Cenere e Ruscello

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Se mamma fosse qui, mi direbbe senz'altro di smetterla di starmene con il volto davanti al ventilatore, perché rischierei un bel raffreddore.

Ad ogni modo lei non è qui, per questo sono più di dieci minuti che me ne sto piantata a un palmo dalle ventole con gli occhi chiusi e il sorriso soddisfatto di chi pensa di aver sconfitto l'estate.

Non capisco come sia possibile che nessuno abbia ancora inventato un ventilatore in grado di seguirti ovunque tu decida di andare, pronto ad asciugare le tue lacrime di sudore. Io lo comprerei subito, o perlomeno lo chiederei ai miei genitori come regalo di Natale.

«Aaash» cantileno, e la voce robotica che rimandano intendo le ventole è davvero buffa.

«Miiiky» risponde lui, un po' distratto.

È seduto per terra a gambe incrociate, sotto la finestra spalancata. Ha la sua chitarra acustica appoggiata alle gambe, il plettro tra le labbra e l'espressione molto concentrata. Sembra sempre un adulto, quando suona. Lo sembra così tanto da apparire galassie distante da dove mi trovo io, il che mi mette sempre un po' di ansia.

Sarà che forse una parte di me sente che la sua musica — i suoi strimpelli — un giorno potrebbero portarlo lontano, così lontano da fargli dimenticare persino il mio nome. Se dovesse scegliere tra me e la sua chitarra, credo che Ash sceglierebbe la chitarra.

Incrocio le braccia sullo schienale della sedia, poi ci appoggio sopra il mento.

Gli ho prestato uno dei miei cerchietti così da tenere i capelli sollevati, per fare in modo che non gli ricadano davanti agli occhi.

«Perché continui a esercitarti?» gli chiedo. «Fai schifo a suonare.»

So di dargli fastidio. Quando dico cose del genere si acciglia sempre, ma è più forte di me. Penso che litigare con lui sia pur sempre meglio del suo silenzio e dei suoi strimpelli.

Lui mi scocca una delle sue occhiatacce, puntuale. So già cosa sta per dire, e cioè che se non si esercita...

«Se non mi esercito non diventerò mai bravo.»

Ecco, appunto. Non riesco a trattenere un sorriso, come tutte le volte che dimostro a me stessa quanto io lo conosca bene. Mi volto di nuovo verso il ventilatore e mi stiracchio. Fa troppo caldo per litigare.

«E tu, invece?» mi chiede di punto in bianco, mentre stuzzica le corde con le dita. «Dovresti metterti a studiare, se vuoi davvero fare la mangaka.»

Sbuffo e alzo gli occhi al cielo, felice di avergli dato le spalle. Adesso tocca a lui infastidirmi, e sa proprio quali tasti martellare.

«Che sciocchezza, una cosa del genere non può accadere.»

Ne abbiamo già discusso. Inoltre mi imbarazza a morte parlare della mia aspirazione, perché da quando l'ho detto la gente non fa che ripetermi sempre le stesse cose, demolendola. Ormai c'ho rinunciato.

«E perché no? Chi l'ha detto?»

«Lo dicono tutti.»

"Non sei giapponese" o "In Giappone, alla tua età, sanno disegnare molto meglio di te". Il peggio è che hanno ragione, una parte di me lo sa benissimo.

«Tutti chi?» Lo sento spostare gli spartiti che ha seminato per tutto il pavimento. «Smettila di ripetere le sciocchezze che dicono a scuola e prova a pensare a cosa vorresti tu.

Non ci devo neanche pensare.

«Vorrei disegnare.»

«Allora prendi un foglio e una matita e disegna, no?»

A Summer TaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora