Inchiostro Rosso

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Il bambino poggiò la fronte sulla corteccia, incrociò le braccia e iniziò a contare. Pronunciava i numeri a ritroso a voce abbastanza forte perché gli altri riuscissero a sentirlo. Appena prima di terminare il proprio compito percepì un leggero strattone alla maglietta. Interrotto, si girò, ritrovandosi davanti il fratello.

"Ezio," rispose spazientito il maggiore mentre si sistemava i vestiti, "chi fai ancora cca?"

"Miché, non sacciu aundi u m'ammuccio!" domandò insicuro il più piccolo.

"Le regole del gioco sono semplici: uno conta mentre gli altri si nascondono", puntualizzò Michele, "Quando la conta finisce, chi sta 'sotto' dice 'via' e comincia a cercare gli altri! A quel punto tu dovresti essere lontano, rintanato da qualche parte."

"Non so dove nascondermi!" ripeté con insistenza il bambino.

Michele fece per parlare, ma fu anticipato da un membro del gruppo:

"Allura? È così difficile contare indietro da sessanta?"

Sbucato fuori dalla siepe più vicina, Emilio, appena arrivato dalla città, non perdeva occasione per farsi forte, denigrando chiunque gli capitasse a tiro.

"Mio fratello non ha capito come si gioca," rispose infastidito Michele, poi continuò: "glielo stavo spiegando."

"Ho capito come si gioca, però non so dove nascondermi!" sbottò il fratello minore.

"Veniti fora, per colpa di Ezio dobbiamo ricominciare daccapo!" urlò il bambino, poi si rivolse a Michele e proseguì: "Ezio è troppo piccolo per giocare con noi!"

Altri cinque ragazzini uscirono dai propri nascondigli e raggiunsero i tre accanto all'albero che rappresentava la "tana".

"Non diciri scemenzi, Eziu ndavi sulu du anni menu i tia!"

"Io dico che dovrebbe darci una prova di essere degno di stare nel nostro gruppo!"

"E lo dici tu che vieni dalla città? Mio fratello ha più diritto di te di stare con noi! Sei venuto qui solo per paura degli americani!"

"Tu non hai paura che gli alleati ti uccidano?" chiese Emilio mentre esibiva un sorriso sprezzante.

"No, e suono curaggiusu!" replicò Michele con decisione.

"Fratita puru illu è coraggiusu?"

Il bambino sillabò l'ultima parola guardando Ezio.

"Certamenti cchjù i tia!" riprese il fratello maggiore.

L'orgoglio di Michele parlava per entrambi, mentre il fratellino, sentitosi messo in mezzo alla disputa, indietreggiò di alcuni passi.

"Dimostralo allora!" lo incalzò Emilio, "Mettiamolo alla prova! Se supererà il cartello in fondo al campo, arriverà fino all'albero e tornerà indietro, allora sarà uno di noi."

Emilio aveva toccato il tasto giusto, riconoscendo Ezio come il punto debole di Michele. I bambini, interessati al litigio fra i due più grandi appartenenti al gruppo annuirono, catturati dall'atteggiamento del ragazzo proveniente dalla città.

"Mama ndi proibiu u superamo chillu cartellu, dici ch'è periculusu, ca i americani potarrenu ndauiri ammucciatu di trappuli."

Michele era sulla difensiva, combattuto tra l'ordine impartito dalla madre e il desiderio di rispondere a tono all'odioso ragazzino di città.

"Non hai paura degli americani, ma hai il terrore di un cartello?" lo schernì Emilio.

"No è ca eu...è periculusi."

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