Fino a qualche anno fa pensavo che nella mia vita non avrei mai avuto bisogno di un aiuto psicologico. Credevo che andare in terapia significasse parlare delle proprie cose private a uno sconosciuto, che alla fine ti diceva solo cose abbastanza scontate. Per me era solo uno spreco di soldi e tempo. Poi mi sono dovuta ricredere.
Quando ho iniziato a sperimentare i primi stati di ansia e paure profonde ho capito che da sola non avrei risolto nulla e che dovevo ricorrere a un aiuto un po' più specifico del solito "parlane con qualcuno ti sentirai meglio".
Anche perché io non avevo proprio nessuno con cui parlare, o meglio non sapevo di che parlare con questo qualcuno. I miei problemi per quanto per me fossero un ostacolo quasi insormontabile nella mia vita quotidiana, in qualche modo erano sempre stupidi o non così importanti da poterli esprimere con sicurezza. Ma un giorno non ce l'ho fatta più e ho deciso di contattare uno psicologo perché mi aiutasse a capire cosa mi stesse succedendo e come affrontare quello che vedevo come un qualcosa di irrisolvibile.
Ero sempre stata un po' contraria a questa cosa perché avevo avuto esperienze non proprio positive con la psicologia e anche la psichiatria in generale, ma avevo davvero bisogno che qualcuno mi ascoltasse e mi aiutasse a razionalizzare un problema che non dipendeva tutto da me.
Così mi affidai a uno sportello online che mi assegnó uno psicologo.
Ci accordammo per la tariffa visto che non avevo un lavoro tale da potermi permettere grandi cifre e il giorno in cui ci saremmo visti. Tutto si sarebbe svolto esclusivamente online. Nella mia città non conoscevo nessuno e l'unico specialista che avevo visto la prima volta non mi era affatto piaciuto, perciò le sedute online erano la scelta migliore per me. Non mi sarei dovuta spostare di casa, cosa che mi spaventava parecchio e non avevo assolutamente voglia di uscire nelle mie condizioni e non mi sarei dovuta fare accompagnare da nessuno.
La prima seduta fu molto imbarazzante. Io ero davvero al limite e non ero così libera di parlare di quello che sentivo, perché vivendo con i miei genitori che in qualche modo erano coinvolti nei miei problemi avevo paura sentissero quello che dicevo e potessero fraintendere o addirittura offendersi per le mie parole.
Così l'unica cosa che feci durante la seduta fu piangere e cercare in modo grossolano di spiegare quello che avevo. Ovviamente piangere dallo psicologo per chi non ha mai fatto terapia sembra una cosa un po' stupida da fare, quasi imbarazzante, ma in realtà non c'è nulla di male nello sfogarsi. Lo psicologo é una persona che può capirti e non giudica i tuoi pensieri, le tue paure o le tue difficoltà. Vuole aiutarti è quello il suo compito e piangere altro non è che un modo di rispondere a quello che ci sta succedendo. Che sia perché siamo tristi o perché c'è qualcosa che spaventa o perché ci sentiamo un po' persi nel turbine delle nostre emozioni, non è assolutamente una cosa di cui vergognarsi. Anzi a volte piangere ci rende un po' più liberi.
Andando avanti con le sedute capivo che effettivamente in me c'era qualcosa che non andava e che la soluzione del problema non era così semplice. Non sarebbero bastati degli ansiolitici a calmarmi, nemmeno medicinali di sorta. Dovevo elaborare ciò che c'era dentro di me e capire come affrontarlo. Ma per me non era un gioco da ragazzi. Visto che il problema era in casa, la soluzione era andare via. La possibilità l'avevo. Il mio partner mi aveva proposto più volte di andare a vivere con lui perché avevamo una relazione a distanza e prima della pandemia già avevamo fatto dei progetti insieme. Ovviamente questi progetti furono smantellati brutalmente dal 2020 e sembrava quasi che andare a vivere insieme per noi fosse impossibile. Poi quando si presentò l'occasione io non ne ero così sicura. Non perché non volessi più farlo o perché avessi paura di andare via di casa. La mia paura era quella di perdere il controllo sulla situazione in casa. Per anni ero io che durante le liti dei miei cercavo di mettere una pezza alla situazione e che in un certo senso facevo da supporto, in più mi prendevo cura di mia sorella e di tante altre cose mettendo un po' da parte me stessa. Andare via significava abbandonarli in un certo senso e io mi sentivo un mostro, soprattutto perché non stavamo attraversando un bel periodo come famiglia ed io stavo praticamente dicendo "non mi calcolate perché non è più un mio problema". In realtà non sarebbe mai dovuto esserlo ma con il tempo mi ero presa responsabilità che non mi sarebbero dovute appartenere sin dall'inizio, ma tante volte ci mettiamo sulle spalle dei pesi senza neanche accorgercene e facciamo finta di nulla fino a quando questi non ci schiacciano.
Dovevo affrontare un'altra delle mie paure che però avrebbero dato una mezza soluzione al problema che mi affliggeva. Del resto c'era già stata la prova che il problema dipendeva dall'atmosfera casalinga non da me, visto che quando ero stata in vacanza con il mio fidanzato lontano da casa ero stata meglio e invece quando si avvicinava la data del ritorno tornai di nuovo a stare male tanto che sperimentai il mio primo attacco di panico. Non lo auguro a nessuno. Ricordo che erano le 4 di notte. Già avevo dei grossi problemi a dormire ma quella notte mi svegliai e cominciai a sentire il cuore che batteva all'impazzata. Una forte sensazione di vomito mi assaliva e avevo lo stomaco chiuso. Improvvisamente sentivo di non riuscire a respirare e mi agitavo senza riuscire a trovare pace. Mi sentivo allo stesso tempo morire e impazzire. Il mio partner per fortuna era lì con me e cercó di aiutarmi a uscirne, ma io ero davvero troppo agitata anche solo per sentire cosa mi stesse dicendo. Ricordo che a un certo punto volevo andare in ospedale perché sentivo di stare male fisicamente e dicevo di stare per morire. Ovviamente non era così. In qualche modo riuscí a calmarmi e ritrovare un pochino il sonno. Il giorno dopo chiamai il mio psicologo implorandolo di aiutarmi in qualche modo. Lui mi propose che forse avrei dovuto prendere delle medicine se stavo così male e che avrei dovuto parlare con uno psichiatra. Reperire le medicine che mi servivano non fu una passeggiata. Non sapevo che per certe cose servisse la prescrizione medica e la farmacista non fu molto gentile nel dirmelo. Alla fine della fiera presi quello che dovevo, ma non servì a nulla.
Non fu facile affrontare questa cosa con i miei. Da settembre fino a quando non chiesi disperatamente al mio ragazzo di raggiungermi perché mi sentivo sola continuavo ad avere attacchi d'ansia molto forti. I sintomi erano sempre gli stessi; nausea, vomito, stomaco chiuso, pensieri continui e difficoltà a dormire. Non mangiavo, avevo paura di bere e di uscire. Ricordo che una volta uscii di casa per fare della analisi del sangue e già per uscire dalla porta fu una tragedia. Mi ripetevo "posso farcela" come una preghiera ed arrivai al laboratorio analisi quasi tranquillamente. Quando tornai a casa scoppiai a piangere. Per tutto il tragitto di ritorno mi sentivo osservata, credevo che le persone vedessero quello che stavo passando e mi giudicassero di conseguenza. Credevo di essere sotto dei riflettori. Perciò una volta rientrata crollai sotto lo stress di aver fatto una cosa di cui avevo paura e non l'avrei voluto fare mai più.
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Convivenza
RandomVi siete mai sentiti come se la vostra vita da un giorno all'altro non sia più la stessa? Avete mai sperimentato una paura talmente intensa da stare male fisicamente? Oppure un giorno vi siete svegliati e non vi sentivate più quelli del giorno pri...