Gli spettri del faraone

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Nota dell'autrice: "veligero" è il nome con cui gli spinosauri chiamano sè stessi. 


Le zampe di Thutmose grattarono il letto sabbioso del fiume. Piccole onde gli solleticarono la pelle della vela. L'acqua era ancora tiepida, ma non sembrava più di nuotare nell'urina.

Tra le isole del Grande Mare Blu non succedeva mai niente del genere. Anzi, a volte si era sentito persino congelare nelle traversate più lunghe.

Minuscoli aculei ghiacciati si insinuarono tra le squame e rabbrividì, come fosse ancora in mezzo a quella distesa infinita di acqua salata.

Un'ombra calò su di lui. Imponenti alberi dalle lucide chiome verdi si accalcavano sulle rive del fiume. Le loro radici, intricate come un nido di striscianti, trattenevano la sabbia chiarissima dell'argine.

I nidi delle sue femmine erano vicini. Alcune uova avrebbero già dovuto cominciare a schiudersi...

Thutmose si irrigidì come un tronco dal muso alla coda. Nella mente gli balenò l'immagine di un'intera nidiata di spettri, bianchi come ossa spolpate ma con le vele rosso sangue, che zampettavano sulla sua spiaggia. E Sitmurt, la loro maledetta fattrice!

Digrignò i denti. Voleva mordere qualcosa...

Chiuse le narici e si immerse nell'acqua verdastra. I sassi scheggiosi del fondale sfregarono sulle squame del ventre. Una punta della vela rimase fuori dall'acqua, accaldandosi.

Poco più avanti qualcosa strisciò sulla sabbia. La coda di Thutmose ondeggiò. Il battito del suo cuore vibrò nell'acqua attorno alle orecchie. Un lungo rostro dentellato si sollevò verso l'alto. Era attaccato a un corpo piatto e sottile come una corteccia d'albero.

Thutmose si lanciò in avanti, le zampe appiattite contro il corpo. La coda sferzò l'acqua un paio di volte e poi le sue fauci si serrarono attorno a qualcosa di caldo e morbido.

Una nebbiolina rossa gli circondò il muso fino agli occhi, solleticandogli la lingua col suo sapore dolceamaro.

Stritolò la carne tra i denti, fino a sentire le ossa schioccare. Quanti ne aveva mangiati in un ciclo di luce?

Ma che importava! Ora che l'acqua cadeva di nuovo dal cielo, sentiva di poter divorare tutto il fiume.

Spezzò il muso dentato e il corpo gli scivolò in gola.

Risalì in superficie con uno sbuffo. Era quasi arrivato.

Un formicolio percorse la pelle nuda dalla spalla fino al collo. Thutmose si rigirò nell'acqua, ma il fastidio crebbe. Fitte di dolore bruciante gli attraversarono i solchi sul corpo, come se Sitmurt gli avesse appena strappato le squame.

Tutto per quei suoi abomini!

Non avrebbe accettato altri affronti dal suo harem.

Frustò la coda in acqua ed entrò nell'ansa del fiume. L'odore melato delle sue femmine gli solleticò le narici ed eccole lì, accucciate sulla spiaggia che aveva conquistato per loro. I raggi del disco di fuoco davano alle loro vele colori più sgargianti, mentre le squame apparivano sbiadite, incrostate dalla sabbia.

Una di loro alzò il muso sottile verso di lui. Le squame avevano il colore bluastro dell'acqua negli estuari, mentre la vela era pallida come il disco notturno.

Nefertari.

Lo raggiunse in acqua senza timore. "Mio faraone, dovresti sapere che questo luogo ti è precluso, fino alla schiusa delle uova."

"Non mi tratterrò a lungo. Quanto basta per assicurarmi che nessuna di voi abbia generato altri spettri."

Emise un rombo dal profondo della gola e nuotò verso la spiaggia. Le sue compagne gli soffiarono contro. Si misero con le vele di traverso, a formare un argine variopinto tra lui e i loro nidi.

Il ringhio di Thutmose si fece più forte, ma quelle continuarono a mostrargli le zanne. Un grumo di rabbia gli ribollì al centro del petto.

Come osavano? Quella spiaggia, come ogni cosa nel fiume, era sua! Lui era il faraone!

Poggiò una zampa sul fondale ghiaioso e si fermò. Fece oscillare la coda sul pelo dell'acqua e piccole onde scrosciarono sulla riva.

Una delle femmine più vicine, dalle squame chiare come giovani foglie, schioccò le mascelle verso di lui.

Tutti i muscoli di Thutmose si contrassero. Il sangue pulsò nella vela, sempre più calda.

Le avrebbe spezzato quel colletto sottile. Oh sì! Magari così le altre sarebbero tornate al loro posto.

Qualcosa guizzò nell'acqua vicino a lui. La vela chiara di Nefertari gli si parò davanti. "Tutte tue compagne ti sono fedeli, faraone. Ma la Legge del Fiume è chiara su questo."

Nell'aria si diffuse un odore acre, di corteccia umida e resinosa. Thutmose inspirò profondamente e non riuscì a trattenere un fremito della coda.

Nefertari lo fissava con i suoi occhi placidi, azzurri come il Grande Mare.

Era appena arrivato all'estuario, quando l'aveva scelta come sua prima compagna...

Sbuffò, increspando l'acqua. "Se dai nidi delle mie femmine si schiuderanno altri spettri, la prossima stagione non potrò reclamare nemmeno una lingua di terra. Finirei come Akhenaton."

Probabilmente era già nell'abbraccio della laguna. Con quel muso rotto non sarebbe riuscito a ingoiare nemmeno un pinnato grigio.

Un respiro gli solleticò la pelle nuda sulla spalla. Le squame tiepide di Nefertari sfregarono sul suo collo.

"Nessun veligero di Bahariya sarà mai in grado di prendere il tuo posto, Tulumnes."

Si irrigidì a sentire il suo Nome del Mare. Da quanto tempo non lo usava?

Dalla gola della sua compagna si levò un brontolio sommesso, che reclamava attenzioni. Passò la lingua ruvida sulle sue cicatrici e i muscoli di Thutmose si sciolsero.

No, non poteva dargliela vinta.

Si scostò da lei e ringhiò. "Tu sei la Prima Madre dei miei nidi. Ma io sono il Faraone del Fiume. Fammi passare!"

Nefertari emise un versetto acuto, quasi offeso. "Ti avevo portato una cosa."

Tirò fuori gli artigli dall'acqua e un pezzo di carne galleggiò sulla superficie. Lo spinse col muso verso di lui.

Sembrava un piccolo pinnato, forse solo un pezzetto...

No, era una coda squamata. La coda di un piccolo veligero bianco.

Thutmose lo addentò e riconobbe il sapore acido del sangue.

La sua compagna si avvicinò di nuovo per dargli un buffetto col muso. "Mi occuperò io degli spettri e delle loro madri."

Si girò di nuovo verso la spiaggia. Rivolse un'ultima occhiata al faraone e gli accarezzò il fianco con la coda.

Rabbrividì di piacere.

Presto sarebbe arrivata la stagione più bella.

Bahariya - Cronache del CretaceoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora