Mi sveglio all'alba. Non ho dormito molto bene e non ho sonno. Ho pensato tutto il tempo a lei, alla mia Cenerentola, che dorme ancora. Non si è mossa durante la notte, nessun suono, nessun rumore, niente.
Prendo dei crackers dal frigo e una bottiglietta d'acqua, mi siedo sulla sedia e rimango a guardarla mentre mangio, finché non si sveglia.
Apre i suoi occhietti celesti e se li stropiccia come fanno i bimbi piccoli, come faceva mia sorella e poi si siede sul materasso. É confusa, aggrotta le sopracciglia e le si creano tante rughette sulla fronte.
« Buongiorno » la saluto portando i suoi occhi su di me. É stranita ma, quando realizza ciò che è successo, allarga le iridi e si spinge indietro. Vorrebbe scomparire e ha paura, una paura matta.
« Cazzo! Ethan Wood! » schizza in piedi e corre verso la porta.
Rimango composto, seduto sulla mia sedia di legno.
Margot prova ad aprirla ma è chiusa a chiave. Non sono così stupido da lasciarla aperta. Una delle prime cose che avrebbe provato a fare una volta sveglia sarebbe stata sicuramente scappare.
« Cosa vuoi da me? » chiede con voce tremante ed io la guardo sorpreso. Pensa davvero che io voglia qualcosa da lei!?
« Niente, Cenerentola » mi alzo in piedi e la vedo esitare, spingersi verso la porta, ma l'unica cosa che faccio è aprire il frigo e prendere un'altra bottiglia d'acqua e altri crackers per poi porgerglieli. Le tremano le mani ma non si muove, non prende ciò che le ho offerto e quindi li appoggio sul tavolo.
« Quando vuoi mangiare o bere, il cibo è lì » glielo indico e mi siedo di nuovo sulla sedia per poi riprendere a mangiare.
Lei si avvicina, prende ciò che è sul tavolo e si va a sedere sul materasso.
« Perché mi hai rapito? » domanda cercando di mostrarsi sicura, anche se so che dentro lei sta morendo dalla paura che io le faccia del male.
« Non ti avrei di certo lasciata lì cosicché, una volta sveglia, saresti andata alla centrale di polizia più vicina a dire cosa avevi visto, o meglio, chi avevi visto » glielo spiego lentamente, per poi notare che sul cuscino c'è una piccola macchia di sangue. Colpa mia, le ho fatto perdere i sensi con quel ramo. Speravo, anche se non sarebbe stato possibile, di farle il meno male possibile.
Mi alzo di scatto e cerco un po' di ghiaccio nel frigo e quando lo trovo e mi avvicino alla sua piccola figura. Lei si rannicchia e cerco di rassicurarla dicendole che ha perso sangue dalla testa di notte e che voglio solo appoggiare quel cubetto di ghiaccio avvolto da uno straccio bianco alla ferita.
Esita ma poi mi lascia fare. Il suo profumo di vaniglia persiste ed è meglio così, mi piace il suo profumo, da morire.
« Dovresti marcire all'inferno! » mi urla dopo un po', dopo un po' di minuti in cui ha probabilmente realizzato cosa sta succedendo. Ma io resto in silenzio mentre le mie dita sono a contatto con i suoi capelli morbidi.
« Stronzo! Hai ucciso così tante persone »
Non sa qual'è il motivo però.
« Sei un mostro » lo dice con così tanto disprezzo che perdo le staffe.
Lascio cadere lo straccio e mi alzo in piedi puntandole il dito contro.
« Sai cosa ti sarebbe successo se non avessi ucciso quell'uomo, vero? Oppure te lo devo spiegare » affermo in preda alla rabbia.
Non mi aspetto di certo un grazie ma potrebbe evitare di usare quelle parole con me.
Margot non mi guarda nemmeno, ha il volto girato verso la parete e gli occhi fissi su ciò che sta mangiando.
« Bene, non mi lasci altra scelta. Quell'uomo ti avrebbe spogliata. Lo sai vero? E poi avrebbe abusato di te » la informo. « Ma ovviamente qualcuno da lassù ti avrebbe aiutata, no? E tutto questo sarebbe accaduto mentre il tuo fidanzatino andava a cercare i tuoi amici. E sappi che sarebbe stato così brutale che te lo saresti ricordata per tutta la vita ».
Ma chi si crede di essere? Dovrebbe solo essermi grata. Invece se ne sta lì, senza proferire parola. Anzi, una cosa la fa: si alza e mi si avvicina, alza il braccio e sta per darmi uno schiaffo in piena faccia quando la fermo prendendola per il polso.
« Perché non mi uccidi, come fai di solito con tutti » me lo propone come se stessimo parlando dei programmi per il giorno dopo.
« Perché non mi servi morta, Cenerentola » dico solo questo per poi sedermi a terra, accanto al frigo.
« Stronzo » sussurra poi tornando a sedersi sul materasso.
Forse lei non lo sa ma siamo uguali, l'unica cosa che ci differenzia è che io non sono indifferente alla solitudine e lei sì che lo è. La ignora, fa finta di niente e va avanti ma, se si è soli, si rimane soli. Lei sta con i suoi amici ma è sola, le mancano i genitori, come a me, e l'unica cosa che pensa è che quelli lì sono la sua famiglia, ma lei non ha più una famiglia e non lo realizza.
« Sei sola, Margot » le dico calmo « Sei sola come me »
« Come scusa? Io sarei sola? » sembra perplessa e irritata allo stesso tempo.
« Certo che lo sei, Cenerentola, non hai i genitori, sono morti, e i tuoi amici non possono sostituirli » scandisco per bene le parole e la vedo sussultare.
Passiamo il resto della giornata in silenzio, ognuno per i fatti suoi, finché non arriva la notte. Lei si sdraia sul materasso e si copre con la coperta.
Io non riesco a dormire. Da quando Margot è quì con me penso sempre di più a mia sorella. Mi manca, mi manca in una maniera assurda, ogni giorno di più. Mi manca parlare con lei, litigare con lei e trasportarla sulle spalle quando è troppo stanca per camminare. Mi manca come l'aria ma... non sono mai riuscito a piangere.
Continuo a pensare finché non vengo distratto da Margot, che si gira e si rigira sul materasso. Dalle sue labbra escono dei mugolii, simili al pianto di un bambino.
« Mamma... » spalanco gli occhi quando mi rendo conto che sta sognando i suoi genitori o meglio, sta avendo un incubo. Di colpo inizia a piangere nel sonno.
« No! No. Vi prego, non lasciatemi » mormora mentre non smette di piangere.
Poverina. Mi dispiace per lei e magari è anche colpa mia. É colpa mia se ora piange, sono stato io a ricordarle che i suoi genitori sono morti.
Mi avvicino alla sua figura tremante e mi siedo accanto a lei.
« Shh » cerco di calmarla mentre passo la mano sui suoi capelli corvini e sulla sua guancia. Raccolgo le lacrime che sta versando per colpa mia, le sue lacrime, che probabilmente sanno di rabbia mista a disperazione.
La mia povera Cenerentola.
Vengo colto da un sussulto quando noto che mi sta stringendo la mano, una presa sicura, ferma e, se provo a slegare le nostre mani, lei mi stringe più forte. Ora è questo il suo appiglio e, magari, nella sua testa, la mano che sta stringendo è quella di sua madre.
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Come Una Pervinca
RomanceSono ritenuto il criminale più pericoloso dell'Oregon ma io mi ritengo solo uno dei pochi presenti in questo piccolo stato. "Guarda quel mostro!" dicono tutti e possono fare quello che vogliono, loro, ma lei no. Lei non poteva dirlo o mi avrebbe dis...