Prologo

59 11 19
                                    

Gratto la caviglia con la punta della scarpa fino a farmi male.
Sento le goccioline di sudore scivolare lungo le mia fronte nascosta dalla visiera del cappello. Il sole picchia contro ogni centimetro del mio corpo, sfidando la crema solare ad alta protezione di cui mi ha rivestita la mamma.

Sistemo meglio lo zaino sulle spalle. È pesantissimo. Tutte le volte che la mamma mi spedisce dai nonni in montagna, ne approfitta per riempirmi come un tacchino il giorno del ringraziamento. Divento il suo corriere personale, carico di cibo e libri che i nonni hanno fatto arrivare alla libreria in città.

Il canto dei grilli è un suono piatto, fastidioso e monotono, del tutto in linea con il paesaggio di campagna che si estende per chilometri e chilometri davanti a me.

Di fianco, il cartello che segna la fermata dell'autobus non riflette alcuna ombra. Il sole è perfettamente sopra le nostre teste, che ci alita addosso il suo caldo torbido di metà agosto.

Dopo quella che mi pare un'attesa infinita, sento il rombo del motore dell'autobus mescolarsi al canto dei grilli. Sollevo lo sguardo, speranzosa, mentre già pregusto l'ombra dell'abitacolo che mi darà un po' di tregua.

Prima che arrivi mi sembra che passi un'altra vita, ma alla fine i freni stridono — stridono così tanto che sono certa abbiano bisogno di un bel po' di olio — e l'autobus si ferma proprio davanti a me. Guardo il mio riflesso sui vetri sporchi e graffiati poco prima che le porte si aprano, ma distolgo quasi subito lo sguardo. Quando hai otto anni il proprio aspetto può essere un vero e proprio incubo, a cominciare dalle codine bionde troppo corte per finire con le gambe lunghe e secche ricoperte da morsi di zanzara.

Salgo sull'autobus con la tranquillità di chi è abituata a farlo ogni giorno, e riconosco nell'immediato l'odore di polvere e cuoio che contraddistingue questa linea vecchia quanto le ossa di mia nonna. Persino l'autista mi conosce così bene da non chiedermi neppure il biglietto, perché tanto sa già che ho l'abbonamento. Io e il 14C siamo una cosa sola, perché rappresenta il mio solo collegamento con tutto ciò che non siano campi, cicale, trattori e strani insetti di campagna.

Sento le porte richiudersi alle mie spalle, così trascino le gambe fino ai sedili in fondo. L'aria condizionata è rotta, ragion per cui i finestrini sono tutti abbassati. La corrente che si scontra contro il mio collo sudato è una piacevole carezza fresca. Riesco a scorgere un ciuffo di capelli castano chiaro schiacciato contro al finestrino, e posso già immaginare il loro proprietario con una mano premuta contro la guancia e lo sguardo assorto. Eccitata, zampetto verso di lui cercando di non tradire le mie emozioni e nascondere tutta la mia aspettativa.

Come d'abitudine, gli siedo di fianco e incastro lo zaino tra le gambe, poi mi volto per rivolgergli un gran bel sorriso.

«Ciao» lo saluto.

I suoi occhi intercettano i miei dal riflesso sul finestrino. Il vetro è così sporco da opacizzare ogni colore, ma so che sono di uno splendido verde muschio.

«Ciao» mugugna, la bocca schiacciata sotto il palmo della sua mano.

Alla fine si volta verso di me. Le sue guance non sono meno ricoperte di crema delle mie. Puzziamo di olio di cocco lontano un miglio. Vederlo in quello stato, con i capelli spettinati e la macchia rossa nel punto in cui aveva appoggiato la mano, mi fa sentire a mio agio. Non sono la sola a muoversi goffamente dentro al proprio corpo, come un sub dentro a una muta di gomma asciutta.

Afferra il suo zaino da terra e infila una mano dentro la tasca principale, mentre io fisso ogni suo movimento con avida attenzione. Lo vedo tirare fuori un pacchetto sottile e rettangolare, incartato alla meno peggio con della carta rosso Natale. In verità c'è persino stampata sopra Rudolf la renna, e c'è qualche pezzo di scotch di troppo, ma che importa? Quello è il mio regalo!

«Buon compleanno, Miky» dice con semplicità, mentre me lo porge.

Lo afferro con la stessa rapidità con cui una civetta affamata acchiapperebbe un topo. Voglio aprirlo, ma allo stesso tempo non voglio farlo. Desidero gustarmi appieno quella sensazione di felicità mista a pura eccitazione, quando le aspettative sono altissime e l'attesa è minima.

Tolgo la carta come piace fare a me: strappandola a casaccio e senza stare attenta a dove sia lo scotch. Ash ride piano, mentre osserva la scena con un dolce piglio divertito.

«Non. Ci. Posso. Credere.» Fisso il mio amico a occhi spalancati, mentre stringo tra le mani tremanti l'ultimo volume di Samur-Ai, il mio manga preferito. «Come hai fatto a trovarlo?»

Strillo dalla gioia e sbatto i piedi così forte che temo di rovesciare tutto l'autobus. Io amo i compleanni, soprattutto il mio. Presa dall'euforia, getto le braccia attorno al collo di Ash e lo abbraccio con forza. Lui ricambia a malapena, con una mano appoggiata timidamente contro la mia schiena. Anche se questo è il suo massimo, so che per uno come lui è già una grande manifestazione d'affetto.

«L'ho trovato a un mercatino dell'usato a San Francisco, quando sono andato a trovare mio padre per Natale.»

Mi stacco da lui e lo fisso a occhi sbarrati, poi gli pizzico un braccio.

«Ce l'hai da così tanto tempo e hai deciso di darmelo soltanto adesso?»

«Nel frattempo l'ho letto io» mi confessa prima di scoppiare a ridere. «Inoltre non avrei mai perso l'opportunità di vederti fare la faccia che c'hai adesso!»

Io non posso crederci. Davvero. Non posso proprio. Quel volume è introvabile quanto una specie estinta. Da quando ho ritrovato nel solaio dei nonni tutti quegli scatoloni con i primi sessanta volumi della serie, trovare il sessantunesimo conclusivo era diventata una missione di vita. Averlo lì con me, stretto tra le mie mani, mi fa sentire più completa. Ash ha inserito il pezzo mancante di un puzzle finito al novantanove percento.

L'autista fa suonare tre volte il clacson, attirando la nostra attenzione.

«Tanti auguri, piccola!» urla nel tentativo di sovrastare il rumore della corrente, felice e allegro come ogni cosa di questa calda estate.


N.d.a.
È mezzanotte passata,la gente sta festeggiando Halloween e domani dovrò lavorare. Lo so da sola che è un pessimo momento per pubblicare, ma sono così felice che ho deciso di farlo lo stesso. Così domani mattina potrò svegliarmi e dire: che bello! Chissà se qualcuno l'ha letto! 🥹

A Summer TaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora