Come perle di un rosario

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Sgattaiola furtivamente dalla stalla. Il cortivo è avvolto nella bruma di un'alba appena abbozzata. 

La sinfonia di un nuovo giorno si diffonde nel cheto panorama rurale. Deve sbrigarsi a lavarsi e cambiarsi: tra un'ora la famiglia si recherà in chiesa per la messa granda. Prima, però, ha bisogno di mettere qualcosa nello stomaco. Sì, lo sa che dovrebbe stare a digiuno, ma dopo la notte inquieta e lo svuotamento delle viscere, al posto dello stomaco gli sembra di avere un pozzo senza fondo. Calpesta le foglie del fico sparpagliate attorno alla pianta: l'umidità notturna le ha rese viscide. Il legno consunto degli zoccoli, la confusione mentale di quel particolare momento e la fame che lo sta divorando, lo rendono insicuro sulle gambe. 

Ruzzola a terra. Impreca tra i denti. 

Maldestramente riesce a rimettersi in piedi, si scrolla dai calzoni alcune foglie. Entra in cucina immaginandola ancora deserta, invece trova la madre occupata a trasferire nel secchio la cenere del camino: servirà per fare la lissìa. La donna si piega con un lamento mettendosi una mano sulla zona lombare. Raccoglie alcuni ceppi, li adagia sul braciere; bisogna riscaldare subito l'ambiente prima che Agnese scenda con il bambino.

Anselmo stringe la lettera nella mano. Con destrezza la nasconde nella tasca dei pantaloni. Tentenna. Il volto, dai lineamenti ancora fanciulleschi, s'imporpora. Sua madre lo conosce bene: sa che le guance arrossate del figlio celano sempre verità nascoste.

– Buondì, – la saluta Anselmo, fingendo sorpresa.

Luigia prende la traversa appesa a un chiodo. Con i palmi liscia le pieghe della gonna scura, quella che indossa nelle feste comandate, con movimenti lenti annoda il semplice indumento dietro la schiena, poi, con le mani sui fianchi prominenti, inchioda i suoi occhi bruni sul volto guardingo del ragazzo.

El chichi ha già cantato da un pezzo, non lo hai sentito? Dormivi?

Le sue parole sono provocatorie, taglienti come rasoi. Le notti agitate del figlio superano facilmente la sottile parete che separa le stanze, lasciando poco spazio ai dubbi. Ogni movimento, ogni respiro, ogni suono, non trovano nessun ostacolo acustico. Una promiscuità tollerata a fatica soprattutto dalla giovane coppia.

Anselmo, palesemente a disagio, scosta dalla fronte una ciocca di capelli. Sa bene che a sua madre non può nascondere nulla, lei gli sa leggere i pensieri, anche quelli celati con cura nei meandri della mente. Ha ancora mille dubbi. Non si sente pronto. La mano spinge la busta verso il fondo della tasca. Si gratta la base del naso. Teme le reazioni della madre più di ogni altra cosa al mondo, persino più di quelle del padre.

– No, non l'ho sentito. Varda fora, se ancora note. E comunque ho fame! – Borbotta spostando nervosamente una sedia.

Luigia prende una tazza dalla mensola, la mette sul tavolo, accanto un piatto con alcune fette di polenta. Mentre scodella il latte osserva il figlio. Gli posa una mano sulla spalla. 

– Se fai la comunione non puoi mangiare polenta, queste sono per Agnese, e nemmeno dovresti bere il latte, lo sai, devi stare a digiuno che te fa ben anca par le budele. 

Lo sguardo è benevolo, un lieve sorriso di comprensione appare sul suo viso. Sa bene che Anselmo non può stare completamente con la pancia vuota, da piccolo sveniva continuamente in chiesa per il digiuno.

La donna siede di fronte al figlio, poggia i gomiti sul tavolo, i palmi sul volto rugoso.

– Fiol mio, cosa ti preoccupa? Sei pallido, hai le occhiaie. No te par gnanca ti...

Le labbra sottili, avvizzite, tremano, così come le mani callose che mette delicatamente su quelle del suo putelo. Le è rimasto quell'unico figlio, vorrebbe stringerselo al petto, attaccarlo al seno, cullarlo come fosse ancora neonato. Sente il cuore stretto nella morsa del patimento, come se una mano invisibile le stesse stritolando il petto. Avverte l'angoscia di Anselmo come una lama tra le costole. Non sopporterebbe un altro dolore. Lo sa. Sa bene che non deve agitarsi, il medico era stato chiaro quando una crisi respiratoria l'aveva immobilizzata a letto per diversi giorni.

– Luigia, mi ascolti bene, – aveva detto Sandro Pietrobon, el dotor  di Ponzano, Paderno e Merlengo, con il suo sorriso stanco nascosto da folti baffi ingrigiti. 

– Lei deve stare tranquilla, il suo cuore è fragile come il vetro, non può, anzi, non deve in nessun modo alterarsi, ogni emozione potrebbe esserle fatale.

 Anselmo si porta il cucchiaio colmo alle labbra, sente il latte scendergli faticosamente in gola. Ha un sapore intenso, acidulo. Abbassa le palpebre per nascondere l'inquietudine che lo sta mettendo alla prova. Deglutisce a stento. Non risponde alla madre che si rimette in piedi con un sospiro sostenendosi al bordo del tavolo. Non appena la donna gli volta le spalle, Anselmo, con una mossa fulminea, afferra una fetta di polenta che sparisce velocemente nella sua bocca.

 Non si è confidato, si è chiuso in se stesso. Anche da bambino faceva così; riusciva a tenere nascosta ogni birbata e, piuttosto di ammettere le sue innocenti colpe, era disposto a mentire. Luigia gli perdonava tutto; Anselmo era fragile e andava difeso, compreso, non rimproverato come faceva sempre Giuseppe, quel padre incapace di accettare, amare e capire quel figlio. 

La donna emette un altro profondo sospiro. Si fa un doppio segno della croce davanti al crocifisso appeso tra le due finestre dalle quali filtra una luce scurognola.

Tempo da neve, pensa Luigia, mentre con uno spillone fissa alla sommità del capo la crocchia di capelli grigi come il cielo, lì fuori. Prende il fazzoletto da testa, lo sistema bene sul capo, lo annoda dietro la nuca. Il riflesso alla finestra le rimanda un volto stanco. Gli occhi infossati, incorniciati da una ragnatela di rughe. La ragazza di un tempo non esiste più.

– Anselmo, serve legna per il fuoco, vai tu? Fai questo favore a la to vecia mare che la gà tanto mal de schena...

Il ragazzo lancia uno sguardo distratto alla madre. Ha altri pensieri che gli frullano nella testa. Altro che legna! 

Risponde a mezza voce dopo avere ingoiato l'ultimo pezzo di polenta.

– Sì, sì, vado, vado... Ma dopo che ho finito di bere il latte!

E dopo che vi ho parlato, mugugna, sempre più in apprensione per ciò che dovrà comunicare alla famiglia.

Luigia sbuffa. Sa già come andrà a finire. Come sempre, dovrà pensarci lei. Prende la ramazza e inizia a spazzare la cucina. Gesti consueti, sgranati negli anni come perle di un rosario.

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Note dell'autrice

Questi capitoli iniziali sono intenzionalmente brevi, mirando a essere sia "leggeri" che preparatori per quelli successivi, dove la narrazione si espande nella sua forma più profonda e drammatica. Questo ritmo consente ai lettori di immergersi gradualmente nel mondo della storia, stabilendo una profonda connessione con i personaggi. Man mano che la narrazione procede, la brevità cede il passo a un panorama più ampio e intriso di eventi e forti emozioni. 

Grazie a chi ha intrapreso questo lungo, meraviglioso viaggio assieme a me e ai miei personaggi.

Buona lettura.

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GLOSSARIO

cortivo - cortile

* lissìa =  liscivia

* traversa = grembiule

* El chichi = il gallo

* varda fora, se ancora note = guarda fuori, è ancora notte

* che te fa ben anca per le budela = che ti fa bene anche per le budella

* Fiol mio = figlio mio

* No te par gnanca ti...  =  non sembri nemmeno tu

* puteo = bambino

* el dotor = il dottore

* a la to vecia mare che la gà tanto mal de schena = alla tua vecchia madre che ha tanto male di schiena

LA MATRIARCADove le storie prendono vita. Scoprilo ora