Ciao.
Mi presento. Mi chiamo Aki. Non è il mio nome reale, ma non serve. Se sei qui tu ed io abbiamo una cosa in comune. Almeno una volta nella vita hai sperimentato l'ansia.
No non è una cosa grave, ma può diventarlo se a lungo andare ignori ciò che ti sta succedendo e aspetti che finisca da solo. Ed è esattamente quello che ho fatto io la prima volta che quella sensazione si è presentata nella mia testa e nel mio corpo.
Prima di cominciare con la mia storia voglio dirti una cosa. La psicologia definisce l'ansia come "un termine largamente usato per indicare un complesso di reazioni cognitive, comportamentali e fisiologiche che si manifestano in seguito alla percezione di uno stimolo ritenuto minaccioso e nei cui confronti non ci riteniamo sufficientemente capaci di reagire.";
che detta così è un po' come dire "ho paura di questa cosa non so come affrontarla/non sono in grado di affrontarla e quindi ho un peso sul petto". È una definizione un po' generica è vero, ma la scienza deve dare una spiegazione e descrivere le esperienze dei singoli diventerebbe decisamente troppo lungo per metterlo in un articolo su internet.
Perciò ci sono io. O meglio c'è questo mio diario, che ha lo scopo di spiegare quello che sento io ogni volta che l'ansia si presenta senza alcun preavviso e di farti capire che a volte è più difficile voler affrontare tutto da soli, piuttosto che affrontarlo con qualcuno che vuole aiutarti.
Se dovessi descrivere la prima volta in cui ho avuto dei forti attacchi d'ansia, non avrei molto da dire. Avevo solo 13 anni e andavo a scuola media. Non è stato il mio periodo scolastico migliore, sopratutto perché subivo bullismo, la classe in cui ero non mi piaceva e i miei compagni non erano esattamente dei santi. E cosí anche i miei professori. Un giorno la mia professoressa di italiano, di cui non farò il nome per rispetto, anche se non merita questa mia accortezza, decise che era una buona idea leggere di fronte a tutta la classe un tema che avevamo fatto sulla scuola media e su come affrontavamo l'ultimo anno. All'epoca mi piaceva davvero tanto scrivere e spesso nei compiti scolastici che richiedevano di scrivere in modo creativo ci mettevo il cuore. Ebbene la mia professoressa pensó che il mio tema fosse un ottimo esempio su come non fare un tema e pensó ancora meglio che l'intera classe avrebbe dovuto sapere quello che pensavo della scuola. Non che avessi scritto nulla di grave, nessun insulto, niente di niente. Solo le mie sensazioni un po' romanzate. Evidentemente a lei questa cosa non andava a genio e così nonostante io le avessi chiesto di non farlo, andò avanti umiliandomi davanti a tutta la classe e pensando bene di chiedere ai miei compagni (che vi ricordo, non mi avevano proprio a cuore) cosa ne pensassero. Inutile dire che mi sentii sprofondare e volevo sparire lí sul posto.
Da quel giorno per me la scuola diventó un posto da evitare come la peste. Ma non sapevo come affrontare questa cosa e non lo volevo dire ai miei genitori. Tutte queste emozioni contrastanti si tramutarono a mia insaputa nei primi attacchi d'ansia. Consistevano sostanzialmente nello svegliarmi la mattina con lo stomaco sottosopra, sensazione di vomito costante e nessuna voglia di alzarmi dal letto per affrontare la giornata. Premetto che io non sapevo che cosa avevo e non sapevo che fosse proprio per quello che mi era successo. Sapevo solo che mi faceva male la pancia e non mi volevo alzare dal letto perché stavo male. Giustamente i miei genitori quando videro che stavo male tutti i giorni pensarono fosse una cosa fisica. Lo pensavo anche io. E così si susseguirono visite su visite su visite. Risultato? Nulla. Ma era normale. Il mio non era un male fisico, o meglio, era fisico perché somatizzo sullo stomaco, ma il mio era un male piú profondo e semi-invisibile che nessuno, neanche i dottori sapevano spiegare. Fino a che un giorno i miei, preoccupati dalla cosa, non decisero di portarmi da una psichiatra infantile. Forse perché qualche dottore durante le mie visite allo stomaco li disse che probabilmente era tutto nella mia testa.
Purtroppo la psichiatra non era quello che mi serviva ed anzi, peggioró soltanto le cose. La dottoressa mi diede dei medicinali per stare meglio, ma per me era come bere acqua dal brutto sapore. Non facevano nulla se non farmi stare peggio. Ed io ovviamente non sapevo che cosa prendevo e a cosa servisse perché nessuno me lo spiegava. Le visite dalla psichiatra continuarono fino a quando un giorno lei non mi disse delle parole che non dimenticherò mai. "Forse il problema non sono gli altri. Il problema sei tu."
Non capii assolutamente che cosa mi volesse dire. Doveva essere qualcosa di incoraggiante? Pensava che una 13enne si sentisse meglio con una frase del genere? Non lo saprò mai perché ovviamente non continuai le sedute.
Alla fine della fiera l'unica cosa che mi fece passare tutte quelle sensazioni fu smettere di andare a scuola. I miei purtroppo iniziarono a pensare che fingessi perché stavo male solo la mattina e poi la sera stavo meglio, ma non dipendeva da me. Dipendeva dal fatto che la mattina sapevo che c'era il rischio di andare a scuola e stavo male per la paura mentre una volta passato l'orario stavo meglio. Non é colpa loro né mia perché io ero troppo piccola per capire e rendermi conto del problema e loro non sapevano che cosa fosse successo prima del mio stare male.
Non chiesi aiuto a nessuno. Accettai semplicemente la cosa, che ovviamente una volta scongiurato il pericolo così come arrivò se ne andó.
Questo fino a che 21 anni dopo un giorno di luglio tornó in silenzio, senza preavviso e non aveva alcuna intenzione di andarsene tanto presto.

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Convivenza
RandomVi siete mai sentiti come se la vostra vita da un giorno all'altro non sia più la stessa? Avete mai sperimentato una paura talmente intensa da stare male fisicamente? Oppure un giorno vi siete svegliati e non vi sentivate più quelli del giorno pri...