CESARE E ARIOVISTO

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Cesare camminava cauto verso l'accampamento dei Belgi: doveva incontrare il loro capo.

Passò tra le sentinelle dichiarando il suo nome e il perché di quella visita e venne scortato fino alla tenda del loro comandante, colui che l'aveva fatto tribolare per mesi con i suoi capricci...

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Roma, 59 a.C.

Cesare uscì dalla stanza sbattendo la porta. Era deciso a ritirarsi. Non ne poteva più: ogni volta che lo convocavano gli chiedano l'impossibile; e questa volta non era l'eccezione che si aspettava. Volevano dichiarare guerra alla Gallia, ancora!

Cesare aveva provato a ribattere spiegando che la Gallia era un'importante alleata per la Repubblica Romana poiché era vasta e fertile, ma come al solito Crasso e Pompeo non gli avevano dato retta.

Così dopo un'accesa discussione aveva pensato che fosse meglio chiuderla lì e con un'esagerata foga e aveva attraversato a grandi falcate la stanza ed era uscito sbattendo violentemente la porta fatta di un pregiato legno, forse cedro.

Aveva le guance rosse di rabbia e gli occhi verdi erano lucidi. Com'era possibile che ogni volta che dicesse qualcosa veniva ignorato?!

Si mise a correre. Ormai lacrime copiose gli scorrevano sugli alti e perfetti zigomi e scendevano giù fin sotto il mento lungo e a punta.

Si nascose in un ripostiglio polveroso e chiuse la porta bloccandola con i piedi, non era accettabile che lo potessero vedere ridotto in quel modo e soprattutto che piangeva per un nonnulla. Solo le donne piangevano.

La luce del sole entrava dalle fessure del legno illuminando il viso dell'uomo. Nonostante avesse 41 anni Cesare era ancora un uomo affascinante: aveva un fisico muscoloso e scolpito che compensava la sua bassa statura; ma quello che colpiva di più di lui erano i suoi occhi di smeraldo e profondi come il mare che sotto il sole si coloravano di tutte le sfumature di verde possibili, erano più scuri all'esterno e più chiari verso la pupilla. Mentre il suo sguardo spesso duro e fiero era contrapposto alla dolcezza che in realtà aveva dentro e che solo in pochi fortunati avevano visto.

I capelli corti, ricci e scuri gli ricadevano sul viso e gli davano un'aria ancora fanciullesca nonostante iniziassero a diventare bianchi per l'età che avanzava.

Cesare alzò lo sguardo e guardò per un po' la luce che gli illuminava la tunica. In quel momento trovò il coraggio di alzarsi ed uscire per affrontare ciò che lo aspettava e scusarsi con i suoi colleghi ed "amici".

Così, asciugandosi le lacrime e alzandosi con fatica, aprì la porta dello sgabuzzino ed uscì. Mentre camminava tranquillo sentì una mano afferrargli la spalla e sussultò. Si girò pronto ad afferrare la spada corta che teneva legata alla cintola con un fodero di cuoio, ma non appena capì chi c'era di fronte a lui si rilassò.

"Mi hai fatto prendere un colpo, sai Bruto?"

"Ma padre... stai bene? Sembra che ti sia azzuffato nella polvere come un gladiatore..." Disse il ragazzo ridendo e poi facendosi serio all'improvviso. "Comunque non hai tempo per queste - ehm - cose. Pulisciti la tunica e ricomponiti perché vogliono rivederti, mi hanno detto che poco fa hai tenuto un comportamento... inopportuno, se così lo si può definire." Continuò Bruto ormai teso e preoccupato. "Sai quali sono le conseguenze? Potrebbero condannarti o, peggio, mandarti in esilio! Ma te ne rendi conto? Non pensi a noi? A come infangheresti il nome di tuo padre e quello dei tuoi antenati? Per non parlare di quello che comporterebbe per me e gli altri tuoi figli..."

Cesare, evidentemente scocciato, alzò gli occhi al cielo. "Basta Bruto! Parli sempre con questo fare insolente. Ciò che accade tra me e gli altri non sono certo affari tuoi, hai ben altro a cui pensare! Ora lasciami solo e torna a casa da tua madre e dai tuoi fratelli." Disse il padre al figlio con un tono duro che non ammetteva repliche.

ONE-SHOT sull'età classica e la mitologiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora