PATROCHILLE AU

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Patroclo stava dipingendo. Quella tela bianca che lui poteva sporcare di ogni tonalità di colore per lui era come una seconda casa, un luogo dove sentirsi sicuro, protetto e amato.

Amato...

Era passato tanto tempo dall'ultima volta che si era sentito amato.

Era stato cinque anni prima, durante il primo anno di liceo. Lei era una ragazza bellissima, aveva due grandi occhi scuri e dolci che sembravano due mandorle e il bel viso dal colorito ambrato era incorniciato da una fratta di capelli sempre disordinati che le conferivano un'aria da ragazzina scarmigliata che ama correre nei prati e raccogliere fiori. In effetti lei amava raccogliere i fiori, i suoi preferiti erano i papaveri, Patroclo se lo ricordava bene. Se lo ricordava bene dal giorno di San Valentino, quando gliene aveva portato un mazzo; tutti i suoi compagni di classe ridevano, gli dicevano che quei fiori erano orribili e che sembravano già mezzo-appassiti. Lei però non aveva riso. Lei aveva sorriso, l'aveva guardato con gli occhi traboccanti di gratitudine e gli aveva schioccato un sonoro bacio sulla guancia. Quella sera poi gli aveva spiegato che i papaveri erano i suoi fiori preferiti perché riuscivano ad essere bellissimi anche se pieni di piccole imperfezioni che non tutti sapevano apprezzare. Gli aveva detto che quei fiori le ricordavano tanto lui.

Lei era così: trovava sempre il bello in tutto, anche nella distruzione. Si chiamava Briseide.

A Patroclo, Briseide, mancava tanto, tantissimo. Non gli mancavano però i baci, le carezze, le passeggiate attraverso i campi. A Patroclo mancava la sensazione di avere qualcuno solo per lui.

Patroclo non amava Briseide.

Aveva sempre creduto di farlo ma in realtà non era così. Le voleva bene però, le voleva bene un'amica alla quale si confida tutto e che conosce ogni piccola parte di te.

Patroclo stava osservando la tela bianca, ripensando ai suoi ricordi con la ragazza.

Patroclo fissava la tela immacolata e non sapeva come riempirla.

Come spesso gli era capitato in quei tre mesi, aveva allungato una mano verso una bella tonalità di verde e aveva iniziato a imbrattare la tela. Non stava dipingendo niente, eppure quel colore era confortante.

Non era un verde acceso come i prati dove lui e Briseide andavano per godersi un po' di tranquillità, non era un verde della tonalità del campo sintetico della scuola, dove i ragazzi della sua classe si divertivano a riempirlo di botte. Era un verde tenue, con delle sfumature tendenti all'azzurro, che ricordavano le onde del mare. Quel verde era quello dei suoi occhi.

Quel ragazzo. Il ragazzo del pianoforte. Patroclo sapeva che quel ragazzo sarebbe stato la sua rovina.

Ricordava le sue dita che si muovevano delicate sui tasti. Aveva delle belle mani: lisce e curate, con un sottile anello oro che adornava il suo indice sinistro.

Ricordava i capelli biondi del ragazzo, che gli ricadevano come una cascata di miele sulle spalle e che gli coprivano leggermente gli occhi quando chinava la testa mentre suonava.

Sembrava che quel ragazzo fosse stato scolpito dalle mani più abili del mondo nel marmo più pregiato: sembrava una creazione divina.

La cosa che però aveva affascinato di più Patroclo, facendolo rimanere lì a fissarlo come uno stoccafisso, a bocca aperta, per più di venti minuti, era il fatto che quel ragazzo sembrava non accorgersi dell'impatto che aveva sugli altri: pareva non rendersi conto di quanto fosse perfetto.

Lentamente la musica era sfumata ma Patroclo non si muoveva, restava a fissare il ragazzo quasi come se non potesse farne a meno.

Poi lui aveva aperto gli occhi, aveva alzato lo sguardo e aveva incrociato i suoi occhi scuri.

In quell'esatto momento Patroclo aveva scoperto che, fino a quel momento, il mondo era come se fosse stato grigio, triste.

I due ragazzi si erano studiati per parecchio tempo; uno dalla soglia della porta e l'altro da dietro il pianoforte.

<< Ciao. >> aveva poi detto piano il musicista.

<< Ciao... >> aveva risposto Patroclo, sentendosi salire il cuore in gola. Il ragazzo che osservava sempre suonare, finalmente gli aveva rivolto la parola: era un sogno. << Scusa, non volevo disturbarti. >> aveva aggiunto poi un po' imbarazzato.

<< Non mi hai disturbato. >> aveva risposto lui e sembrava essere stato sincero.

<< Suoni molto bene. >>

<< Grazie. >>

<< Scusa ancora per averti disturbato. >> aveva ripetuto Patroclo, grattandosi nervosamente la nuca.

Il ticchettio dell'orologio attaccato alla parete lo stava avvisando che doveva andarsene, altrimenti avrebbe fatto tardi alla prossima lezione, eppure lui non voleva muoversi.

<< Non disturbavi. E non disturbi neanche ora. >> aveva detto ancora il ragazzo, alzandosi dalla sedia davanti al pianoforte per poi avvicinarsi all'appendiabiti vicino alla porta; vicino a Patroclo.

La vicinanza con il ragazzo lo rendeva nervoso, così aveva deciso che avrebbe dato retta all'orologio e si sarebbe avviato verso la sua lezione successiva.

<< Scusa... devo andare. >> aveva biascicato lui, voltandosi verso la porta.

Qualcosa però l'aveva trattenuto all'interno della stanza: il ragazzo che stava di fronte a lui. Era stata sua mano poggiata sul polso di Patroclo in realtà.

<< Aspetta. >> aveva detto lui, utilizzando un tono di voce deciso ma addolcito dal leggero sorriso che gli aleggiava sulle labbra. << Come ti chiami? >> aveva chiesti poi, lasciando andare il polso di Patroclo e mettendosi lo zaino sulle spalle.

<< Patroclo. >>

<< Patroclo. Mi piace. >> aveva poi allungato la mano destra verso di lui << Io sono Achille. >> aveva detto poi sorridendo.

Due braccia forti ora stringevano Patroclo da dietro e un respiro caldo gli stava soffiando sul collo.

<< Cosa dipingi? >>

<< Nulla. >>

<< E allora cosa stai facendo con quel pennello in mano? >>

<< Lo uso per decorare la tela. >>

<< Con cosa? >>

<< Con il mio colore preferito. >> aveva detto Patroclo, appoggiando sul cavalletto il pennello sporco di tempera e accarezzando con la mano destra la testa del ragazzo alle sue spalle mentre passava il pollice sul freddo metallo di quell'anello che conosceva così bene. << Sto decorando la tela con il mio colore preferito, Achille. >>

Il ragazzo aveva lasciato un dolce bacio nell'incavo della sua spalla; poi invece, dopo qualche secondo, dolcemente, aveva detto: << Il mio colore preferito è quello della tua pelle al mattino, quando il sole che entra dalla finestra ti illumina il viso. Il mio colore preferito è quello delle tue labbra dopo che le bacio e quello dei tuoi occhi quando sei felice. Tu, Patroclo, sei il mio colore preferito perché mi hai amato veramente. >>

<< Achille... >> il suo nome. Non serviva altro per fargli capire che, con quelle parole, l'aveva reso l'uomo più felice del mondo.

Questo era sicuramente ciò che si provava ad essere amati. 

ONE-SHOT sull'età classica e la mitologiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora