40. Aurora

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Lacrime di rabbia mi offuscavano gli occhi ma cercai di ignorarlo quanto più possibile; dovevo essere lucida e trovare un diversivo, a ogni costo. Mi concentrai sull'ambiente intorno a me, pensando velocemente e cercando di scacciare dalla mente l'immagine di mia madre legata mentre veniva trascinata verso chissà dove. Sebbene io non conoscessi per niente quegli uomini, loro sembravano conoscere benissimo me. Sapevano quali erano i miei punti deboli ed erano decisi a sfruttarli fino in fondo per ottenere ciò che volevano.

Sospirai e strinsi i pugni, poi finalmente alzai lo sguardo su Colin.

«È alla vecchia fattoria.» Gli dissi.

Sulla parete c'era il pulsante dell'allarme antincendio. Lo azionai e subito cominciò ad echeggiare il suono di una campanella, che mandò tutti quanti in allarme. Cominciò un fuggi fuggi generale, e Colin ne approfittò per mescolarsi tra loro e uscire dalla struttura in mezzo a tutto quel caos.

D'un tratto una mano fredda mi afferrò il polso, che subito iniziò a prudermi e bruciarmi, e mi strattonò verso destra.

«Seguimi.» Ordinò lo sconosciuto.

Così feci, senza però avere il coraggio di tirar via il polso dalla sua presa, così attraversammo vari corridoi, svoltando prima a destra poi a sinistra, infine passammo sotto un arco decorato con mattoni molto antichi e uscimmo sul retro. Mi spinse dentro un auto e ci allottammo con molta fretta dalla scuola.

«Fai parte del Consiglio?» Chiesi. Non rispose. Non battè ciglio. Mi ricordava il personaggio di una leggenda o di un racconto popolare che era stato trasformato in pietra. Quale formula magica avrebbe potuto sbloccarlo?

«Non vuoi parlare, d'accordo. Mi state portando da loro?» Chiesi ancora. Ma non rispose nuovamente, limitandosi a guardare fuori, illuminata da una bella luna piena.

Dannazione. È così che iniziano le tragedie. Una bella luna piena, un tradimento e un omicidio.

«Spero che non si tratti di un esorcismo. So di non essere del tutto normale, ma non sono così male.» Provai a sdrammatizzare la situazione. Però ricevetti uno sguardo ambiguo. Esorcismo? Che aveva in mente quella setta satanista?

È il marchio che volevano? O qualunque mio potere? Cominciai a comprendere le parole di Colin.

«Faccio ancora in tempo a rivalutare il contratto di consulenza con il Consiglio?» Replicai facendo un sorriso sghembo.

L'auto si fermò e il signore accanto a me mi invitò a scendere dall'auto. Non riconoscevo il posto, ma so che eravamo vicini al lago. Ne sentivo l'odore.

In quel punto c'erano alberi e boscaglia intorno, e il terreno era altrettanto roccioso, ma in mezzo alle rocce c'era terriccio. Lo scagnozzo mi spinse di nuovo, oltre le rocce. Vedevo le onde che si infrangevano sulla riva dietro l'uomo dall'eleganza assassina.

Trascinai di nuovo lo sguardo sull'uomo che stava dritto davanti a me. E il freddo fiato del panico mi si insinuò nelle vene mentre ne prendevo piena coscienza: ero in trappola. Del tutto vulnerabile ai capricci di quell'essere folle, innaturale. Un essere che non voleva niente di più che vedermi morta.

Battei le palpebre sconvolta. Poi mi raggelai. Alla lettera sentii il ghiaccio insinuarsi nelle mie vene quando lo vidi prendere un piolo di legno da qualche parte lì vicino, mormorando: «È un bene che fossimo preparati per questo.»

Non so da dove venne la forza, suppongo di averla attribuita al panico o al terrore, piuttosto che a qualcosa di soprannaturale. Ma avanzai di qualche passo. Ma nel farlo avvertì un'aria diversa. Come se l'ambiente intorno a me fosse più distante di quanto fosse prima. Però alla mia vista comparve una figura: quella di Lauren. Stava piazzando candele nel terreno. E quando feci scorrere lo sguardo all'indietro lungo quelle che aveva già posizionato, vidi che avrebbero formato un cerchio completo attorno a noi. Un cerchio in cui non ero al centro, ma verso un lato.

HUNT - Il marchio del cacciatoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora