Distico

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Se questo è errore, e mi sarà provato
Io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato.

Manuel un po' sorride nel passare gli occhi dagli ultimi versi della poesia a quelle due uniche righe lasciate all'angolo destro della pagina, e deve alzare l'angolo piegato per poter godersi a pieno quella improvvisata dedica che Simone gli aveva lasciato anni prima con la matita, accompagna da un cuore un po' storto ma tenero.

Ha davvero scritto.
Ti amo.

Sono le uniche parole che segnano il passaggio di suo marito, più giovane e ancora solo fidanzato, su quel libro.
Ha davvero scritto, e quel noi abbiamo davvero amato che aleggia nell'aria ora forse più che la prima volta in cui ci aveva posato gli occhi su quella pagina.

E Manuel si arrende, non fa più la guerra con il desiderio e l'aspettativa, con la voglia di correre, di urlare e magari anche di piangere, sventola bandiera bianca davanti alla mente che guida l'impulso di prendere le chiavi mettersi in macchina e guidare fino a quell'appartamento per riavere finalmente indietro quella vita che sembrava più una favola.

Si metterebbe a ridere Manuel, se si potesse vedere da fuori, mentre preso dall'eccitazione e dall'agitazione zompetta a destra e sinistra senza una vera direzione, e rimanendo sul posto, nel tentativo poco lucido di fare ciò che desidera, mentre continua a ripetersi bisbigliando "allora vado, ora vado, allora corro da lui, sì adesso vado da lui".

Poi quella trottola impazzita che sembra essere la sua testa, e che ormai ha perso il controllo del corpo, si ferma risvegliata dalla voce di Anita che comunica a Manuel di raggiungerli in cucina per la cena, e gli serve quel richiamo per fermarsi, respirare e compiere una breve e lineare lista delle cose da fare:
giaccone
chiavi della macchina
Simone
parlare.

Quando arriva in cucina da Dante e Anita ha una mano impegnata nel cercare di aiutare il piede a infilarsi in una scarpa, ché non ha neanche slacciato le stringhe nella paura di perdere tempo, come se poi non avesse fatto passare un mese prima di quell'epifania che lo ha colto nello studio, e l'altra a tastare ogni tasca, da quelle dei pantaloni a quelle della giacca, in cerca delle chiavi della macchina.

Anita sorride storta nel vederlo, e con un cenno della testa gli indica un mobile che si trova alla destra del ragazzo, sul quale, quando ci punta lo sguardo, trova l'oggetto del desiderio di quella mano impazzita nella fretta di cercare.

"Non ce sto pe' cena, io devo anda', devo anda' da Simone" gli dice, e se la sente la voce affannata, e un po' prega di non morire d'infarto proprio adesso.

"Vabbè ma mangia prima, ho cucinato io..." è la surreale risposta di Dante
"No ma infatti professo' mo me siedo e aspetto che me chiama pe' dimme che se sposa co' 'n artro, poi magari je vado a di' de sistema' 'r matrimonio nostro..." parla Manuel, ché gli sembra impossibile che gli altri non vedano l'importanza di non perdere un singolo secondo in più, ché di tempo separati ne hanno passato troppo, e non era mai successo.

E non aspetta che gli dicano altro mentre si dirige alla porta, e da lì sente Dante confabulare con sua madre "Ché poi je direbbe de sì anche in quel caso quella testa de cazzo..." il de mi fijo lo sente di nuovo solo come un borbottio, dietro la porta che si è chiuso alle spalle mentre correndo si dirige alla macchina.

Mentre guida cerca di mettere in ordine le idee, vuole arrivare da Simone con una sorta di traccia da seguire altrimenti, è sicuro, perderà il filo, non parlerà e loro si troveranno punto e a capo.
E deve stare attento alle parole che userà, sia perché vuole che l'uomo dall'altra parte capisca cosa ha vissuto e cosa lo ha portato ad essere il fantasma di se stesso, sia perché vuole essere sicuro di non ferirlo di nuovo, ché di male se ne sono fatti già abbastanza.

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