Il disastro

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Giunta la primavera Sara cominciava ad essere un po' strana, era sempre giù di morale, la vedevo sempre pensierosa, con lo sguardo perso in chissà quale luogo, con la mente che spaziava ovunque tranne che nella realtà.
Il suo viso era spento, i suoi occhi non brillavano più, nemmeno la camminata sembrava la stessa. Cosa poteva essere successo?
Più cercavo un contatto con lei più sembrava che peggiorassi le cose: evitava il contatto con gli altri, eccetto alcuni suoi compagni di classe fidati con cui ho pochi rapporti, se non inesistenti con alcuni in particolare.

Qualcosa non andava.
Lì mi preoccupai davvero.


Cercai Sara a ricreazione, ma stava in classe, con una compagna, non mi guardava nemmeno, ero seriamente preoccupato che le fosse successa qualcosa di tremendo, e che non ne volesse parlare a nessuno.
Nemmeno a me.

Per due settimane non trascorremmo l'intervallo assieme.
Dodici intervalli a non parlare con lei.
180 minuti senza sentire la sua voce.
Tre ore di silenzio.
Tanto, troppo tempo.


Quel silenzio era assordante, ma alla fine, come al solito si fece avanti lei, inviandomi un messaggio.
Mi cadde il telefono dalle mani.
Mi scese una lacrima, poi un'altra, e un'altra ancora. Avevo le gote imperlate di lacrime che si trasformarono in un oceano di amarezza e sofferenza.

Aveva un'insufficienza polmonare. Non riusciva a respirare bene, ne consegue che non poteva fare troppi sforzi, non poteva incornarsi con me, non poteva saltare dalla gioia, non poteva correre ad abbracciarmi.
Tutto per cause naturali.

Il giorno dopo non la trovai a scuola.
Il mio cuore andò in allarme. Temevo il peggio. Durante l'orario matematica le mandai un messaggio chiedendole come stesse e perché non fosse venuta a scuola.
Suonò la prima campana, poi la seconda, poi la terza.
Finalmente mi rispose. Stava bene, ma era tenuta sotto osservazione, presto però sarebbe uscita dall'ospedale.

Presto.
É un tempo molto variabile.

Mi trovavo nel bel mezzo di una tempesta di emozioni che stridevano fra di loro, generando dentro di me frastuoni e baraonde .
Avevo la mente assediata dall'ansia.
La mia quiete era stata messa a ferro e fuoco dall'angoscia.
Dentro ero tutto una guerra.

Dopo quella terza campana finirono le lezioni, tornai in fretta e furia a casa.
Subito arrivato la chiamai, segreteria telefonica; cercai di mantenere la calma: si trovava in un ospedale, dove a causa delle radiazioni il segnale viene ostacolato.
Riacquistai lucidità mentale.
Farle sapere che ero in angoscia avrebbe peggiorato le cose in maniera irreversibile.

Ero troppo preoccupato per stare calmo.
Le dissi che non appena avesse avuto un buco mi avrebbe dovuto chiamare all'istante.
E rimasi così: con il telefono in mano, ad aspettare sue notizie.

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