò il suo quaderno.
La ragazza aveva ormai chiara quella fatidica domanda che avrebbe dovuto porre sin dal primo istante in cui era arrivata: «Perché siamo qui?»
Non era più solo una questione individuale, c'era qualcosa che la legava insieme agli altri a quel posto; di cosa era fatto quel filo che le teneva l'anima così stretta da farla soffocare nelle sue stesse emozioni?
Una curva soddisfatta trovo posto sul giovane viso di Grau e, sebbene fosse girato di spalle rispetto a lei, Caterina sembrò percepirlo.
Lui invece di rispondere chiese: «Tu cos'è che vuoi?»
«Puoi smettere di evitare le mie domande?!»
«Lo hai appena fatto anche tu»
Caterina prese un respiro profondo per rilassare i nervi; aveva appena trovato tutta la frustrazione che l'arrivo in quel palazzo aveva scatenato in lei. Iniziò a piangere, più forte dell'ultima volta.
Si straziò il viso fra le mani e si piegò sulle ginocchia, tentando di fermare il flusso di disperazione, che era riuscito a sfuggire al controllo dei suoi vigili occhi ed era diventato inarrestabile.
Affondò la testa tra le ginocchia e, dopo singhiozzi e respiri affannosi, riuscì a trovare la pace tra i suoi dolori e tormenti.
Stette in silenzio per un po', non si sa quanto: a lei sembrò poco, data la dinamicità della metropolitana che trasportava i suoi pensieri; Grau invece pensava fosse passato tanto tempo, dato il flusso di idee che lo attraversava come un pellegrino in cerca di un senso.
È incredibile come due persone nella stessa situazione possano essere così diverse. Il Silenzio mi ha detto che è proprio questo il bello delle relazioni umane, e non sono mai stata più d'accordo.
«Tornare a casa» dichiarò Caterina finalmente decisa.
«Mh?»
«Mi hai chiesto cosa voglio e io ho risposto»
Grau sorrise soddisfatto e si girò verso di lei: «Anch'io volevo tornarci»
Caterina piegò leggermente la testa di lato.
«Credevo che, una volta rivelata la mia storia al mondo, sarei stato ben accetto in città; pensavo che qualcuno a capirmi ci sarebbe stato. È come se mi fossi ammazzato sapendo che prima o poi sarei tornato in vita»
«E poi?»
«Poi ho capito che a volte non si comprende l'importanza di qualcosa finché non la si perde, che non si realizzano i propri errori finché le conseguenze non sono estreme»
Caterina stava per rispondere, quando Grau tirò fuori un foglio di carta piegato in quattro che lui aprì, rivelando un acquerello della sua figura in primo piano, illuminata da destra dal fresco sole primaverile, con un mazzo di calendule in mano.
«Inoltre, credo che lui abbia colto la parte migliore di me, e che se la sia portata via alla sua morte. Oramai gli appartiene, di conseguenza non sarei me stesso vivendo senza di essa»
Alla ragazza si illuminarono gli occhi alla vista di quel disegno acquerellato su cui si specchiavano tutti i sentimenti che Engelbert vi aveva impresso.
Non aveva bisogno di rispondere, il suo sguardo sapeva parlare meglio di lei. Disse invece un semplice e sincero «Ho capito», a cui seguì un sorriso proveniente dai battiti più profondi del suo giovane cuore, che neanche a metà tra la vita e la morte aveva smesso di amare.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 06 ⏰

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