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Ignaro di tutto.


Jisung non credeva di sapere cosa si trovasse davanti ai suoi occhi. Non credeva di sapere esattamente quale fosse il significato di ciò che Minho gli aveva detto, né del modo in cui aveva iniziato ad evitarlo dall'unica giornata che erano riusciti a passare insieme.

Anche se fissava i suoi occhi sull'asfalto scuro della strada, non era mai stato il tipo da vedere soltanto asfalto scuro. Jisung vedeva tutte le piccole componenti di quell'asfalto, e vedeva un fiume sporco che scorreva invece che una strada, e vedeva ombre che andavano a fondersi insieme.

Credeva di aver visto un'ombra seguire anche Minho, quando lo aveva riaccompagnato indietro a quello che evidentemente era il suo nuovo appartamento, nonostante il sole fosse stato nascosto dietro ad un pesante mantello di nubi arrabbiate.

Ora la pioggia cadeva davanti a lui, e la strada sembrava ancora di più un fiume sporco.

Un passo dopo l'altro, raggiunse il margine del marciapiede, lì dove cominciavano delle strisce pedonali, bloccandosi per un paio di secondi, giusto il necessario per realizzare di non volerle oltrepassare.

Jisung sapeva sempre quello che voleva, anche se quello che voleva non era qualcosa di certo e preciso.

Si infilò una mano nella tasca della giacca, continuando a reggere il suo ombrello con l'altra. I suoi occhi scrutarono con una certa impazienza un gruppo di individui che stava camminando particolarmente lento un paio di metri più avanti rispetto a lui.

Si morse un labbro quando riconobbe la voce di una di quelle persone, alzando il cappuccio sopra la sua testa e aumentando il ritmo dei suoi passi, scendendo dal marciapiede e bagnandosi le scarpe con l'acqua di una pozzanghera solo per poter superare quell'ostacolo.

Cinque minuti più tardi, si trovava davanti alla porta di un certo appartamento.

Non avendo salvato il numero della persona che vi viveva nella rubrica del suo cellulare, prese un respiro profondo e suonò semplicemente il campanello, pregando che non sarebbe finito per distruggere tutto quello che aveva con una stupida domanda.

Jisung voleva di più.

La persona dall'altra parte aveva un leggero sorriso quando aprì la porta lentamente.

–Hey!– disse Jisung, ridacchiando. Tirò la mano sinistra fuori dalla tasca della sua giacca, stringendo tra le dita una chiavetta. –È qui.

–Oh, grazie Ji!– esclamò una voce femminile, sfoggiando uno dei sorrisi più belli che Jisung avesse mai visto. Lo avrebbe quasi fatto innamorare, se solo non fosse stato gay. –Potevi scrivermi.– aggiunse poi, giocando con la chiavetta.

Jisung annuì, ricambiando il sorriso, solo più impacciato di lei. –Penso di aver eliminato il tuo numero per sbaglio.

Era una bugia. Non aveva mai salvato il suo numero, perché non era mai stato interessato ad aiutare quella persona con i suoi compiti.

–Fa nulla, allora ci vediamo all'uni?– chiese, non riuscendo a tradurre un singolo pensiero dalla testa di Jisung.

Ma quest'ultimo posò la mano sullo stipite della porta, richiamandola prima che potesse essere troppo tardi. –Aspetta, Yeji?

La porta si fermò prima di venir chiusa del tutto. L'espressione sul viso di Yeji mutò da una illeggibile a una leggermente infastidita. Jisung non poteva biasimarla. –Che c'è?

–Ti ricordi...di Minho?

–Minho?– ripeté, e un angolo delle sue labbra premette verso l'alto. –Certo. Perché mi chiedi di lui, ora?

anche se nulla ha un senso | minsungDove le storie prendono vita. Scoprilo ora