11. Marionette

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«Facciamo obbligo o verità.» Ovviamente fu una delle cheerleader a parlare. Odiavo quel gioco, ma dopotutto che altri piani avevo? Dopo la vittoria della squadra tutta l'adrenalina da festa fu trasferita a casa del capitano ed io non mi perdevo un'occasione per spillare alcool gratis.

Così alle due, ubriaca e stanca, ero seduta sul divano in pelle in compagnia dei vip della scuola. Ovvero, il caposquadra e la sua immancabile troietta/capo cheerleader, la migliore amica di lei e qualche altro giocatore che non aveva altro da fare.

«Hai rotto il cazzo, Maddy.» Parlò uno dei ragazzi.

«Sei davvero uno stronzo quando non ti scopi nessuna.» Ribatté lei.

«Ah, cazzo... coraggio, prendi quella bottiglia e mettila al centro.»

«Maddy ha colpito nel segno!» Alzò la voce Colin, il proprietario della casa. «Giochi anche tu?» Lo stesso mi rivolse la parola.

Mi scossi leggermente. Avevo smesso di ascoltare. Non lo sapevo, ma ormai avrei potuto tenere conferenze sui temi che avevano affrontato. Avevano discusso sull'appuntamento disastroso di Paige e su una questione irrisolta di Benjamin. Di cose simili potevano parlare per ore.

«Allora?»

«È una stramba, non giocherà mai.» Intervenne un altro.

«È uno stupidissimo gioco, perché non dovrei?» Risposi con tutta l'arroganza che avevo in corpo.

Sorpresi Colin ridacchiare e sporgersi per far girare la bottiglia. Pregai con tutto il cuore che non uscissi io, ma al terzo giro la bottiglia si fermò indicando me.

«Obbligo o verità?» Domandò Maddy.

«Verità.»

Maddy si battè un dito sul labbro, mostrando l'unghia laccata di blu acceso con i glitter. Mentre pensava, Paige cominciò a far girare fra di noi la seconda bottiglia di whisky ma io rifiutai.

Finalmente giunse alla domanda.

«Sei stata con Aurora?»

Tutti improvvisamente erano in attesa di una risposta.

«Ma che razza di domanda è?» Mi alterai.

Non ci parlavano da giorni. A scuola ci evitavamo e in giro pure. Una volta ho provato a sedermi in mensa al tavolo con gli altri ma mi sentivo troppo a disagio, mi guardavano tutti e poi c'era troppa tensione in quel tavolo.

Quindi da allora avevo deciso di evitare la mensa e di mettermi sotto il mio albero a mangiare. Ormai io e quell'albero ci facevamo compagnia come mai prima d'ora.

«Non vedi come se la tira, Maddy?»

«È stata lei a scegliere verità, non io. E poi che c'è di male ad innamorarsi della propria migliore amica?» Fece spallucce e nel frattempo mi lanciava occhiate.

«E i tuoi genitori devono essere stati davvero bravi per fare una stronzetta a loro immagine.» Risposi a tono.

Non avrei mai potuto essere amica di un essere posseduto dallo spirito di Regina George, la protagonista di Mean Girls, e diventare la mosca molesta che le ronzava intorno. Ho lottato per tenere in vita quel minimo di socialismo, sul serio, ma c'era un limite a ciò che il mio orgoglio poteva supportare.

Questo era il momento in cui avrei dovuto dire che era un cliché. E quando dico cliché intendo esattamente quel tipo di cliché. Il tipo di ragazza che potrebbe portare i jeans attillati e la maglietta sopra l'ombelico ma avere il coraggio di lamentarsi per qualche chiletto di troppo.

«E tu ti senti trasgressiva solo indossando quel mucchio di vestiti?»

E in aggiunta che pesava la bellezza in base a quanti ragazzi si faceva.

HUNT - Il marchio del cacciatoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora