1.| Solite pare

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Playlist fool for you

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"Oh no! Sono in ritardo!"Aaron scattò fuori dal letto con un balzo atletico, si stropicciò gli occhi e si stiracchiò con un movimento fulminio delle braccia

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"Oh no! Sono in ritardo!"
Aaron scattò fuori dal letto con un balzo atletico, si stropicciò gli occhi e si stiracchiò con un movimento fulminio delle braccia.
Piuttosto intontito, inciampò di qua e di là mentre cercava di raggiungere l'armadio, e nonostante i problemi a mantenere l'equilibrio riuscì ad infilarsi un paio di jeans. Allungò la mano e afferrò la prima felpa che gli capitò a tiro, era una felpa color ametista, una delle sue preferite.
Si passò le mani tra i capelli con l'intento di metterli in ordine, anche se in realtà fece peggio. I suoi lunghi riccioli ambrati sembravano vivere di vita propria, ribellandosi ad ogni tentativo di Aaron di domarli. "Meglio coprirli" pensò pescando a caso un cappellino dall'armadio. "Ma perché non ha suonato la sveglia?" Continuò ad imprecare mentre si allacciava le scarpe ancora totalmente inebetito dal sonno dal quale si era bruscamente destato.
Afferrò il telefono, lo zaino e si precipitò verso la porta, quando si accorse di un dettaglio curioso: era tutto buio.
Dalla finestra aperta scorse un cielo tinteggiato di un oscuro blu notte punteggiato da brillanti stelle luminose.

"Ma che cazzo? No, non di nuovo"

Aaron sbloccò il telefono: erano le 03:36.
Era la seconda volta che gli capitava.

Aaron sospirò, un po' per il sollievo della scoperta di avere ancora qualche ora per dormire, un po' per il pensiero che l'ora di andare a dare il suo primo esame all'università non era ancora giunta. Un po' si sentì anche un imbecille. Si era addirittura vestito.
Si spogliò nuovamente e si buttò di peso a pancia sotto nel materasso, braccia sospese nel vuoto.
Avrebbe tanto voluto riprendere sonno velocemente ma non ce la fece. Il suo corpo voleva riposarsi, ma il suo cervello non era d'accordo. La sua mente continuava a centrifugare pensieri senza sosta, era inarrestabile.

Continuava a pensare e a ripensare all'incubo che lo aveva svegliato. Aveva sognato David, era con un altro ragazzo, camminavano presi per mano nel viale dell'università. Lui dietro di loro li osservava sconcertato, angosciato, sembravano felici e non sembravano curarsi di lui. Anzi sembrava proprio non si fossero accorti della sua presenza, eppure lui era proprio lì dietro, a pochi passi. Provò a chiamare David per nome, a catturare la sua attenzione in ogni modo, ma questo continuava ad ignorarlo mentre guardava negli occhi il suo compagno. Quest'ultimo alla fine lo notò, improvvisamente si girò a lanciargli un'occhiata torva, uno sguardo così lancinante che Aaron, anche da sveglio, non poteva scordarsi. Gli era rimasto impresso, e lo turbava. In un attimo, dal viale si ritrovò proiettato nell'aula universitaria, ma non c'era più nessuno, era da solo, era arrivato in ritardo, poteva avvertire l'angoscia ammanettarlo e farlo suo prigioniero. Un angoscia così forte e prepotente che a quel punto lo svegliò, facendogli credere di essere realmente in ritardo.

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