Stefania

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Se ne stava seduto alla panchina che dava sul belvedere della città. Davanti a lui si stagliava un panorama eccezionale, a quell'ora del giorno in particolare, per via del sole che tramontava dietro le colline.
Eppure era troppo agitato per goderselo. La gamba destra continuava a muoversi da sola, facendo vibrare la panchina intera, mentre controllava l'orologio.
Finalmente, dopo quella che gli sembrò l'ennesima occhiata per controllare l'orario, la vide arrivare.
Stefania.
L'aveva sempre trovata molto bella, ma soprattutto elegante. Quello che più l'aveva attirato, la prima volta che l'aveva vista, era stato il suo portamento. Era sincero quando le diceva che tutto quello che indossa le sta bene. Anche stavolta si presentava con degli abiti qualsiasi ma che, indosso a lei, risultavano di classe, come se ogni volta dovesse spendere almeno un'ora per abbinarli perfettamente, non solo tra di loro, ma anche ai suoi capelli biondi, alla sua pelle chiara e ai suoi occhi del colore dell'ebano.
Gli si avvicinava con nonchalance, ma lui sapeva che anche lei, in fondo, aveva capito quello che stava per succedere.
Si sedette vicino a lui, poi, dopo aver poggiato la borsa tra di loro, creando un piccolo divisorio, alzò lo sguardo e gli rivolse la parola.
- "Dimmelo e basta, Nicola." disse, interrompendo il silenzio, rotto, fino a quel momento, solamente dal cinguettio degli uccelli che volavano improvvisando traiettorie, sopra le loro teste.
- "Tu..." cominció lui, titubante "... non hai intenzione di rimanere in buoni rapporti, immagino."
- "Scherzi, spero." ribatté Stefania, acida. "Non ti ho ancora sentito dire quello che volevi dirmi, quindi sarà il caso che ti sbrighi, non posso stare qui tutta la sera" era talmente furiosa che emanava un'aura terrificante.
Eppure Nicola, che la conosceva meglio di chiunque altro, non si scomponeva. Si rendeva conto, anzi, di quanto per lei fosse difficile mantenere quella facciata.
Di quanta fatica le costasse il dimostrarsi arrabbiata quando, in realtà, era solamente triste.
Non solo triste, immaginó Nicola, anche delusa.
- "Io..." inizió lui, ma dovette fermarsi.
Fissò il sole che tramontava, bruciandosi gli occhi ma sapendo di non dover incrociare il suo sguardo. Fece il più profondo dei respiri e ricominció.
- "Io devo lasciarti."
Ci fu un momento di silenzio che nemmeno gli uccelli osarono rovinare con il loro cinguettio, che Nicola passò continuando ad osservare il tramonto, ingannandosi dicendo tra sé e sé che era quello il motivo per cui i suoi occhi cominciavano ad essere lucidi.
- "Perché." chiese Stefania, rompendo finalmente il silenzio. Anche se era palesemente una domanda, l'aveva posta come se fosse una constatazione. Lui si girò per un attimo a guardarla ma non riuscì ad incrociare il suo sguardo. Stefania aveva la testa bassa ora, e i lunghi capelli le cadevano lungo la tempia coprendole completamente il volto.
- "Non ce la faccio a dirtelo." le disse.
Fu allora che lei si giró, tradendo la promessa che si era fatta di non dimostrarsi fragile, e mostrando una lacrima che le rigava la guancia.
- "Me lo devi!" gli disse, con la voce spezzata.
Quella parte, però, era la più complicata da spiegare. Lo era perché Nicola non era ancora in grado di spiegarla completamente nemmeno a se stesso. Aveva come la sensazione di star annegando, sommerso da certezze che l'avevano sempre tenuto a galla, ma che, in quel momento, cedevano sotto il suo peso, una per una, fino a lasciarlo senza alcun appoggio, in balia della corrente che lo trascinava via.
La verità era difficile da digerire. Sapeva che non avrebbe raccontato a nessuno della dinamica per cui era finito a lasciarsi con Stefania. Non solo sapeva che non lo avrebbe fatto, sapeva per certo di non poterlo fare.
Eppure lei, innocente, meritava di conoscere la verità. Almeno lei.
Si erano conosciuti a scuola, durante una noiosa assemblea d'istituto che aveva riunito tutte le classi in sala conferenze, contemporaneamente.
Nicola al tempo aveva smesso di uscire e stava sfruttando quel momento per ascoltare la musica, uno dei pochi modi che aveva per non farsi trascinare dove non avrebbe dovuto dai propri pensieri.
Lei, però, ignara di tutto ciò che stesse passando per la sua testa, aveva deciso di cominciare una conversazione. Una piccola ed ingenua conversazione che aveva però fatto nascere una storia.
Stavano bene insieme, Stefania e Nicola. Molte volte lui si immaginava, dietro gli sguardi dei ragazzi che passavano, l'invidia che questi potessero provare nei suoi confronti, accanto a una ragazza come lei. Spesso averla a fianco lo faceva sentire al sicuro, sembrava che non servisse altro per essere felice.
Ma, purtroppo, le cose erano cambiate.
Il dubbio lo aveva preso qualche mese prima. Aveva cercato di ignorarlo, all'inizio, aveva provato a scacciare tutti i pensieri che, subdoli, gli si avvicinavano, ma alla fine aveva ceduto. Se ne era reso conto da solo, quella relazione non poteva continuare. Ma come avrebbe fatto a dirlo a lei? Lei che non l'aveva mai trattato con un briciolo di malignità, che l'aveva amato davvero come diceva di amarlo e che gli era stata vicino nei giorni peggiori, quelli in cui per lui era difficile persino alzarsi dal letto.
- "Io non penso" cominciò, stando attento che non gli si spezzasse la voce "che tu possa riuscire a capirlo..." le disse. In quel momento i loro sguardi si incrociarono di nuovo e lui si rese conto di tutto l'odio con cui lei lo stava guardando. Decise di correggersi: "Non voglio che le cose finiscano così, tra noi, ma non riesco a spiegartelo."
Fu allora che Stefania si alzò dalla panchina, prendendo in mano la borsa. Non lo guardò nemmeno negli occhi mentre gli rispondeva.
- "Non riesci?" Stavolta era veramente furiosa "Non ci riesci, eh? Penso proprio che riuscirò a farlo io, al posto tuo!" gli disse.
Quelle parole si posarono una sopra l'altra sullo stomaco di Nicola, come dei macigni. Stefania se ne era già accorta? Ma come avrebbe potuto?
Successivamente per lui sarebbe stato tutto molto più chiaro, ma in quel momento era spaesato. Spaesato e preoccupato.
- "Non sono io il problema, qui." continuó lei, che stava evidentemente sfogandosi per quello che le era appena successo.
- "E, se davvero tu sei convinto di quello che provi, non lo sei nemmeno tu." gli disse.
- "Ma almeno trova le palle di dirmelo in faccia, Nicola." a quel punto si giró verso di lui. La luce del tramonto che delineava la sua sagoma la rendeva maestosa, quasi come fosse una dea scesa sulla terra solo per dirgli quelle parole. Eppure la sofferenza che palesava nel farle uscire dimostrava quanto in realtà fosse fragile, umana.
- "Ammettilo e me ne andrò, non ho intenzione di mettermi in mezzo."
- "Ammettere cosa?" le rispose Nicola, codardo, che non riusciva più nemmeno a guardarla negli occhi.
- "Ammetti che mi stai lasciando per Davide."

                             - continua -

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