«Adesso rilassati, vedrai che ti divertirai alla festa.» Qualcosa, nella sua voce, mi ricordò il vecchio vestito color bluastro della mamma, quello che indossava le rare volte in cui lei e mio padre uscivano e la mamma andava a darmi il bacio della buonanotte. Allora strofinavo il mio viso contro il vestito e speravo, un giorno, di poter diventare altrettanto bella e aggraziata.
Presi un gran sospiro e appoggiai nuovamente la testa su di lui. L'uomo che non voleva presentarsi. Mi sentivo ancora priva di forza e totalmente incapace di scappare.
«Non ti lasceremo perdere questa occasione. Divertiti finché puoi, hai il nostro permesso.» Parlò. Poi mi prese le gambe e mi infilò un paio di sandali argentati. Erano proprio della mia misura.
«Mi lasciate andare.» biascicai.
«Temporaneamente.» Mi accompagnò fuori dall'auto. In equilibrio su tacchi molto più alti di quelli che indossavo di solito, mi sentì a mio agio come se portassi scarpe da ginnastica. Incredibile, pensai, quanto i soldi potessero renderti la vita comoda.
Dall'esterno della scuola cominciai a sentire voci e musica. La festa era iniziata.
«Ci sarà Colin a tenerti d'occhio.» Annunciò per poi baciarmi una guancia. Schifo. Schifo.
«Và a l'inferno.» Riuscì a dire. Poi lo vidi risalire su una jeep metallizzata nera e sparire oltre l'angolo.
Mi sentivo come se qualcosa mi avesse graffiata dentro, strappandomi via tutta la forza che potevo aver avuto prima. Era come se potessi a malapena stare in piedi. Ma raggiunsi l'ingresso della scuola, nonostante ondeggiassi pericolosamente. Sembrava che tutto il mio corpo stava cercando di espellere qualcosa, sputar fuori qualcosa, tossendo, dalle profondità del mio petto.
Non immaginavo che la serata sarebbe stata molto simile alle grandi feste a cui partecipavo di solito. Entrai nella palestra, dove si stava tenendo l'Homecoming, ma la luce cominciò a darmi fastidio. Chiusi gli occhi ed entrai in una forma di dormiveglia dove i pensieri si confondevano con rumori, agonie, parole che non riuscivo a comprenderne il senso logico. Barcollai fino a una sedia e mi appoggiai allo schienale perché non riuscivo a stare in piedi.
Riuscì a vedere Colin. Mi raggiunse e mi porse la mano. Io fissai le sue dita senza muovermi di un millimetro.
«Balla con me.» disse.
Lo osservavo di nuovo, con rinnovata attenzione: una leggera contrazione di un nervo attorno all'occhio, ripetuta e frequente, si allungava fino alle narici e si scaricava sul labbro, come un riflesso involontario. Si allontanò di qualche passo, e nel movimento intuii una leggera zoppia.
«Ci stanno osservando. Balla.»
Ebbi un istante di esitazione, poi gli presi la mano senza dire una parola. Colin ci condusse verso la pista da ballo. Alcune coppie si erano formate alle prime note di Adele.
«Che cosa mi hanno iniettato? Mi sento così debole.» Dissi.
«Una specie di tranquillizzante.» Mi attirò verso di sé, riuscendo a sostenere il mio peso. Stavo odiando l'essere impotente.
Vinse l'impulso a guardarmi attorno per controllare se qualcuno ci stava osservando e mi chiedevo cosa stesse succedendo. Il mio vecchio problema con il giudizio degli altri.
«Che ti è successo alla gamba?» Domandai.
Lo vidi guardarsi indietro per sincerarsi.
«Mi dispiace.» Digrignò i denti, mentre alcuni ricordi delle cose a cui aveva presumibilmente assistito negli ultimi giorni si rincorrevano nella sua mente. Per sopravvivere in mezzo a gente spietata bisognava essere altrettanto spietati.
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HUNT - Il marchio del cacciatore
FantasyA Modow, Eden Porter ha da poco perso il fratello, morto per mano del proprio padre, e da qualche tempo vive solo con la madre. Sembra una giovane ragazza come tutte le altre, eccetto che per una particolare voglia a forma di mezzaluna sulla spalla...