ATTO PRIMO - Capitolo 1 - p.1

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Delhi era avvolta in una folta colte grigia, così densa che vedervi attraverso era quasi impossibile: si riusciva a distinguere solo poche e rade figure: erano le silhouettes dei palazzi che, minacciosi, si stagliavano sulla coltre scura come scogli in un mare torbido. Un mare di smog.

Da decenni l'India intera erano i detentori dei tristi record per le città più inquinate del mondo. L'utilizzo sconsiderato di carbone, benzina e, nelle zone più povere, di escrementi di animali essiccati aveva vomitato nell'atmosfera una quantità di diossido di carbonio pari a tre volte quelle dell'Europa con conseguenze drammatiche a livello locale. L'aria, infatti, certe volte era così irrespirabile che le autorità dovevano bloccare il traffico di veicoli privati per settimane intere per lasciare defluire tutta l'aria malsana altrove; le concentrazioni sempre maggiori di polveri sottili avevano invece fatto aumentare esponenzialmente il numero di tumori alle vie respiratorie registrati e abbassato a 67 anni l'aspettativa di vita media del Paese.

Delhi, per conto suo, era l'apoteosi dell'inquinamento che era causato perlopiù dal traffico. Quel giorno poi a terra la viabilità era particolarmente congestionata e migliaia di veicoli erano fermi o si muovevano a passo d'uomo in una miscela di clacson e insulti. Sterili imprecazioni volavano da una parte all'altra della strada e nessuno ne era risparmiato: a un incrocio un'anziana aveva appena maledetto la progenie di un tassista che per poco non la investiva, poco più in là un impiegato si domandava cos'avesse sbagliato nella vita per essere arrivato a cinquant'anni a lavorare per un'azienda casearia, proprio lui che era intollerante al lattosio. Una situazione al limite dell'esaurimento nervoso ma che in India, a Delhi, era la normalità.

E in questa confusione che, dall'alto ricordavano quella dei globuli rossi indaffarati a muoversi attraverso arterie e vene, il 19 Gennaio 2084 si muoveva silenziosa e veloce una figura: era una moto, una Royal Enfield Classic 350. Il guidatore era Devkinandan Bhatt, un cinquantatrenne dalla folta chioma scura brizzolata di bianco e gli occhi scuri come il fondo del caffè, la corporatura massiccia sembrava essere fatta apposta per la motocicletta. Il volto impassibile non faceva trapelare nessuna emozione, l'unica indicazione del grande sforzo che stava facendo e della concentrazione che gli richiedeva era data da un'unica goccia di sudore che gli colava lungo la tempia. A lui stava aggrappata la figlia, Naisha, di ventitrè anni, molto simile al padre come tratti, con il volto contratto in una smorfia di dolore. Era incinta. Ormai era questione di ore o minuti perchè che partorisse. Insieme stavano attraversando l'oceano di macchine diretti al Sushruta Hospital dove un amico medico, avvertito quella mattina stessa, aveva riservato loro una sala parto.

Finalmente, dopo uno slalom tra i veicoli eseguito alla perfezione, arrivarono all'ospedale. Dhaval, il loro amico, li stava già aspettando fuori. Prese immediatamente con sè Naisha e la fece sdraiare su un lettino con le rotelle. Le contrazioni e i dolori ormai erano quasi impossibili da sopportare. In men che non si dica erano dentro l'edificio e, scortati da un dottore e tre infermiere, arrivarono in sala parto. Qui la ragazza gravida tu fatta scendere dal lettino mobile, spogliata e rivestita con gli abiti adatti, e fatta sdraiare sul letto da parto. La stanza fu chiusa e il personale si mise all'opera.

In meno di venti minuti finì, accadde il miracolo della vita e un giovane essere umano nacque, una bambina per l'esattezza. La madre, fortunatamente era forte e non andò incontro a problemi di nessun tipo, così potè prendere in braccio la figlia, cullarla un poco e sussurrarle «Benvenuta mia piccola Anjali».

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