Il giorno seguente, dirigendosi alla prigione con Machise, si sentiva tutt'altro che tranquillo: avrebbe incontrato di nuovo quello Spartano impiccione e, per di più, con l'amico al fianco; sapeva che sarebbe stata una mattinata a dir poco pesante.
Le sue supposizioni si rivelarono veritiere.
All'inizio coltivava ancora la speranza di riuscire a non incrociare Rinidoto, ma si rivelò presto del tutto vana dal momento che, appena iniziò il suo turno, sentì il peloponnesiaco chiamarlo dall'altra stanza; dovette quindi raggiungerlo, ma solo dopo aver avvertito Machise, per evitare inconvenienti.
«Cosa c'è?» chiese con un tono infastidito, appena entrato nel locale.
«Volevo chiederti se il tuo uomo fosse quello lì fuori: la descrizione corrisponde e vedo una certa complicità fra voi...» rispose quindi Rinidoto, con un sogghigno.
«Non sono affari tuoi».
«Dai, come si chiama?»
«Machise».
Forse il tono della sua voce, mentre diceva quel nome, si era involontariamente troppo alzato, e quindi il diretto interessato, ancora nello stanzone principale, lo udì e chiese:
«Aru? Mi stai chiamando?»
Lo spartano, sentendo il nomignolo affettuoso che Machise aveva utilizzato, si convinse ancora di più della sua idea e, ignorando le occhiate truci che Aruse stava indirizzando verso di lui, urlò: «Tu, di là! Vieni un attimo qui, che "Aru" ti vuole parlare».
Machise allora, titubante, si diresse verso la stanza e, quando si trovò davanti un Aruse con un'espressione a dir poco spaventosa inchiodata sul viso, al contrario divertito, del prigioniero, si grattò la testa, indeciso su cosa dire o fare.
«Hai bisogno di me, Aru?»
«Non chiamarmi così, mi dà fastidio» ringhiò il compagno.
«Ma se ti ho sempre chiamato così, fin da quando...»
«La trovo una cosa stupida. E comunque non voglio niente da te, ora» lo interruppe.
A quel punto Rinidoto, che era rimasto a osservare il loro scambio di battute, si intromise dicendo, beffardo: «Ho l'onore di assistere a una litigata fra amanti! Quale gioia».
A quelle parole Machise quasi saltò all'indietro: «Ma tu come sai che..., cioè, cosa stai dicendo, spartano?»
«Allora avevo ragione, "Aru"! Non fare quella faccia, forza» disse lui, afferrando la sua caviglia e strattonandola. L'ateniese perse l'equilibrio e cadde in avanti, andando addosso a Rinidoto.
«Perché non dovrei, stupido spartano. E non chiamarmi così, per gli dei!» sibilò, cercando di tirarsi nuovamente in piedi.
«Perché non è così male, no? Non dovresti avere un'aria così furiosa, ma anzi essere felice di aver presentato il tuo gentile compagno a un amico, no?»
A quelle parole Machise si scurì in volto e sussurrò: «Aruse, cos'è questa storia? Non dovresti familiarizzare con i prigionieri, per di più se spartani: potrebbero utilizzare la tua ingenuità per fuggire e...»
«Non è mio amico» disse ad alta voce, cosicché anche Rinidoto poté sentirlo, e con questo chiuse la discussione, abbandonando la stanza, seguito a ruota da Machise, ancora preoccupato.
«Senti, Aru, dico sul serio: cosa è successo con quello?»
«Niente, assolutamente niente».
«E allora perché sapeva di noi? Non ne abbiamo mai parlato qui, quindi mi sembra...»
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Ἐλευθερός - Libero
Fanfiction431 a.C., guerra del Peloponneso. Aruse, un soldato ateniese, sogna una farfalla bianca che attraversa il suo corpo e ne esce del color del sangue. Capisce che è una premonizione quando, il giorno seguente, durante una battaglia, si scontra con uno...