CAPITOLO 1

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JOCELYN

Il mio sogno è sempre stato lo stesso da che ho memoria.
Mi sarei laureata in architettura, così da riuscire a realizzare la casa dei miei sogni, sia per me, che per la mia famiglia.
Avrei trovato l'uomo della mia vita, e sarei diventata mamma di quattro bellissimi bambini.
Sì, c'è l'avrei fatta, perché ci credevo...ora invece non più.
Ho lasciato l'università per colpa delle mie condizioni mentali che ultimamente non aiutavano più con lo studio.
Da quando Noah è morto, un anno fa, la mia vita si è fermata, distruggendo tutto.
Nessuno vuole perdere le proprie speranze a ventiquattro anni, quando una parte di te viene a mancare, a cosa ti aggrappi per tornare sui tuoi passi?
Ho perso la mia strada, il mio equilibrio, e per un anno intero persino la mia anima.
Ho cercato in tutti i modi di tornare a galla dal tunnel nel quale sono finita, ma non ci sono riuscita.
Se ora le cose sono cambiate, è grazie alla volontà e all'aiuto di mia madre.
Mi ha seguita ogni giorno, a ogni ora, sgridandomi quando necessario, e aiutandomi nelle notti in cui la mia mente riviveva quella dannata notte.
La sua forza, la stessa che ha usato per crescermi da sola, è stata fondamentale.
E chi più di lei poteva trovare le parole giuste, dopo aver perso il marito per colpa di un cancro incurabile? Avevo solo tre anni, e nonostante i miei ricordi sfuocati, è riuscita a non farmi mancare l'affetto che avrei dovuto avere sia da parte sua, che da parte di mio padre.
Lo devo a lei se sono qui ad accettare una vita in cui Noah non c'è più.
Per qualche strana ragione, quella sera il destino ha deciso per noi, dividendo le nostre strade in un modo troppo tragico, ed io devo solo imparare a convivere con questo pensiero, e con il magone che torna a farsi sentire solo pronunciando il suo nome.
«Tutto bene tesoro?» Mia madre entra in salotto senza neanche farsi sentire.
Ha questo modo strano di apparire quando vuole parlarti, e sinceramente non ho mai capito il motivo.
«Sì mamma, stavo guardando la tv.» Borbotto con un sorriso, spegnendo la televisione per ascoltarla.
«Questo lo vedo amore, sono qui per proporti una cosa.» Sussurra guardandomi negli occhi.
Io e mia madre abbiamo un rapporto bellissimo, basato sulla fiducia reciproca, sa tutto di me.
Quando ho bisogno di un consiglio, è l'unica persona capace di rimettermi sulla strada giusta.
Mi sistemo sul divano con le gambe incrociate, e mi giro nella sua direzione.
Mi raggiunge sedendosi accanto a me.
«Mi ha chiamato il signor Bolton, il tuo insegnante preferito...» «Sei qui per chiedermi di continuare l'università?» Blocco il suo discorso, corrucciando la fronte.
«Ha chiesto tue notizie, dice che i tuoi esami sono registrati nel loro archivio, puoi tranquillamente finire l'ultimo anno senza dover recuperare qualcosa.» Sussurra titubante, consapevole che questo per me è un tasto dolente.
Non è stato facile abbandonare gli studi, e tanto meno sapere che mentre i tuoi amici realizzano i propri sogni, stai cercando di venire a galla, di riemergere insieme a un'anima che è rimasta bloccata nel passato.
«Non ho la testa per studiare in questo momento mamma, lo sai.» Balbetto nervosa, non voglio darle un altro dispiacere, ma non sono pronta a questo, non è più quello che voglio.
Mi guarda sorridendo, prima di arricciare il labbro in modo malinconico.
So che sta cercando di capirmi a fatica, nonostante i suoi progetti che per me sono molto lontani.
«Nessuno dimenticherà mai Noah tesoro, ma è giusto abituarsi a una vita dove lui non c'è più. Vorrebbe vedere tutti i suoi cari felici, non nel modo che stiamo dimostrando noi. La morte porta dolore e a volte rancore, bisogna imparare a seppellire il vuoto che colma il lutto, altrimenti a poco a poco ci spegniamo anche noi.» Mi rassicura dolcemente spostandomi una ciocca di capelli dal viso.
So che gli costa una fatica enorme parlarmi di questo.
Mi ha cresciuto da sola, e solo Dio sa come ha imparato a diventare forte, per me.
Se mia madre è riuscita a superare tutto, posso farcela anch'io.
Nessuno muore veramente, finché vive dentro di noi.
Ed è così maledettamente vero.
«Tutti hanno reagito in modo diverso, perché l'unica a doverci rimettere così sei tu? Pensi che sia sbagliato? È del tuo futuro che stiamo parlando Jocelyn.» Mi guarda con occhi seri e la fronte corrucciata.
«Mamma c'ero io quella notte, ero io la persona che tentava di riportarlo in vita, che sentiva i suoi ultimi lamenti! Credi che sia facile? Mi sto riprendendo, ma devo ritrovare me stessa, è come se una parte di me fosse morta insieme a lui.» Mi blocco subito, un dolore atroce alla testa mi costringe a non continuare, a lasciare che i ricordi sfreccino in modo veloce nella mia mente.
Sono come imprigionata dentro una bolla, quella notte ha lasciato un segno indelebile dentro di me.
«Sappi che sono fiera di te, a prescindere dalla tua decisione, ma porta con te i tuoi valori, quelli che ti ho insegnato, non dimenticarli.» Sussurra dolcemente, stringendomi in un abbraccio pieno d'amore.
«Ti voglio bene mamma.» Le regalo a mia volta un sorriso sincero, anche se non ha bisogno di questo, lei sa leggermi dentro, non attraverso i miei gesti.
«Devo preparami, Denise sarà qui fra poco.» Taglio il discorso come se questa conversazione avesse il potere di squarciarmi in due.
Salgo al piano di sopra, raggiungendo la mia camera con un peso enorme al petto.
Mi tolgo di fretta il pigiama, rimanendo per qualche minuto davanti all'armadio.
Stasera andremo in una discoteca qui vicino casa mia, dietro agli ex magazzini generali della città, conosciuta per le sue gare clandestine che si svolgono nonostante la polizia continui a intralciare le loro strade.
Scelgo una maglietta bianca semplice appena scollata sul davanti, e un paio di jeans neri a vita alta.
Mi avvicino alla scarpiera, prendendo senza pensarci le vans che mi ha regalato mia madre per il mio compleanno qualche mese fa.
Rimango davanti allo specchio, ravvivando con le dita le onde che cadono morbide quasi vicino all'ombelico.
La mia immagine riflessa non rispecchia ciò che sento dentro.
Il senso di colpa continua a mangiarmi viva, come se non avessi il diritto di uscire e di divertirmi insieme alla mia migliore amica.
Scaccio via il pensiero, altrimenti rischierei di mandare tutto all'aria com'è già successo in passato.
Finisco di prepararmi mettendomi un po' di matita nera all'interno dell'occhio, e il mascara.
Aggiungo un rossetto viola sulle labbra per contrastare la mia pelle chiara anche durante la notte, e controllo il tutto ancora una volta. «Puoi farcela Jocelyn.» Sussurro a me stessa.
È la stessa frase che m'impongo di ripetere ogni volta che metto piede fuori casa, come se fosse una preghiera rivolta a chissà chi.
Vengo distratta dal suono del mio cellulare, con la coda dell'occhio leggo il nome della mia migliore amica.
Prendo la borsa, scendendo le scale per raggiungerla. Non appena salgo in macchina sento subito l'odore di cocco che invade le mie narici.
«Quanto profumo hai messo Denny? Sto per soffocare.» Scherzo, portandomi una mano sul naso.
«Ciao anche a te Jocy, tutto bene? Ti sono mancata?» Mi rimbecca ironica, sorridendo leggermente.
«Stiamo andando in una discoteca piena di gente sudata e poco raccomandabile, non ti servirà tutto quel profumo addosso.»
«E' qui che ti sbagli, dovrai ricrederti Jocelyn, vedrai.»
«Ci sei già stata lì?» Domando girandomi nella sua direzione.
«I-io...bè s-sì quando...»
«Quando facevo l'eremita in casa continuando a piangermi addosso? Hai fatto bene e non ho intenzione di giudicarti.» La rassicuro, stringendomi le braccia al petto per placare il senso di disagio al ricordo di com'ero fino a qualche mese fa.
«Scusami Jos, non volevo infierire.» Mi guarda per un attimo, sorridendomi di rimando quando capisce che la colpa non è sua, e neanche mia.
La colpa è del destino che mi ha strappato via un pezzo di vita che non tornerà più.
«Hey, basta così Denny, non c'è nessun problema.» Sorrido appena.
Mi lascio distrarre dal colore della notte attraverso il finestrino, rimanendo in silenzio per il resto del tragitto.
Con gli OneRepublic in sottofondo ci lasciamo cullare fino a destinazione.
«Siamo arrivate.» Esclama girando la macchina verso un parcheggio abusivo, dove l'unica luce che illumina la strada sono i fari delle altre auto. Apro la portiera e subito la musica scoppia attraverso i miei timpani, sento il petto vibrare per quanto è forte.
Guardo la mia amica stranita, continuando a camminare.
«La discoteca è in uno di questi capannoni.» Indica con il dito un punto impreciso a fianco a noi. «Se riesco a sentirla da qui, non voglio immaginare lì dentro.» Ribatto corrugando la fronte, riferendomi alla musica. Mi guardo intorno, ignorando la risposta di Denise. Ci sono un sacco di ragazzi della zona, tutti attorno a un bar formato da due tavoli di legno pieni di bottiglie di birra e diversi alcolici.
Un'altra buona parte è spostata di pochi metri, divisi da una transenna dove dall'altro capo ci sono due motociclisti già fermi davanti alla linea di partenza, pronti per gareggiare con le loro moto.
Uno di loro ha la visiera del casco leggermente alzata che mi permette di poter vedere i suoi occhi, uno sguardo di ghiaccio che fa a pugni con il nero opaco delle protezioni.
Le braccia sono scoperte e completamente ricoperte di tatuaggi, il collo anche, e mi sorprendo a immaginare altre parti del corpo macchiate d'inchiostro.
«Entriamo? C'è poca fila.» M'informa Denise dietro le mie spalle.
«Aspetta un attimo.» La curiosità fa a pugni con la ragione. Mi avvicino cauta, mettendomi in prima fila seguita dalla mia amica.
«Quello a sinistra è uno dei campioni, scommettono tutti su di lui.» Denise interrompe i miei pensieri, indicando con il mento lo stesso ragazzo che ho notato poco fa.
«Sai come si chiama?» Domando curiosa.
«Caleb, il cognome non l'ho sentito. Perché?» Domanda confusa, guardandomi da sotto le ciglia.
«Pura curiosità.» Ribatto evasivamente, distogliendo lo sguardo in un'altra direzione.
«Guardiamo almeno la partenza?» Domando di getto.
«Va bene, sono venuta qui in paio di volte, quel ragazzo vince sempre.» Ammette scrollando le spalle, si avvicina a me per sistemarsi contro la transenna.
«Intendi occhi di ghiaccio?» Chiedo nuovamente, Denise ha lo sguardo stranito.
«Gli hai già dato un soprannome? Allora è un colpo di fulmine, decisamente...» Esclama con un sorriso, scuotendo la testa.
«Detto da una che sa molte cose di lui...» La rimbecco divertita, alzando gli occhi al cielo.
«E' colpa del mio ragazzo, è fissato con questo posto.» Alza le mani in segno di resa.
«Non sapevo che a Derek piacessero le moto.»
«Oh sì, continua a ripetermi che un giorno gareggerà anche lui.» M'informa.
Veniamo interrotte dal rombo dei motori che sgasano di continuo.
Il presentatore non fa in tempo a dare il via che sentiamo le sirene della polizia farsi sempre più vicine, in un attimo tutta la folla si sposta in direzioni diverse, me compresa.
Le luci blu saettano contro i muri, incitandomi a scappare più veloce che posso e con il cuore in gola. Perdo Denise nel giro di pochi secondi, continuo a muovere le gambe che tremano per lo sforzo, gli occhi scrutano con agitazione uno dei tanti capannoni che trovo alle mie spalle.
Con il fiato sempre più corto, imbocco delle scale troppo buie, aprendo la porta di un misero stanzino, per poi chiuderla alle mie spalle prima di sospirare.
Appoggio una mano contro la parete fredda di cemento per riprendere il respiro rotto a metà.
Cerco di fare meno rumore possibile, ho il terrore che un agente possa passare di qui, anche se mi sento abbastanza al sicuro.
«Abbiamo avuto la stessa idea a quanto pare.» Una voce prorompente fa eco dentro la stanza, spaventandomi a morte.
Potevo aspettarmi qualsiasi cosa dopo l'improvvisata di stasera, ma non di ritrovarmi con qualcuno.

DUEMILA VOLTE ANCORA TEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora