La sala è affollata.
Etero-composti estratti suburbani occupano metri quadrati arredati in stile minimal.
La musica si riversa fuori dalla console del Dj e riempie ritmante lo spazio interposto tra un corpo e l'altro. Fusioni. No, illusioni di moti fondenti anime, ma anime in vitroflex. Profumi dolciastri creano scie, trasportati da note musicali. L'oculata direzione della regia attua un perfetto inganno brutalmente incoraggiante della scena.
Percorre lentamente la pista e sente addosso ogni singolo sguardo. Le brucia la pelle. Lei benzina, lei fiamma riflessa nell'iride, lei acqua che spegne incendi.
La temperatura sale e con essa la mia soglia di attenzione alle continue stimolanti variazioni interne delle esterne creature.
Avanzo. Lei si svela, passo dopo passo, ma senza rivelarsi realmente.
È la Venere fuoriuscente dalla conchiglia, qui per essere ammirata. Ha luce dentro e vento nei capelli. Venere e Medusa, un'unica medaglia per due facce opposte.
Le zanne dei tuoi serpenti le vorrei sentire sulla mia pelle. Avvelenami e guariscimi in un morso unico, Mia Dea. Quanto pesa l'odore della libertà agli animali chiusi in gabbia? La gabbia è la mia, il corpo è un limite, solo uno scheletro che comprime l'essere. Voglio urlare e voglio danzare. Con te. Su di te. Dentro di te.
La sentinella del buonsenso sembra lanciare un avvertimento. Attenti agli occhi! Attenti agli occhi!
Ma è troppo tardi e vedo gli altri già vittime inconsapevoli del processo di statuizzazione. Ornamenti. Restano ornamenti. Arredanti terreno incolto.
Lei procede, fiuta, cataloga.
Frazioni di secondo scandite dal sonoro incedere dei suoi tacchi, in attesa di vedere chi avrà l'ardire di bussare alla sua porta.
Lo noto, nell'angolo. La guarda sbavando. Non concedo spazio all'ira. Osservo in silenzio. È lei il suo miglior scudo contro la bassezza del mondo. Incede, felina, accanto ha una parete, un piano riflettente. Gioco di specchi. Riflesso. Bagliore. Distorsione metapsichica di un dodecaedro multifocale. È lì che si perde.
Lei si guarda e vede profondità, abissi oscuri, nei quali la luce non penetra se non come substrato di una lontana reminiscenza. Ma i contenuti livellati, spolpati, brandizzati e compressi sono diventate superfici e le superfici sono finite per somigliare a delle facce. Un milione e più di facce che adesso la osservano. Ritrovarsele di fronte è come mettersi a curiosare tra le vetrine di una strada affollata durante il periodo natalizio. E puoi fissarne a centinaia di vetrine, di belle vetrine decorate minutamente e millimetricamente proporzionate-ideate-assemblate, soggiacenti al supremo parametro dell'estetica formale. Una pura algebra emozionale. È glassa per torte. È strato zuccheroso. Molecole cristallizzate che alzano i livelli glicemici nel sangue. Abbellimenti ornamentali che ti condannato al diabete. E puoi fissarne a centinaia di vetrine ma alla fine, pur essendo l'una diversa dall'altra, saranno sempre tutte uguali.
Io la osservo e vedo unicità. Osservo ogni versione di lei, nel mondo.
Lei, sola, con se stessa e con le altre 'se' scruta la superficie dello specchio. Liscia, fredda, razionale. Gli altri vogliono una porzione di Lei impressa in pasta di vetro riflettente. Ma l'inganno, esternato per essere tenuto nascosto, sta nel farle il verso, senza riprodurre la realtà. Rappresentazione non recitata ma falsata. Falso d'autore. Esigono la copia e poi gridano allo scandalo, "Uno scandalo che costi così tanto!".
L'arcobaleno di vetri colorati che le brilla dentro il cuore è un'aurora boreale perpetua, ma nessuno riuscirà mai a vederla se si ferma ad osservare la montagna di ghiaccio, lì, nelle sperdute terre polari. Le nevica dentro. Un arlecchino colorato sommerso e disperso nel bianco. Un pezzo di stoffa di un diverso colore per ogni diversa emozione.
Soldatini di piombo, sì, ma vuoti, quelli che le danzano attorno senza elevarla.
Si compone il mosaico del suo essere ma il vento soffia forte tra i ghiacciai e la bufera è sempre in agguato. La spedizione non è andata a buon fine, la slitta è dispersa, may-day, may-day, mandate i soccorsi.
Lei continua a fissare lo specchio ma non vede altro se non il freddo glaciale. E poi solo il bianco.
Ma i soldatini hanno riposto le armi o, forse, non hanno mai appreso come usarle. Sembrano fantocci con alla cintura spade di plastica, cuori in plexiglass e mani di burro. Con lei servono lame appuntite e taglienti. Serve il ferro temprato di un animo battagliero. E serve anche il calore famigliare di una corazza intessuta di fili di appartenenza.
Uno dei tizi torna indietro sui propri passi. Ingoia amaro. Tace e fissa lo sguardo truce sul bicchiere pieno di vuoti e sorrisi a buon prezzo che stringe in mano.
Avanzo. La serata ha impiegato troppo a decollare.
Start up più lento di un diesel. Io voglio la benzina. Io voglio Lei. Non voglio aspettare che il motore carburi. Da 0 a 100 in 2,5 secondi. Adrenalina per endovena.
'Signore e signori siete pregati di restare ai vostri posti con le cinture di sicurezza allacciate'.
Mi avvicino al bancone. Le ordino un drink. White Lady.
I nostri nomi si perdono nelle pieghe di un tempo sincopato. Alla passione non servono convenevoli. Due lingue di fuoco che danzano si attraggono e uniscono in un'unica fiamma per un processo di naturale appartenenza elementare.
Le scende in gola. Sorride. Effluvio di piacere inebriante. Dischiude un sorriso sul viso.
Osservo giocoso i giocolieri far disegni in aria con bottiglie colorate. Riflessi sotto luci al neon generanti aurora boreale. Reale ben poco. Dinamica controvertente stadi di lucida post trasposizione di un immaginario paesaggio. Ghiaccio. I cubetti scendono risuonanti nei bicchieri. Tintinnante desiderio raffredda lo stomaco bagnato dall'alcool. La mia testa è una cristalliera posata sulla terra vibrante. Scosse. Scala Richter 8.5.
Inizia il disgelo. È lei il cubetto di ghiaccio nel drink adesso.
Non le importa più degli sguardi circostanti. La sua pelle è fresca, non più sottoposta a bruciante contatto visivo scaturente da pensieri in carbon fossile. La folla si polverizza attorno a noi. Sono brace spenta. Noi siamo fuoco vivo.
La realtà non vedeva noi, noi scegliamo ora di guardarla solo per riderle in faccia. Vogliamo vendetta. Esigiamo un amante. Non solo per il sesso, ma per tradire il mondo con un ultraterreno viaggio esplorante nuovi spazi.
Segnale affermativo dalla torre di controllo. Partenza.
La musica allaga le nostre menti in congiunzione ritmica. La pelle si cerca, gli occhi si desiderano, i respiri si incontrano. È vicinanza la nostra, non prossimità. È fusione, non scioglimento. Non siamo due leghe di metallo, siamo energie sottili che si diramano dal centro del nostro tumulto. Il mio sangue scalpita, ha sete di labbra e carne. La voglio sempre di più mentre i battiti incalzano. Il mio cuore o il mix musicale. Non c'è differenza, non c'è distinzione. Danza atavica, danza tribale. Rituale magico o rito propiziatorio. Fuori dal corpo, dentro l'essenza. Lei è pulsazione allo stato puro. È un elastico che si tira e si abbatte sulle pareti interne del mio desiderio.
La afferro. La vedo. Sussurro il suo nome e resto fermo. Immobile. Ora è lei che avanza. È l'onda che rifrange. L'oceano che danza e il sole del deserto che spazza via ogni zona d'ombra.
Mi divora. La bacio. In un contatto è la vita. Mi bacia. La divoro. La vita è il suo contatto.
Un contatto.
La vita.
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Nudi
General Fiction- Dunque vuoi scoparmi? - chiese Adele, con candore forzato, come se gli avesse chiesto quanti cucchiaini di zucchero gradisse nel tè, - E sei convinto che io ti lascerò fare, anche - concluse, con un sorrisetto malizioso. - Voglio dimostrarti che n...