Prologo

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23 febbraio 1997,
Sacramento

C'è chi combatte per amore.

Chi per una causa.

Chi per sentirsi libero.

Chi per paura.

Chi per vendetta.

È sbagliata, dicono.
Ti corrode da dentro.
Ti mangia come un tarlo fino a quando di te non rimane nulla se non, lo stupido scheletro di ciò che sei stato.

Non ti porta a niente dicono.
Solo al male, ad un essenza di potere che svanisce come la luce di una stella morta.

Non è roba per bambini.
I bambini hanno l'anima colorata da sorrisi e innocenza.
La vendetta e l'odio sono nere invece.
Come catrame che cola sul cemento, sporco e ruvido.

«Chiama il 911...»

Io resto immobile.
Atterrito.
Il sudore che mi cola lungo la base del collo.

«Jax, piccolo mio... chiama il 911...»

Osservo il telefono stretto nella mia mano.
Le vene mi risalgono lungo l'avambraccio scheletrico, lì dove c'è un livido violaceo.
Un livido di qualche giorno fa.
Quello sarebbe andato via.
Ma non il dolore che si è incancrenito nel mio cuore.

Niente più colori.
Niente più innocenza, mamma.
Tu me l'hai portata via.
E quando una cosa viene portata via non torna più sai? Come un palloncino stretto tra le dita, che vola lontano.

«Jackson...»

Emette in un rantolio nel momento in cui lascio cadere il telefono a terra. Nel momento in cui capisce che non l'avrei aiutata.

Mi volto e l'abbandono lì, riversa nel suo stesso senso di colpa che la soffoca come le secrezioni che le escono dalle labbra pallide, gli occhi rigirati all'indietro.

"Se la lascio morire, andrà meglio.
Andrà meglio.
Non potrà più farmi del male"

Apro l'anta dell'armadio e mi ci rannicchio dentro, anche se inizio a diventare alto. Anche se inizio a diventare più grande.

"Sì, andrà meglio. Andrà meglio".

Stringo le ginocchia al petto, dondolandomi avanti e indietro, il legno vecchio che scricchiola.

Mi tappo le orecchie non volendo sentire il suono dei miei stessi pensieri.

I mostri non mi fanno più paura ormai.
È me che temo.
Me e ciò che sono stato costretto a diventare.

Irrompono nel nostro appartamento che sembrano passate ore.
Ma potrebbero essere passati solo minuti.

Mia madre viene issata su una barella e portata via. Io vengo trovato dopo un po', ricoperto dai lividi, sporco, smunto per il poco cibo ingerito quei giorni.

«Dio mio. Angie, chiama subito una volante e fate perquisire questa casa. Non preoccuparti piccolo, ti portiamo in un posto sicuro adesso».

Ci sono diversi modi di uccidere qualcuno.
E non tutti terminano con la fine della vita.

Né io né mia madre né mio padre eravamo morti.

Ma in fondo.

Era come se lo fossimo.

Era come se lo fossimo

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