Bites

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Annuso l'aria, aguzzo le orecchie.

C'è elettricità attorno questa sera. Campi di forza che si generano vicino cariche inesplose. Vibrano, fremono, ma non arrivano al punto di rottura.

È il magnetismo che attrae ma non si impone. Ti sussurra dolcemente nell'orecchio, ti induce all'avvicinamento, ma non lo forza.

È l'attrazione di chi sa che ogni atto comandato reca insita in sé la debolezza della fine.

L'obbedienza è morte. La libertà è utopia. E allora la vita? È ribellione. Strenua. Ostinata. Costante.

Il sogno di un cuore battagliero, ma nella mente di qualcun altro.

È la freddezza di chi sa che non esiste violenza più brutale di quella che ci si rifiuta di compiere, sotto il giogo delicato di una scelta illusoria, offerta con un sorriso di miele. Non esiste ape che non viva per produrne, eppure, immagina la fine che farebbe, se in quel miele ci affogasse. Una lenta e densa agonia. Lo puoi sentire appiccicartisi tra le dita, scivolarti addosso, ricoprirti di una dolcezza letale.

Non sono io. Tu stessa sei la tua violenza.

E prenderne coscienza è spiazzante. E quegli atti di piccole e infinite repressioni quotidiane autoimposte ora somigliano molto di più al cannibalismo, nella sua forma più cruenta e pura, quello contro se stessi.

Sono scosse elettriche, quelle che ti si infilano sotto i nervi e li percorrono, svegliandoli da un torpore di ignoranza. Scosse. Ondate di energia. Una scossa per tornare in vita, una scossa per fermarla.

Lo scorrere del tempo al contrario con le lancette che inseguono loro stesse. Ciò che sono state e ciò che non saranno mai più. A partire da ora. Ma se l'orologio è fermo non significa che la corsa sia finita.

Ti ho fiutata, perfino in una notte di pioggia.

Ti ho rincorsa, senza neanche vederti.

Ti ho quasi raggiunta, ma tu appari come te stessa e quindi ti perdo. Di colpo.

La te disegnata, costruita, elaborata.

Cosa trovo se ti entro dentro?

Il contenuto è stato spostato e a me resta in mano il contenitore. È bello, elegante, attraente. E io lo desidero, certo. E scopro che nemmeno un animale può evitare di piegarsi alle rigide regole di mercato. Io lo voglio per toglierlo dalla vetrina. Perché non lo noti nessun altro. Per soddisfare i miei occhi, che sanno a volte come essere vuoti.

Ma esigo comunque tutto. Perché ho visto.

Dentro il tuo sguardo che mi è venuto a cercare mentre il tuo corpo fuggiva. Dentro la testa che ti nasconde al mondo, quella gabbia dorata dove troppo spesso ti diverti a fare origami di pensieri. Me li lanci contro, sperando possano rallentarmi. Ma è solo carta, bambina, solo carta arrotolata. Così facendo semini briciole di te che io rubo e divoro. Sentissi che buon sapore hanno...

È il cervello che ci governa o lo stomaco? È la volontà che ci spinge avanti o la mancanza?

Perché è con te che capisco quanto può essere piena un'assenza.

Allora ti afferro. Ti prendo per non perderti.

Lo sento che tremi, ma detesti ammetterlo. Come scudo un sorriso di scherno. Vuoi farmi toccare la tua apatia coscienziale. È implicitamente un atto di dominazione, sì, dominazione dal basso.

Mi dici che sei refrattaria, che non avrò soddisfazione. Potrei farti qualsiasi cosa in questo momento, torturarti perfino, non cederesti. Una moderna Giovanna d'Arco che sta per darsi fuoco da sola.

Mi provochi, vuoi che infierisca su di te, per poi dirmi che mi avevi avvisato, nulla sarebbe andato come previsto. La preda che si rivolta contro se stessa e, di riflesso, contro il suo stesso predatore.

Ma io non ho mai avuto piani. E non sono un banale predatore. Non ho mai avuto armi, per salvarmi da me stesso, perciò non sono il cacciatore.

E allora chi sono? Cosa sono?

Ti sento fremere. Sei in attesa del graffio, del morso, del dolore. Ed è per questo che io sarò implacabile nella negazione.

E sarò in grado di farti male, bambina, perché non ti darò nulla di ciò che ti aspetti.

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