La Chiusa 37

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Roberto odiava scendere la sotto. Essere un addetto fognario non lo aveva mai fatto impazzire, ma ripulire qualche tombino o aggiustare qualche tubatura era accettabile. Doversi recare laggiù, così in profondità, invece, gli aveva sempre rovinato la giornata. Dopo ogni alluvione, infatti, lui e i suoi due colleghi tiravano a sorte per decidere chi sarebbe sceso di "sotto" ad aprire la chiusa trentasette, che, come dopo ogni temporale, si era bloccata. Quella volta era toccato a lui e, dopo essere sceso molti metri sotto il livello del marciapiede, si ritrovò nello snodo fognario centrale della capitale. Da lì partivano i più grandi cunicoli di scarico della città che, diramandosi e intrecciandosi più volte in tutte le direzioni, formavano una fitta ragnatela proprio sotto i piedi degli abitanti.

L'enorme cloaca in cui si trovava aveva le pareti invase dalla muffa, che, in un ambiente così umido, prosperava. Quando doveva scendere là sotto Roberto prendeva delle precauzioni addizionali oltre agli scarponi antiscivolo e ai guanti protettivi. Trovandosi nel punto esatto in cui convogliavano tutti i canali di scolo, il fetore andava ben oltre a quello presente nei tombini stradali. Ancor prima di accendere la torcia, Roberto prese dalla borsa la mascherina isolante in cui, poco prima, aveva spruzzato del profumo. Appena se la infilò si concesse di respirare. Diede rapidamente un'occhiata in giro per orientarsi quando, illuminando l'area circostante, notò alcune strane forme sui muriintorno a sé. Delle piccole radicisi erano generate dalla muffa ricoprendo parte dell'ambiente. Avvicinandosi, Roberto si rese conto che le appendici della pianta erano avvizzite, ma quando fu a pochi centimetri dalla parete più vicina, percepì una pulsazione da parte dell'organismo. Istintivamente si ritrasse, sperando di essersi immaginato l'accaduto. Mentre rifletteva su quale tipo di pianta potesse crescere così in profondità decise di incamminarsi, quindi estrasse la mappa fognaria dalla tasca dei jeans, controllò il percorso da seguire e poi si avviò verso la chiusa difettosa.

Nonostante fosse stato lì già diverse volte, Roberto non abbassava mai la guardia: i fiumi sotterranei che fluivano al centro dei cunicoli erano molto più grandi dopo le precipitazioni, anche per colpa dell'odiata chiusa trentasette, ed era facile caderci dentro, perciò doveva prestare molta attenzione. Il pensiero di essere centinaia di metri cubi di cemento al di sotto della civiltà lo attanagliava, facendolo sentire come chiuso in trappola. Mentre camminava Roberto era attento a dove metteva i piedi, cercando di evitare il rischio di scivolare o di calpestare le sottili radici che si trovavano lungo il percorso. Per essere sicuro di proseguire sulla strada giusta faceva pause frequenti controllando la mappa che aveva con sé. Perdersi era semplice: intorno a lui si dipanavano circa 1880 chilometri di tubi e condotti, una distanza pari a quella fra Roma e Dublino, a cui si aggiungevano le varie catacombe che si estendevano sotto la capitale.

Dopo aver attraversato l'ennesimo canale Roberto arrivò a uno snodo secondario. Questo si apriva diramandosi in tre percorsi, ognuno corrispondente a una chiusa. Illuminò la cima di ciascun condotto, cercando sull'arco d'entrata il numero corrispondente. Prese quello più a destra che, in pochi minuti, l'avrebbe portato a destinazione. Mentre attraversava il varco, la luce della torcia si posò su un simbolo che Roberto non conosceva. Era un insieme di cerchi e di figure geometriche unite fra loro. Non riuscendo a capirne il significato concluse che fossero indicazioni per degli ingegneri che, prima o poi, avrebbero riparato la chiusa difettosa. Dopo essere confluito all'interno dello sbocco numero trentasette il fiume di rifiuti proseguiva verso il basso, formando una piccola cascata accanto alla rampa di scale su cui Roberto si stava inoltrando.

Dei leggeri schizzi lo colpirono, costringendolo a stringersi ancor di più al bordo vicino alla parete. Rimanendo attento a non bagnarsi, Roberto non vide una radice che fuoriusciva da un foro nella parete e vi inciampò, finendo a terra. Dolorante cercò di rialzarsi quando, maledicendo la pianta, sentì uno squittio provenire da poco distante. Un piccolo topo, seguito da un gruppo di simili più grandi, spuntò fuori dal percorso alla sua sinistra e si diresse velocemente verso di lui. Noncurante dell'uomo che aveva di fronte il roditore lo superò. Roberto era abituato a quegli incontri occasionali e non si scompose alla vista degli animali. Appena si rimise in piedi, però, si rese conto che qualcosa non andava: la colonia sembrava inseguire l'esemplare più piccolo. Una volta raggiunto, infatti, i mammiferi si avventarono su di lui mordendolo e strappandogli le carni, riducendolo a brandelli in pochi istanti. Le urla e gli stridii di sofferenza del topo riecheggiarono fra le gallerie, velati solo in parte dallo scroscio della cascata poco distante. Quando il pasto fu terminato, dell'animale non rimasero che minuscole ossa incrostate di carne. Confuso per quanto aveva appena visto e scosso per il comportamento della colonia, Roberto preferì proseguire; l'unico modo di scacciare via quelle immagini era pensare che mancava solo l'ultimo tratto: quello che attraversava i resti di una tomba romana.

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