Capitolo 6.

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“La smetti di mangiare! Fai schifo!” gridò Violetta lanciando un tovagliolo accartocciato sulla faccia del suo amico. Leon si era divorato mezza torta da solo, era proprio un animale! Tutti i presenti scoppiarono a ridere, poi il ragazzo lanciò una linguaccia alla sua amica, per poi ricevere un’occhiataccia da Violetta. In tutta risposta, Leon prese un altro pezzo di torta e lo mangiò avvicinandosi alla mora, che lo guardava furtiva come a dire ‘Ce la vedremo più tardi, io e te’. Quel io e te, nella sua testa, risuonava come la melodia più bella del mondo. Un’armonia che le faceva venire i brividi solo al sentirne le prime note. “Leon, basta sul serio. Ti senti male, se continui a mangiare!” esclamò Clara togliendogli la torta da sotto il naso. Il ragazzo sbuffò, bevendo della Coca-cola nel suo bicchiere. “Ti sei riambientata bene a scuola, Vilu?” chiese Alejandro poggiando un braccio sulla spalliera del bianco divano in pelle, ed accavallando le gambe. “Oh, si! Tutti i professori sono stati molto contenti di rivedermi. Ed ovviamente anche i miei amici. Mi sono mancati così tanto”. L’uomo sorrise, spostando lo sguardo su suo figlio, come per avvisarlo che lo stava per colpire in contropiede. Doveva porgergliela quella domanda, doveva proprio. “E voi, vi siete rincontrati subito?”. Il volto di Leon diventò pallido, peggio di un fantasma. Suo padre lo stava per far vergognare da morire. Non perché non aveva incontrato subito Violetta, quella mattina, ma perché era con una persona che, sapeva benissimo anche se era da poco che si erano conosciute, alla sua bambina non piaceva, non andava a genio. Il cuore si fermò per qualche secondo, poi ripartì sempre più forte. Violetta si voltò verso il suo amico, il quale la guardò con un sorrisetto forzato e preoccupato, quasi isterico. “Veramente no. All’uscita…” rispose la ragazza, rivolgendosi ad Alejandro. “…non so con chi sia stato per tutte le cinque ore” mentì. Oh sì che lo sapeva, lo sapeva benissimo. Voleva solo sentirlo dire da lui, così da ammettere la cazzata più grande che avesse mai fatto. Tutti i presenti si voltarono verso il giovane Vargas, che era quasi sull’orlo di una crisi di panico. “E-ecco, dovevo finire i c-cartelloni…” spiegò passandosi una mano sul ciuffo, poi dietro al collo. Era nervoso, e Violetta lo notò subito. Solo che non ne capiva il motivo. Sì, certo, quella… Gery (?) non le andava molto a genio, e sapeva perfettamente che le piaceva Leon. Lo aveva capito dai suoi occhi, dal modo in cui la guardava. Era lo stesso modo nel quale lei guardava lui, lo stesso modo che Leon la guardava, solo che lei non se ne era mai accorta, né tantomeno lui. Insomma, Gery non le piaceva affatto, ma forse in futuro sarebbero potute essere amiche. Forse… avrebbero condiviso qualcosa. Magari avevano già qualcosa in comune, solo che ancora non lo sapevano. A parte il fatto che tutte due erano innamorate dello stesso ragazzo, ovviamente. Clara si accigliò, sentendo le spiegazioni del figlio. Era a fare i cartelloni, quindi non era con i suoi amici, quindi era con Gery, quindi non era con Violetta. “Aspetta, hai saltato tutte e cinque le ore solo per fare i cartelloni?” domandò Violetta mettendosi più composta sul divano, e voltandosi con tutto il corpo verso il suo amico. Leon annuì, grattandosi la nuca. Era nei guai? Mai e poi mai avrebbe voluto far soffrire la sua bambina, e più tardi avrebbe fatto i conti con suo padre per aver tirato fuori l’argomento. Non avrebbe mai voluto veder Violetta soffrire, non avrebbe mai voluto vederla piangere, né tantomeno per una persona come Gery. Lui non amava quella ragazza, lui amava la sua bambina. La sua piccola, fragile, ingenua e bellissima bambina. “E con chi eri?” chiese ancora la mora incrociando le braccia ed alzando un sopracciglio. Da parte di tutti i genitori uscì un “Uhhh”. Violetta li zittì tutti, e tutti alzarono le mani come a chiedere scusa. Poi puntò il dito contro Leon “E tu, rispondi” gli ordinò. Ci fu qualche secondo di silenzio. Leon riusciva ad avvertire solo il suo cuore battere a ritmo impazzito, e la sua testa stava scoppiando. Non riusciva a decidere se dirle la verità, o mentire. Se le avrebbe detto la verità, l’avrebbe ferita. Se le avrebbe mentito, lo sarebbe venuta a sapere, e l’avrebbe ferita. In ogni caso Violetta avrebbe sofferto comunque, e si odiava per il male che stava per provocarle. Si odiava nel profondo del suo cuore. Perché non era rimasto in classe, quel giorno! Avrebbe risparmiato tutta quella sofferenza. Deglutì, spostando lo sguardo fuori dalla grande vetrata che dava sul giardino. Poi abbassò la testa, iniziando a torturarsi le mani “Ti ricordi… Gery?” chiese pronto a ricevere una bastonata “Sì” rispose schietta e fredda Violetta. “Ecco… ero con lei” disse infine Vargas incrociando lo sguardo di Violetta. Ma in quel momento i suoi occhi non erano più color nocciola. Erano rossi, rossi fuoco. Stava per piangere. Rossi lacrime. Verde e rosso. Rosso e verde. Non era un bel miscuglio, come nocciola e verde. Quel miscuglio, era… spento. Non sapeva di niente. Mentre invece nocciola e verde, era la fine del mondo. Una combinazione di colori perfetta. Nessuno fiatò per un po’, nessuno sapeva che dire. Troppa era la tensione, e poi qualunque cosa avessero detto sarebbe stata sbagliata. Poi German spostò lo sguardo sul polso sinistro di sua figlia, notò che al posto dell’orologio che indossava qualche ora prima, ora c’era uno splendido bracciale tempestato di diamanti. “Che bello! Te lo ha regalato Leon?” chiese attirando l’attenzione su di sé, ed indicando il bracciale che aveva al polso Violetta. Tutti spostarono lo sguardo su quell’oggetto tanto affascinante. Clara sorrise, al ricordo del giorno di qualche settimana prima, quando accompagnò suo figlio a comprarlo. “Non so, mamma. Non mi convince nessuno. Secondo te un anello è ideale? Non sarà un po’ troppo?” disse Leon incrociando le braccia al petto e guardando insoddisfatto sua madre, concentrata a scrutare da cima a fondo una vetrina che esponeva molti bellissimi anelli. Sorrise al commento di suo figlio. Un anello. Ovvio che era ideale, era un regalo per Violetta, non per una chissachì! Si voltò verso suo figlio, ancora sorridente “Tesoro, Amore mio, luce dei miei occhi, vita mia…” disse poggiando le mani sulle sue spalle “…è un regalo per Violetta. Non vuoi comprarle qualcosa di speciale?”. “Certo!” esclamò schietto Vargas spalancando gli occhi “E’ solo che un anello mi sembra un esagerazione. Insomma, non stiamo insieme” continuò. Sua madre tirò un sospiro di esasperazione, volendo tanto che quello che aveva detto suo figlio non fosse vero. Lui e Violetta dovevano stare insieme. In un modo o nell’altro. “Anche se ti piacerebbe…” sussurrò la signora Vargas sorridendo maliziosamente e togliendo le mani dalle spalle di suo figlio. “Cosa?”. “Oh, nulla caro. Nulla”. Leon annuì, voltandosi e trovandosi una perfezione a pochi metri. Mise a fuoco l’immagine, e notò un bracciale d’argento tempestato di diamanti, proprio dall’altra parte del negozio. A grandi falcate raggiunse la vetrina, e lo scrutò nei minimi particolari, attento a non rovinare la vetrina che lo conteneva. Sorrise, dopo un buon minuto che lo stava osservando, chiamò sua madre, che stava parlando da sola. “Cosa c’è? Dobbiamo vedere l’anel… oh. Wow!” esclamò la donna trovandosi davanti quel bellissimo bracciale. Si lanciò un’occhiata d’intesa con suo figlio, e si sorrisero, prima di chiamare il commesso e comprare il bracciale. Avrebbe conquistato Violetta. “Sì” rispose Violetta cercando di mascherare un sorriso, era arrabbiata con Leon, e non sapeva se lo avrebbe perdonato. Perché non le aveva detto di Gery? Perché non le aveva detto che era con lei? Violetta già lo sapeva, ma avrebbe tanto voluto che a dirglielo fosse stato il suo amico, il suo migliore amico, del quale si fidava. “E’ molto bello” disse sinceramente German, sorridendo al ragazzo, il quale rispose al sorriso. “Ci sono state molte complicazioni, per questo braccialetto!” esclamò ridendo Clara, per poi tapparsi subito la bocca pentendosene subito. Ormai era troppo tardi. Leon la fulminò con lo sguardo, avrebbe dovuto chiarire anche con lei più tardi. I suoi genitori lo stavano facendo litigare con Violetta, con la sua bambina, con la persona che amava da sempre. Violetta si accigliò, guardando prima Clara poi Leon, con le labbra serrate tra loro, e gli occhi chiusi. “In che senso?” chiese a mezza voce la ragazza, scrutando il viso di Leon. Era strano, come se nascondesse qualcosa. Ci fu un periodo di lungo silenzio, non si sentiva niente, neanche Olga che lavava i piatti i cucina o che faceva qualcos’altro. Violetta e German stavano morendo dalla curiosità di sentire la risposta di Leon. Violetta, in particolare, aveva paura. Perché c’erano state complicazioni per il braccialetto? Cosa le nascondeva Leon? “Leon…” disse quasi in preda ad una crisi di nervi. Perché non le rispondeva! “Ecco… questo pomeriggio non trovavo la scatoletta. Allora ho chiamato Diego per aiutarmi a cercarlo, però non lo abbiamo trovato. Alla fine abbiamo ripercorso tutto ieri pomeriggi ed abbiamo scoperto che non era in camera…” spiegò Leon, tralasciando la parte finale. “E dov’era?” chiese German poggiando le braccia sulle ginocchia e il mento sui palmi delle mani, come i bambini quando sono presi da una storia. Leon spostò lo sguardo su Violetta, avevano entrambi gli occhi lucidi. Non voleva farle ancora male, non se lo meritava. Dopo tutto quello che stava passando, non le poteva ancora fare del male. Ma non voleva neanche mentirle, era la sua Bimba, e non voleva che ci fossero delle bugie tra di loro. “Lascia stare” disse Violetta lanciandogli un’occhiataccia e guardandolo in cagnesco, prima di alzarsi di scatto ed uscire di nuovo nel giardino sul retro. Era il suo posto speciale, un posto dove si rifugiava quando aveva paura. Un posto che le era appartenuto fin da piccola, quando restava sola e Leon non c’era. Quando era lei contro il mondo. In quel momento non era arrabbiata con Leon, non ce l’aveva con lui. Aveva paura, aveva solo paura. Paura di perderlo, paura che Gery potesse allontanarlo da lei. Paura che non sarebbero mai più stati quelli di una volta, quei due bambini che giocavano in quel giardino. Aveva paura di non essere più la persona importante della vita di Leon, aveva paura che non le avrebbe mai più dato quei bacetti sulle labbra, come quando erano piccoli. Quei bacetti che tanto amava, di cui ne aveva un assoluto bisogno. Si sedette sul prato bagnato dall’ umidità, a gambe incrociate e le braccia avvolte attorno al ventre come per proteggersi da un brutto colpo. Delle lacrime iniziarono a rigarle il viso, e il vento fresco di metà Dicembre gelava ogni riga, le scompigliava i capelli, ma a lei questo non importava. Improvvisamente sentì la grande porta-finestra aprirsi, e senza voltarsi riconobbe quei passi. Si facevano sempre più vicini, fino ad interrompersi del tutto affianco a lei. Leon si mise nella sua stessa posizione, restando in silenzio e guardandola. Non diceva niente, la guardava e basta. Violetta aveva una pelle bellissima, chiarissima, e alla luce della luna risultava ancora più perfetta. Era liscia come la seta, e forse anche di più, e chiara come il niente. Anche se il niente può essere di tutti i colori, dipende sempre dalle persone. Per Leon il niente era bianco, come la pelle di Violetta. Un leggero rossore, quasi roseo, era accentuato sulle guance della ragazza. Le labbra erano carnose e rosee, perfette. “Scusa, Bimba” sussurrò senza staccarle gli occhi di dosso. Violetta si voltò lentamente, immergendosi in quel mare verde che aveva davanti. Fece spallucce “Di che? Non è mica colpa tua” rispose tornando a guardare il niente nero davanti a lei. Per lei il niente era nero, un nero che più nero non si può. Un nero che non si poteva superare, il nero più scuro del mondo. Per Violetta il niente equivaleva al nero, perché se è niente non lo puoi vedere, ed è come il nero. Quando hai davanti qualcosa di nero non riesci a vedere nulla. “Invece sì. E’ colpa mia, è stata tutta colpa mia. Se hai avuto questa reazione, significa che non sono riuscito a dimostrarti quanto ancora ci tengo a te, quanto sei ancora importante. Per me non è cambiato nulla, in questi cinque anni, sei stata, sei e rimarrai sempre una delle persone più importanti nella mia vita. Non ti nascondo che anche Gery è stata importante, ed è tutt’ora importante per me. Te l’ho detto, è stato grazie a lei se ora gli altri mi riaccettano. E’ importante sì, ma mai quanto te. Nessuno può essere importante quanto te. Non so come spiegartelo bene, ma vedi, sei come la forza di gravità per me. E’ come se fossi così forte da attrarre me, e altre persone accanto a te. Non so se mi sono spiegato, ma ti voglio bene, Vilu. Più di qualunque altra cosa e chiunque altro al mondo. So che è una di quelle frasi di sempre, una di quelle fatte, ma credimi che lo sento sul serio. Non so come ho fatto tutto questo tempo, tutti questi anni lontano da te. Ma credimi se ti dico che ne sono valsi la pena. L’attesa ha ricompensa tutto, ed è stato meglio che tu non mi sia stata accanto per tutto questo tempo. Forse però non sarebbe accaduto niente se non fossi partita, ma non ti sto dando la colpa per questo, Bimba, credimi. La colpa non è di nessuno, è successo e basta. Non voglio perderti per una stupidaggine, soprattutto per una cosa sciocca che non significa niente. Sei tu la più importante, e questo non è cambiato e mai cambierà”. Violetta sentiva dentro di sé una sensazione piacevole, proprio sulla bocca dello stomaco. Sentiva una sensazione che la faceva star bene. Era innamorata. Si voltò ancora verso Leon, asciugandosi le lacrime e sorridendo leggermente. Gli si buttò addosso, allacciando le braccia al collo del ragazzo e lasciandogli piccoli ma intensi baci su tutta la faccia, evitando di proposito le labbra. Leon la circondò con le sue braccia, per poi mettersi in piedi e prendere i suoi fianchi. “Dimmi una cosa, per caso le piaci?” domandò Violetta poggiando le mani sul petto del ragazzo ed abbassando la testa. “Perché questa domanda?” chiese Leon sorridendo. La mora arrossì e il ragazzo poggiò due dita sotto il suo mento e le alzò la testa. “Così, solo per sapere”. Leon rise, per poi lasciarle un dolce bacio sulla guancia “Sì” rispose semplicemente il ragazzo, ricevendo subito un’occhiataccia dalla sua amica. Violetta aprì la bocca per parlare, ma Leon le mise un dito sulle labbra zittendola prima.
Violetta aprì la porta della sua stanza, seguita da Leon. Era da tanto che non trascorrevano del tempo insieme, e non vedeva l’ora di raccontargli tutto. La mora si sedette sul letto, mentre il ragazzo chiuse la porta, dietro di sè, per poi raggiungere la sua amica, sul letto. Si sdraiò accanto a lei, circondandola con le sue braccia e facendola accoccolare sul suo petto. Leon giocava con i capelli di Violetta, mentre lei guardava il braccialetto di stoffa che aveva al polso lui. Lo sfiorò con un dito, e sorrise. Poi guardò lo stesso, identico, bracciale che aveva anche lei. Non l’aveva affatto dimenticata. Sorrise, al ricordo del giorno che glielo regalò. Quanto tempo era trascorso, eppure.. ora erano lì. Insieme. Niente e nessuno li avrebbe più separati. Era una promessa.
 
 
 Andres raggiunse di corsa i suoi amici davanti agli armadietti, il loro punto di ritrovo. Con il fiatone, poggiò la mano sulla spalla di Federico e respirò a fondo. Tutti lo guardavano strano, poi Diego si decise a chiedere: “Che succede, amico?”. Il ragazzo fece altri due respiri profondi, per poi alzare la testa ed incrociare tutti gli sguardi dei suoi amici confusi. “Ieri pomeriggio, dopo le lezioni…” disse respirando a fondo “Cos’è successo?” chiese Camilla accigliandosi “…nell’aula professori” continuò. “Andres! Dicci cos’è successo ieri pomeriggio, dopo le lezioni nell’aula professori!” ordinò Federico ormai esasperato. “Ok. Vi dico che sarà un brutto colpo. Io ho pianto tutto ieri, fino a questa mattina” spiegò il ragazzo ancora appunto con gli occhi gonfi e lucidi. Tutti iniziarono a preoccuparsi di più. Cos’era successo di così grave? “Parla, Andres” disse Brodway. “Violetta… ecco, in realtà volevo che fosse lei a dirlo a tutti”. Francesca di impaurì ancora di più, più di tutti. La sua migliore amica. “COS’E’ SUCCESSO A VIOLETTA!” gridò, cercando si sfuggire dalla presa di Diego per andare a strangolare Andres. “Ecco… ho sentito che ha un problema”. “Che genere di problema!” esclamò Ludmilla con gli occhi fuori dalle orbite ed il cuore a mille. Federico cercò di tranquillizzarla, accarezzandole la schiena. “E’ malata”. Francesca a momenti svenì per la paura. “Di cosa?” domandò con voce spezzata Nata, che per tutto il tempo era stata zitta e stretta a Maxi. “Non ho capito bene, ma penso che si tratti di… un tumore al cervello”. Il cuore di tutti si fermò, e scoppiarono tutti in un pianto isterico. Francesca si accasciò a terra, continuando a gridare: “NO! NO! NO!”. Diego cercava in tutti i modi di tranquillizzarla, ma anche lui stava piangendo, e non riusciva a calmarsi. Camilla iniziò a dare pugni agli armadietti, piangendo come non aveva mai fatto, mentre Brodway e Maxi stavano cercando di rianimare Nata che era svenuta tra le braccia del riccioluto. Ludmilla si strinse a Federico, affossando il viso nel petto dell’italiano, e piangendo come un’isterica in preda a convulsioni celebrali. Federico l’aveva circondata con le sue braccia, e la teneva stretta a sé, piangendo anche lui. Violetta, la loro amica Violetta stava per morire. Da quanto diceva Andres, era malata di tumore al cervello, e il tumore al cervello difficilmente è curabile, quindi al 90% l’avrebbero persa. Nessuno riusciva a crederci. Violetta aveva solo diciassette anni, era una ragazza brava e gentile con tutti. Era ingiusto tutto quello, non meritava quello che le stava accadendo, non lo meritava affatto. “NO! NO! NON E’ VERO! NON E’ POSSIBILE!” gridò Francesca stringendosi a Diego, che l’accolse tra le sue braccia cercando di infonderle coraggio. L’avevano appena ritrovata, era ingiusto perderla per una malattia che non meritava! La vita era ingiusta! “NON E’ VERO!”. “Ehi, che succede ragazzi!” esclamò preoccupata Gery arrivata di corsa vedendo i suoi amici in quello stato. Nessuno le rispondeva, nessuno faceva caso a lei. “Andres, che succede!” chiese ancora, vedendo il suo amico asciugarsi le lacrime con il dorso della mano. “Pare che Violetta abbia un tumore al cervello” spiegò il ragazzo ricominciando a piangere “CHE!” gridò Gery spostando lo sguardo sui suoi amici. Violetta? La Violetta che ieri era andata via con Leon? Ma era una ragazza così giovane, come faceva ad aver un tumore al cervello? Era ingiusto. Scrutò i suoi amici, erano proprio disperati. Nata si era ripresa, ma come gli altri era scoppiata a piangere tra le braccia di Maxi, mentre Brodway cercava di consolare Camilla. “Ragazzi, vedrete che Andres avrà di sicuro capito male” cercò di rassicurarli lei con voce tremante. Le dispiaceva molto per Violetta, anche se non la conosceva. E vedere i suoi amici in quello stato, le spezzava il cuore. Voleva un gran bene a tutti, e si era molto affezionata. “Vedrete che è sicuramente così” continuò. “Ciao, ragaz… Che succede!” gridò Violetta lasciando la mano di Leon e correndo incontro alla sua migliore amica che si stava disperando. Abbracciò forte Francesca, accarezzandole la nuca “Perché non ce lo hai detto, Vilu! Perché!” gridò l’italiana scuotendola per le spalle. La mora si accigliò, cercando di capire la sua amica guardandosi intorno. Perché tutti stavano piangendo? “Ma di cosa parli, Fran?”. “Non fare la finta tonta, Violetta. Sappiamo tutto del tumore al cervello!” esclamò Camilla cercando di calmarsi. Violetta capì al volo e lanciò uno sguardo a Leon, che si era fatto serio come lei. Scostò le mani di Francesca dalle sue spalle, e le prese. “Chi ve lo ha detto?” riuscì a chiedere a testa bassa, come se si dovesse scusare di qualcosa. “Andres”. Tutti si voltarono verso il ragazzo “L’ho sentito ieri nell’aula professori. Ne stavano parlando, ma non sono riuscito a sentire bene”. Leon affiancò Violetta, circondandole la vita. “Perché non ce ne hai parlato, Vilu?” chiese una Ludmilla ancora piangente. “Non volevo… ecco, non volevo farvi preoccupare ulteriormente. So che le volete molto bene, ma non serve che vi preoccupiate così” rispose la mora. Tutti si accigliarono “Come ‘le’? Magari ‘ti’ vogliamo bene” disse Camilla. “Mi? Cami, non sono mica io quella che ha un tumore al cervello”. “Come no!” esclamarono tutti in coro, sempre più confusi “E allora chi è?” domandò Maxi. Violetta guardò Leon, il quale annuì leggermente incitandola a dire tutto. La ragazza abbassò la testa, lasciando le mani della sua amica. Fece un respiro profondo, e Leon la strinse di più a sé “Mia madre”. Restarono tutti a bocca aperta, per poi ricominciare a piangere. Maria. Era Maria che era malata di tumore, non Violetta. Era Maria che presto purtroppo li avrebbe lasciati. Era Maria che… no. No. No. No. Maria non poteva morire, no, non poteva lasciarli. Era stata come una seconda madre per tutti, li aveva aiutati in tutto. Sempre. No, non poteva abbandonarli, e Violetta? Come avrebbe fatto senza sua madre? Come sarebbe riuscita ad andare avanti senza una figura femminile di riferimento? Sarebbe stato tutto più difficile, tutto più duro senza sua madre. Una madre è come un’amica, una confidente, una persona a cui puoi raccontare tutto senza che ti giudichi o che ti dia consigli sbagliati, di proposito. Violetta si strinse di più a Leon, cercando di trattenere le lacrime, ma non appena il ragazzo le lasciò un bacio sulla guancia scoppiò. Tutti, uno per uno, la abbracciarono ricordandole che ci sarebbero stati sempre, in ogni momento. Non l’avrebbero mai lasciata sola.
 
 
 Ludmilla chiuse l’anta del suo armadietto, richiudendolo con la chiave per poi infilarla nella tasca dei jeans. Si avviò verso le macchinette, ma improvvisamente qualcuno la prese per i fianchi facendola voltare ed aggredendola subito con le labbra. Accadde tutto in un secondo, Federico la strinse a sé, sorridendo sulle labbra della bionda, per poi staccarsi ed ammirare la perfezione che aveva davanti. “Mi sei mancata” sussurrò l’italiano sorridendo. “Ma ci siamo visti cinque minuti fa in classe!” esclamò Ludmilla per poi scoppiare a ridere insieme al suo ragazzo. “Lo so, ma ogni secondo passato lontano da te è un inferno”. “Oh, Amore. Quanto ti amo” sussurrò la ragazza per poi allacciare le braccia intorno al collo di Federico e ricominciando a baciarlo con amore e passione. In effetti, anche a lei le era mancato, anche se era passato solo qualche minuto. Erano una coppia bellissima, e si amavano come nessun’altro. Nessuno li avrebbe separati, neanche sua madre, nonostante tutte quelle sue dicerie. Federico era l’amore della sua vita, e lo amava in un modo indescrivibile, ed era sicura di essere corrisposta. Infatti, anche per l’ italiano Ludmilla era la ragazza più bella che avesse mai visto. Il suo amore per lei era una cosa da pazzi, ma non gli importava essere pazzo se accanto a sé aveva la persona più importante della sua vita. “Anch’io ti amo, Amore mio”. Si presero per mano, per poi raggiungere le macchinette. Federico inserì quaranta centesimi, premendo poi il tasto con so scritto ‘Cioccolato’. “Ovvio, che potevi scegliere!” esclamò la bionda mordendosi il labbro inferiore e scuotendo la testa. “Senti, biondina. Ora solo perché a te non piace il cioccolato non significa che io non debba prenderlo”. “Senti, saputellino. A me piace il cioccolato, non lo mangio perché altrimenti i pantaloni non mi vanno più!”. L’italiano si girò di scatto verso la sua ragazza, fulminandola con gli occhi “Seriamente? Quindi il motivo per il quale non magi è perché hai paura di ingrassare?” chiese serio. Ludmilla annuì, per poi abbassare la testa “Ho sempre avuto questa paura, fin da piccola” spiegò. Federico la prese per la vita, attirandola a sé e facendo scontrare i loro petti. “Amore, non devi avere queste paure. Non succede niente se mangi qualcosa in più del solito, e se bevi un bicchiere di cioccolato caldo. Non devi vivre con questa fobia per il resto della tua vita”. La bionda sorrise, poggiando le mani sulle spalle del ragazzo “Sì, ma se ingrasso non ti piacerò più”. Federico rise, per poi lasciarle un dolce bacio sulle labbra. “Tu sei perfetta. Mi sono innamorato di te perché sei bella dentro. Ed anche fuori, ovvio! Però a me non interessa se prendi qualche chilo in più, anzi mi farebbe anche piacere. Sei troppo magra, e questo non ti fa bene” disse, per poi lasciarle la vita e prendere il cioccolato fumante dalla macchinetta. Sciolse lo zucchero, poi ne bevve un sorso e porse il bicchierino alla sua ragazza. “Che? No” rispose schietta allontanandolo con le mani “Invece si. Prendi” ordinò l’italiano porgendoglielo ancora “Fede, ti ho detto di no. Non voglio berlo”. “Per favore. Fallo per me” chiese facendo la faccia supplichevole. Sbuffò, per poi prende il bicchierino e berne un po’. Lo riporse a lui che scosse la testa e fece segno di ‘no’ con l’indice “Tutto”. Ludmilla lo fulminò con lo sguardo, bevendo tutto il contenuto nel bicchiere, gettandolo poi nel secchio lì vicino. “Brava” disse il ragazzo sorridendo. La bionda gli lanciò una linguaccia, sedendosi su una panchina. Federico la imitò, mettendole un braccio attorno al collo. D’un tratto Ludmilla si ricordò che avrebbe dovuto parlare con lui. Gli avrebbe dovuto spiegare tutta quella situazione che a sua madre non piaceva. Gli avrebbe dovuto dire che lui non le era mai piaciuto, e che vorrebbe separarli. Ma come faceva a dirglielo? Come faceva a ferire la persona che amava? Che farebbe di tutto pur di vederla felice. Però non poteva affrontare quel problema da sola. Non sarebbe riuscita ad affrontare la situazione senza nessuno accanto, sola contro sua madre. Certo, c’era Diego, ma cosa avrebbe potuto fare lui? La poteva confortare, come aveva fatto appunto il giorno prima, ma poi? Cosa sarebbe cambiato? Sarebbe riuscito a far cambiare idea a sua madre, riguardo Federico? Sarebbe riuscito a spronarla dalla sua convinzione che quel ragazzo non era giusto per lei? No, solo Federico ci sarebbe potuto riuscire. La bionda si fece seria, fece un respiro profondo. “Cos’hai?” domandò l’italiano accigliandosi e facendosi serio anche lui. Ludmilla abbassò la testa, iniziando a torturarsi le mani “Devo dirti una cosa”. “Dimmi”. “Ecco… hai presente mia madre?”. Federico annuì ripensando alla donna che era sempre tanto gentile e disponibile con lui. “Non vuole che… che… sti-stiamo insieme” balbettò, per poi far cadere la prima lacrima. “Dice che tu no-non sei il ragazzo giusto per me. E vuole che ci lasciamo”. Federico rimase senza parole. Priscilla, la madre della sua ragazza, voleva che loro due si separassero? Che si lasciassero? Che tutto il loro amore scomparisse in un ‘puf!’? No, assolutamente no. Non avrebbe lasciato Ludmilla, non l’avrebbe lasciata sola. Stavano insieme da più di un anno, e l’amava come il primo giorno. Non si sarebbero separati, per nulla al mondo. “E tutte quelle volte che…”. “Mentiva. Stava mentendo, per far vedere che era una perfetta madre. Ma non lo è, non lo è affatto. La odio, con tutta me stessa! La odio, la odio, la odio!” gridò la bionda, affondando la faccia nel petto dell’italiano, che cercò di coccolarla e tranquillizzarla. Le lasciò un dolce bacio sulla fronte, per poi prendere il suo viso tra le mani e sorriderle. Ludmilla si sciolse, come un ghiacciolo sotto il sole cocente di Agosto, e ricambiò il sorriso. “Stai tranquilla. Non ti lascerò mai, dovesse anche finire il mondo. Ti amo, e questo non cambierà” sussurrò Federico, dando poi vita ad un bacio passionale insieme alle labbra della bionda. Quando si staccarono, il ragazzo poggiò la fronte su quella della sua fidanzata, e con i pollici le accarezzò le guance asciugandole le lacrime. “Ti amo, anch’io” rispose Ludmilla sorridendo dolcemente. “Nessuno ci separerà, promesso”. “Ma come faremo, con mia madre? Se sa che stiamo ancora insieme mi manderà da mio padre” spiegò. “Allora lasciamoci”. “CHE!” gridò Ludmilla separandosi dal ragazzo e scrutandolo attentamente. Federico scoppiò a ridere scuotendo la testa “Vuoi che ci lasciamo?” esclamò la bionda sempre più stupita. “No, no. Assolutamente no. Sto solo dicendo che potremmo far finta di esserci lasciati” spiegò. “Ahh. Mi hai fatto prendere un colpo!” disse la ragazza dandogli un colpo sul braccio. L’italiano rise ancora attirandola a sé, e guardandola intensamente negli occhi. “Non potrei mai separarmi da te”. La bionda gli sorrise, lasciandogli un bacio a stampo sulla bocca “Neanche io. Non riesco ad immaginare la mia vita senza te”. “Voglio stare per sempre con te”. “Per sempre”. Entrambi annuirono sorridendo, dando poi vita ad un altro bacio pieno d’amore. Nessuno li avrebbe separati, sarebbero stati insieme per tutto il resto della loro vita. Avevano solo diciassette anni, ma già stavano programmando la loro vita.
 
 
 La campanella dell’ultima ora suonò, tutti gli alunni uscivano a folate dal grande edificio. Dopo cinque ore di lezione non vedevano l’ora di tornare a casa e dimenticarsi per qualche ora della scuola. Era venerdì, e il week-end avrebbero dormito fino a tardi. La settimana che veniva avrebbero finito la scuola, sarebbero iniziate le vacanze di Natale. Natale: una gioia per molti. Regali, festa, famiglia, calore… ideale. Violetta e Leon uscirono mano nella mano, scesero le scale e si accomodarono sul piccolo muretto che circondava l’edificio. Si erano messi d’accordo con gli altri, che si sarebbero accordati per la festa del giorno successivo. Sarebbe stato il compleanno di Camilla, e la festa si sarebbe svolta in una discoteca: il Vampires Black. Era la discoteca più famosa di Buenos Aires, e la rossa aveva deciso di festeggiare proprio lì. “Sai già cosa ti metterai domani sera?” chiese Violetta voltandosi verso Leon “Un’idea ce l’avrei, ma non ne sono sicuro. Tu?”. “Sì! E’ un vestito che avevo comprato quest’estate a Madrid! E’ bellissimo!” rispose molto entusiasta la ragazza. Leon fu contagiato dalla risata della sua amica, poi però si accigliò, ripercorrendo con la mente le parole di Violetta, un paio in particolare lo colpirono: vestito, estate. Vestito. Estate. Estate. Vestito. No. “No, frena, frena, frena” disse parando una mano tra loro. “Un vestito che hai comprato quest’estatea Madrid?” ripetè il ragazzo. Violetta annuì curiosa della domanda dell’amico. “Se è un vestito, significa che è corto. Quanto?” chiese guardandola di sottecchi facendola scoppiare a ridere. In quel momento Leon si innamorò di quella risata, tanto soave e bellissima. Delicata e piacevole. “Tu non ti preoccupare di questo. Ci sarà mio padre a farmi il terzo grado”. “Come non mi devo preoccupare! E se qualcuno… prova ad ‘alzare la gonna’? Capisci cosa intendo?”. Violetta annuì sorridendo  “Sì, ho capito. Ma non ti devi preoccupare di questo perché so due cose!” esclamò mordendosi il labbro inferiore. Il ragazzo sorrise, sedendosi meglio sul muretto “E sentiamo, quali sarebbero queste due cose?”. “Allora, per primo so che se qualcuno ‘proverà ad alzare la gonna’, come dici tu, lo diciamo, ucciderai?” spiegò, facendolo scoppiare a ridere. “Ok, questo è giusto. E la seconda?”. “Per secondo so che non mi lascerai mai da sola, e quindi non correrò quel pericolo”. Sul viso di Leon si stampò un’espressione come a dire ‘Brava, vedo che hai capito tutto’. Annui sorridendo “Esatto, perché tu sei solo mia. Solo ed esclusivamente mia. Il che significa che non puoi, ma soprattutto non devi, mai separarti da me. So come sono queste feste e so cosa succede se bevi un po’ troppo, quindi prometti che non cercherai di allontanarti da me” ordinò Leon puntandole l’indice contro. “Promesso. E comunque, non mi sarei mai allontanata da te”. Si sorrisero, poi lui la fece accoccolare sul suo petto, ed in quel preciso momento arrivarono Francesca e Diego mano nella mano, Brodway, Maxi e Nata. “Ehi, piccioncini! Aspettate da tanto?” chiese Francesca entusiasta di aver dato loro quel soprannome “Fran!” esclamò Violetta esausta. Lei e Leon non stavano insieme, ed entrambi non riuscivano a capire perché i loro amici continuassero a pensare il contrario. Erano solo migliori amici, punto. “Scusa, scusa” rispose la mora alzando le mani. “Gli altri?” domandò Vargas. “Ludmilla e Federico stanno arrivando, mentre Camilla non so” rispose Maxi facendo spallucce. “A me ha detto che doveva aspettare sua cugina, ha detto che verrà anche lei alla festa e vuole che la rendiamo partecipe perché da lunedì farà parte della nostra classe” spiegò Nata. “Sì è vero. Io l’ho conosciuta, ed è davvero gentile… e bella!” esclamò Brodway dando una gomitata a Leon. Entrambi risero, Violetta lanciò un’occhiataccia a Leon, il quale rispose stringendole di più la mano. “Brod, guarda che lo dico a Camilla, eh!” lo minacciò Violetta puntandogli il dito contro. “Ma lo sapete che scherzo. Io amo solo Camilla!”. “Certo, certo. Solo lei” intervenne Diego sorridendo maliziosamente “E tutte quelle spogliarelliste che ti giravano intorno l’altro sabato?” esclamò Leon, questa volta dando lui una gomitata al brasiliano. Brodway alzò le mani in segno di difesa “Ehi! Erano loro che giravano intorno a me, non il contrario!”. Tutti scoppiarono a ridere “Poi non solo a me, vero Leon, Diego, Maxi?”. Violetta, Francesca e Nata a loro volta spalancarono la bocca e diedero una pacca ai ragazzi di fianco a loro “BRODWAY!” gridarono in coro i ragazzi “Ma bravi, ve la spassate e non ci dite nulla!” esclamò Nata incrociando le braccia al petto con gli occhi di fuoco. “Potevate almeno avvertirci!” disse Francesca fulminando Diego, il quale stava ridendo sotto i baffi, cercando di trattenersi. “Tu non puoi prendertela con me perché sei tornata ieri!” si difese Leon ridendo, rivolgendosi a Violetta. “Giusto sì” rispose la mora annuendo tranquilla, “Ma non dovevi andarci a prescindere!” gridò improvvisamente contro Leon, il quale scoppiò a ridere. “Dai, Bimba. Era solo una serata come tante. Non è successo niente” spiegò il ragazzo cercando di giustificare il malfatto. “Io non direi, ti ricordi quella bionda che ha cominciato a ba…”. “MAXI! Non mi sembra il caso!” lo liquidò Leon con gli occhi di fuoco. Il riccioluto alzò le mani, tornando a Nata “No, Maxi. Continua invece… sono molto curiosa” disse Violetta incrociando le braccia al petto “No, non è successo niente, Vilu”. La mora alzò un sopracciglio, cercando di convincersi davvero di quello che dicevano i suoi amici, poi si voltò verso Leon, il quale fece la faccia da angelo innocente e fece ridere la ragazza. “Per questa volta passa” disse sorridendo e puntandogli il dito contro “Oh, grazie, Bimba. Che onore!”. “Prendi anche in giro?”. “No, no. Scherzavo” rispose difendendosi. “Mh, meglio così”. Tutti scoppiarono di nuovo a ridere, poi si sentirono dei passi andare verso di loro. Federico e Ludmilla li stavano raggiungendo mano nella mano. Di fianco a loro c’erano Andres e Gery che chiacchieravano, e non facevano caso agli amici che li stavano guardando. “Camilla non è ancora arrivata?” esclamò Ludmilla stupita. La rossa le aveva detto che sarebbe stata una delle prime ad uscire e ad aspettarli sul muretto. “A me ha appena inviato un messaggio. Dice che tra due minuti sarà qui” intervenne Gery fissando lo schermo del cellulare. “Ho fame!” esclamò Federico lamentandosi come un bambino “Che novità!” gridarono tutti in coro, facendo spaventare il ragazzo. “Ehi! Io non mangio tanto!” si difese. “Oh, certo Amore. Ed io sono Lady Gaga”. Partì una fragorosa risata mentre il ragazzo si morse il labbro inferiore scuotendo la testa. “Fede, sei riuscito anche a superare Leon quando avete fatto a gara a chi mangiava più panini del Mc!” ricordò Gery. “Ah, sì me lo ricordo quel giorno, è stato memorabile! E’ stata la prima volta che Leon Vargas è stato battuto!” rispose l’italiano “Oh ma stai tranquillo che mi rifarò la prossima volta” lo minacciò Vargas guardandolo di sottecchi. “No, grazie. Non voglio vomitare per una settimana, mi è bastata e avanzata quella volta”. “Faccio io a gara con te, amico!” intervenne Andres proponendosi ed alzando la mano “Ben accetto, amico!” rispose Leon stringendogli la mano. “Oh per favore, Andres! Non arriveresti neanche a tre! Leon è il migliore” disse Gery incrociando le braccia al petto, e ricevendo un “Uhh” da parte degli altri amici. Violetta, che fino a quel momento era rimasta zitta per non scatenare la Terza Guerra Mondiale, strinse sempre più forte la mano di Leon, incenerendo Gery con lo sguardo. Il ragazzo si voltò verso di lei, sorridendo per la sua gelosia, così le circondò la vita lasciandole la mano, ed attirandola di più a sé. “Ah, Leon ti ricordi che hai promesso che oggi pomeriggio mi portavi al cinema?” chiese Gery. Violetta stava per scoppiare a gridarle in faccia che non si doveva azzardare ad avvicinarsi a Leon, che non gli poteva  stare a meno di venti metri di distanza, che Leon era suo, e che se lo poteva anche dimenticare! Poi arrivò il colpo di genio “Oh, Leon, mi sono appena ricordata che ieri papà mi ha chiesto se questo pomeriggio volevi venir a studiare da me”. Leon si accigliò, alzando un angolo della bocca, beffando della gelosia della ragazza. “Ma oggi è venerdì, e domani non abbiamo scuola. Che senso ha studiare? Potete farlo direttamente domani pomeriggio” disse ancora la mora. “In realtà, domani pomeriggio mi deve aiutare a prepararmi, giusto Leon?” chiese la ragazza voltandosi verso il suo amico, il quale si stava gustando tutta la scenata di gelosia. “Sì, è vero. E’ meglio che studiamo oggi, domani c’è la festa. Non ti dispiace se rimandiamo l’uscita al cinema, vero? Magari la prossima volta potremmo organizzare con tutti, che ne dite?”. “Sì!” gridarono gli altri in coro. “Aspettate, quindi viene anche lei alla festa di Camilla?” domandò Gery indicando Violetta, sempre più vicina a Leon. “Sì, perché ci sono problemi?” domandò Francesca incrociando le braccia al petto. Voleva bene a Gery, era una delle sue più grandi amiche, ma se odiava Violetta, odiava anche lei. “Oh, no, certo che no. E’ che è arrivata solo ieri, e non credevo che Camilla l’avesse invitata”. “Invece sì. E’ una delle mie migliori amiche, e ci tengo che sia presente” rispose d’un tratto una voce cristallina scendente dalle scale. Tutti si voltarono in quella direzione e videro la loro amica rossa, affiancata da una bellissima ragazza. Lunghi capelli neri, che arrivano fin sotto le spalle, due occhi di ghiaccio, capaci di trafiggerti con mille lame ghiacciate fin dentro le ossa. Due labbra abbastanza carnose e ricoperte da un lieve strato di lucidalabbra ed un fisico da modella. Gambe snelle e perfette. Doveva essere la cugina di Camilla. La rossa raggiunse il suo ragazzo, lasciandole un lieve bacio sulle labbra. “Certo, certo. Chiedevo solo” rispose Gery alzando le mani in segno di difesa. Sperava di conquistare Leon, alla festa, ma se resterà tutto il tempo con Violetta, le sarà un po’ difficile. Gli occhi di tutti erano puntati sulla ragazza nuova. Era davvero bellissima, si vedeva che era imparentata con Camilla, si somigliavano molto. Certo, non avevano né capelli né occhi uguali, ma i loro visi erano abbastanza in sintonia. “Ragazzi, lei è mia cugina Isabel Garcia. E’ la figlia di mia zia Flama”. “Ciao!” esclamarono tutti in coro, qualcuno alzando la mano, qualcun altro facendo cenno con il capo. “Ehm, ciao. Come ha detto Cami mi chiamo Isabel, ma chiamatemi Bel, è una specie di diminutivo” disse la ragazza nuova. “D’accordo…” iniziò la rossa strofinandosi le mani “…la festa inizia alle otto precise, non voglio ritardatari… chiaro Lud?”. “Ehi, non è colpa mia se ci metto molto a prepararmi!” si difese la bionda alzando le mani. Partì una fragorosa risata “Ecco, visto che lo sai comincia a prepararti tre-quattro ore prima d’acc…”. “No, aspetta, dovrei iniziare a prepararmi alle undici di mattina!” esclamò stupita. Camilla si morse il labbro inferiore alzando gli occhi al cielo e scuotendo la testa “Sei impossibile, biondina! Stavo dicendo, non voglio ritardatari. Aspetteremo che arrivino tutti fuori, e alle otto e un quarto entriamo. Chi c’è c’è, chi non c’è s’attacca!”. Un’altra risata, Camilla era la più forte! “Ci dobbiamo organizzare con le macchine. Leon?”. Il ragazzo alzò la testa, che aveva poggiato sulla spalla di Violetta “Io ho quattro posti in macchina. Posso portare Vilu, Fran, Diego e Andres” rispose Vargas. “Perfetto, Fede?”. “Io ne ho tre, Ludmilla, Maxi e Nata”. I ragazzi annuirono “Ok, e Brodway porta me, Bel e Gery” finì la rossa. “Perfetto” rispose il brasiliano. “D’accordo… allora ci sentiamo se avete qualche problema, d’accordo?”. Tutti annuirono, per poi correre alle auto. “Brod, mi puoi dare un passaggio? Oggi non ho la macchina” chiese Gery. “Certo, sali”. La ragazza salì sul posto dietro, mentre Camilla e Brodway stavano davanti. Il ragazzo mise in moto, per poi partire “Certo, che Violetta e Leon sono molti legati, eh!” esclamò la messicana. “Oh sì, dovevi vederli da piccoli! Non si separavano un attimo!”. “Da quanto si conoscono?”. “Da quando sono nati, praticamente. I loro genitori sono molto amici. In realtà ci conosciamo tutti da quando eravamo piccoli, solo che loro sono cresciuti insieme. Mi ricordo ancora il primo giorno d’asilo. Non si separavano un secondo, stavano sempre appiccicati!” rispose Brodway ridendo. “Sì, è vero. Siamo subito diventati tutti amici. Ci vogliamo molto bene” affermò la rossa. “Come mai se ne è andata?”. “Ha dovuto trasferirsi a Madrid quando aveva dodici anni per il lavoro del padre. Da quanto mi ha raccontato a ricreazione, due anni fa hanno scoperto che Maria aveva un tumore al cervello, ed una settimana fa gli hanno comunicato che era un tumore incurabile” rispose Camilla abbassando la testa triste. Volevano tutti un gran bene, a Maria, e pensare che presto l’avrebbero persa la faceva star male. “Le volete tutti un gran bene, vero?”. “Oh, sì. E’ stata come una seconda madre per tutti, e perderla sarà davvero dura”. “Mi dispiace” disse Gery sinceramente. Non conosceva quella donna, ma da come ne parlavano i suoi amici, era davvero importante. Sarebbe stata accanto a Violetta, in quel periodo. “Siamo arrivati” annunciò Brodway fermandosi davanti casa della messicana. La ragazza scese “Grazie, a domani ragazzi”. “A domani”. La macchina ripartì, e Gery entrò in casa, ripensando alle parole dei due ragazzi. Violetta era davvero importante per loro.

P.s.
Vi lascio il nome del mio canale youtube. Faccio video per Lodo, Rugg e per il cast. Il nome è: Violetta_TESTIeTRADUZIONI
Spero che passerete e che vi iscriviate.
Il mio account di Twitter è: @Martina_Elis97
Fatemi sapere eh? Bacii

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