Ed ecco che scendo le scale. Finalmente nessuno mi può vedere, com'è meglio che sia. Stare a contatto con qualcuno per qualche minuto mi mette a disagio, figuriamoci per alcune ore. Eppure quel ragazzo ha qualcosa che mi spaventa ancor più degli altri, ma al tempo stesso mi tranquillizza leggermente. Sarà che assomiglia un po' ad uno dei miei "eroi" preferiti. Le mie gambe si muovono da sole e sembrano non sentire il mio peso. Sugli ultimi gradini prima del corridoio che porta nella mia aula voglio saltare, come faccio a casa del resto, ma ho paura che possano passare degli insegnanti. Insicurezza. Sono un'inguaribile fobica. Ecco ciò che mi dice la mia coscienza, spietata come al solito.
Entro in classe e vado a riporre il bento nello zaino, ma noto qualcosa di strano, inaspettato. Un atto di cattiveria, ma che spesso è giustificato con un "era solamente uno scherzo". Balle. Che cosa mi avranno fatto vi domanderete. Tutti i libri sono sparsi sul pavimento, palesemente calpestati, lo zaino pasticciato con gesso e pennarelli. Sul banco ci sono dei ghirigori fatti con l'inchiostro. Incolperanno me, sicuramente. Un sospiro- è tutta la mia reazione. Niente rabbia, niente lacrime, niente vendetta. Solo un sospiro stanco, carico di delusione verso il mondo. Mi ricordo che avevamo accennato a qualche scrittore pessimista... come si chiamava? Ah già: Leopardi, e poi c'era quell'altro... Pascoli. Approvo in pieno il loro modo di pensare. "Solo le cose vicine lo tranquillizzano, perché non gli riservano sorprese. Le cose lontane e quindi non famigliari, lo mettono a disagio." Io invece a volte mi trovo male anche nel mio solito monotono mondo.
Decido di andare in bagno, ma prima riordino un po' la mia roba. Per quanto riguarda il banco: non posso farci nulla. Una volta arrivata alla fine del corridoio, entro in quella stanzetta stranamente pulita. Quest'anno è più grande, ci sono cinque lavandini e otto bagni (che io odio perché li trovo maledettamente scomodi). Sono presenti tre specchi. Mi ci guardo, ma rimango più delusa del solito. Grosse e livide occhiaie contornano gli occhi azzurri, ma che sono sempre grigi, forse a causa del mio umore. La mia pelle è pallida e si notano chiaramente i due taglietti ancora arrossati sullo zigomo, che risalgono a qualche giorno fa. Chiudo gli occhi e conto. Non devo arrivare ad un numero preciso, solo il giusto necessario per farmi passare la voglia di stringermi nella mano quella lametta. Non resisto, e la mia mano destra vaga da sola nella tasca dei jeans, in cerca dell'oggettino metallico. Eccola. La tiro fuori cautamente, ma prima di compiere qualsiasi gesto, mi chiudo a chiave in un bagno a caso. Tiro su pigramente la manica sinistra della felpa, dopodiché prendo l'utilissimo pacchetto di fazzoletti. Ne tiro fuori uno.
Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. No, non mi basta. Sei. Sette. Ecco: il sette è il numero massimo di ogni cosa. Blocco il sangue con il pezzo di carta, che subito si tinge di cremisi. Noto che stavolta sembra quasi tendere al violaceo. Forse è la quantità, forse il fatto che la mia temperatura corporea non sale oltre i 35.2°, fatto sta che rimango a fissare quelle gocce fino a che gli occhi cominciano a pizzicarmi. Un'idea. Prendo la lama della lunghezza di un dito, ma affilatissima, essendo nuova. Cautamente la avvicino alle mie labbra, poi con la lingua percorro tutta la sua superficie. Buono. Mi innamoro subito di quel sapore metallico, forse del sangue o forse è l'"arma" a confondere il gusto. Ho del tempo per riflettere. Perché lo sto facendo? Per un dispetto? No, perché non posso farne a meno. Mi odio, e questo fa solamente parte di quel vaso traboccante, dal quale non scendono gocce, ma fiumi d'acqua. Acqua salata, ma non sono mie lacrime. Non piango più da molto ormai. Ecco: è la mia unica fortezza. So che mi farebbe bene sfogarmi, ma io non devo avere bisogno di nessuno, e così facendo attirerei attenzioni inutili. Mi odiavo ancor di più quando cedevo e mostravo la mia fragilità. Adesso almeno posso fingere.
Esco ancora inebriata da ciò che ho appena assaggiato; il fazzoletto nascosto sotto la manica ma appiccicato al polso. Appena in tempo per il suono della campanella, che mi costringe a tornare in quella classe, colma di gente falsa, che un tempo ha finto di interessarsi a me, ma che mi ha sempre odiato. Non so perché. Io sono sempre stata così. Sono solamente diventata più riservata e taciturna, anche perché non esprimo più opinioni sul conto di nessuno. Il motivo? Quelle persone mi hanno fatto arrivare a credere di non essere degna di giudicare, come se fossi un essere vivente ma non una persona.
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Watashi wa dare desu ka?
Novela JuvenilToojo Rika è una studentessa dell'accademia linguistica più famosa in Giappone. E' un'inguaribile asociale a causa di un burrascoso passato. Fobica di ogni socializzazione, si ritroverà a dare una chance a un nuovo compagno di classe, che le ricorda...