ALCIBIADE E SOCRATE p.1

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"Benvenuti allievi, io sono Socrate. Siete qui, o almeno lo credo, perché impariate la filosofia, il vivere la vita per quello che è, la verità."

Tutti i bambini si guardavano intorno incuriositi. La casa del maestro era piena zeppa di buffi gingilli e strani aggeggi. Quella stanza però, quella dove si trovavano loro, era la più bella. Tanto stupefacente da farli rimanere a bocca aperta. Era molto ampia e maestosa, ricca di banchetti e seggiole di legno pregiato ornati in argento, con enormi affreschi sulle pareti raffiguranti il momento del Simposio, grossi tomi erano impilati in un ordine disordinato sulle numerose librerie, i fogli bianchi sparsi per la stanza profumavano di quello stupendo odore che ha la carta pulita, le boccette di inchiostro emanavano un profumo che per alcuni degli studenti era paradisiaco, per altri meno. Tutti erano affascinati da un dettaglio che per un motivo o un altro attirava il loro sguardo vispo e curioso.

Solo un bambino non partecipava a quell'entusiasmo collettivo. Lui osservava solo il maestro, il grande filosofo.
Era un tipetto ribelle, coi lunghi capelli biondi che gli ricadevano sul volto scompigliati incorniciando la sua pelle olivastra e gli occhi verdi, in cui riluceva una sicurezza disarmante. Era intelligente, e si vedeva.

Lui mi darà grandi soddisfazioni, pensava Socrate silenzioso, senza proferire parola. Gli altri bambini avevano sì degli occhi intelligenti, ma solamente quel bambino aveva quel qualcosa in più. Era questo che attirava, e attirerà sempre, Socrate. Lui sapeva che quell'alunno sarebbe andato lontano, ne era certo.

"Va bene, ora iniziamo. Gli sguardi a me. Per prima cosa dovete avere la mente flessibile, elastica al ragionamento, pronta a trovare soluzioni alternative..."

Durante quelle due ore di lezione il biondino non si era mosso per niente, prendeva appunti e guardava il filosofo. Nient'altro. Sembrava una statua, e lo sarebbe stato se solo non avesse avuto la necessità di respirare.
Socrate lo osservò per tutto il tempo stupito e pieno di ammirazione.

A fine giornata di li congedò tutti invitandoli alla lezione del giorno seguente, tutti tranne quel bambino.

"Maestro" la sua voce era come il miele dolce ma allo stesso tempo roca. Devastante.

"Salve" rispose tossicchiando Socrate.

"Perché non mi hai congedato?"

"Posso sapere qual è il tuo nome?"

"Alcibiade."
"Alcibiade, tu andrai lontano ricordatelo."

"Sì, maestro."

Poi Socrate congedò Alcibiade e il bambino ritornò a casa.

Passarono i giorni e gli anni senza che i due si parlassero più, ma in entrambi cresceva il desiderio. Tra loro c'era una sorta di accordo tacito dove senza le parole comunicavano con gli sguardi, coi gesti, coi sospiri...

C'era un'ammirazione reciproca. Una tanta stima da farli sentire come una cosa sola e tutto questo era eccitante; sapere che tra loro c'era un legame tacito fatto di gesti che a immaginarseli propri ci si metteva un secondo.

Venne il fatidico giorno in cui Socrate dopo una lezione si ritrovò da solo nella stanza con Alcibiade.

"Maestro, non ho capito questa lezione sull'anatomia..." iniziò innocente Alcibiade, ma il suo sguardo diceva tutt'altro.

"Dimmi cos'è che non ti è chiaro" rispose con poca convinzione Socrate. Il cuore in gola.

"Beh, per iniziare - continuò lui avvicinandosi al filosofo - non ho ben chiaro dove passi la carotide per il collo..."

Socrate si avvicinò a lui e con mano tremante gli toccò il collo lungo la linea che percorre l'arteria.

"Quindi il percorso che fa è questo?" chiese Alcibiade al maestro mentre più veloce di un fulmine si avvicinava a lui e iniziava a dargli lenti baci sul collo.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 31, 2022 ⏰

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