R - Metamorfosi

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Pubblicato il 9/07/2022

III

Davanti a me, si ergeva il miraggio di un giovane alto e biondiccio, con la barba incolta e una cicca di sigaretta, che si passava da un angolo all'altro della bocca.

« Ah! Tutte le donne cadono ai miei piedi, ma non ne avevo mai fatto svenire una... secondo te è il fascino dell'uomo maturo, l'eleganza di quello inglese o l'austerità di quello slavo che fa quest'effetto? Potrebbe essere un mix. » borbottò con un ghigno beffardo, mentre con una mano mi teneva le gambe sollevate e con l'altra guardava di sbieco l'orologio.

Il mio monolocale si restrinse attorno a lui: si fece minuscolo il cucinino rosso ad angolo, il piano colazione dello stesso colore e la finestra in legno bianco a due ante.

Mi sforzai di guardarlo, emicrania e palpebre pesanti mi rallentarono e impiegai un po' a capire chi o cosa avessi davanti.

Ancora sdraiata, osservai le fattezze dell'allucinazione che era venuta in mio soccorso: un viso angelico, contornato da riccioli caldi e luminosi; due spalle dritte e larghe, deltoidi sporgenti, bicipiti arrotondati e avambracci robusti stretti in un cashmere grigio; fianchi e gambe dritte, che ne esaltavano l'altezza, conferendogli un aspetto statuario.

Ripose l'orologio in tasca, spostò il peso delle mie gambe sull'altra spalla, poi prese la cicca tra pollice e indice lanciandola dritta verso il lavabo del cucinino.

Quello non poteva essere lui.

Non poteva essere Leonard.

L'immagine che portavo con me aveva delle caratteristiche fisse, immutabili: magro, emaciato e scarno. Uno scheletro.

Conoscevo il suo corpo a memoria, il suo respiro, il suo battito cardiaco... sapevo tutto di lui e quello non era lui.

La carnagione la ricordavo a tinte fosche e non perché il mio ricordo fosse affievolito dal tempo, anzi era nitido ma cinereo, di un tono grigio cupo. Al contrario, adesso appariva chiara, rosata e morbida.

Era sereno e vestito di tutto punto, non era arrabbiato, ferito o scalzo. Non era tachicardico, agitato o febbricitante... i suoi polpastrelli sulle mie caviglie non erano freddi, bensì miti così come il suo temperamento. Era lindo e pulito, né il maglione che aveva indosso, né i suoi pantaloni blu erano macchiati di pece.

Quando quel sogno fatto uomo, con il solito tono di voce scaltro, contò il mio tempo, « Ti ci sono voluti all'incirca 65 secondi per svegliarti e a me 20 per capire che... », istintivamente, decisi di difendermi e di calciarlo via per farlo svanire.

Quell'attacco non ebbe l'effetto sperato e scatenai il sarcasmo del fantasma. Mi afferrò le caviglie e mi squadrò le piante dei piedi e i talloni, incuriosito dalla mia mossa, per proseguire divertito: « ...sui tuoi calzini ci sono delle fette di ananas e di... anguria o forse sono fragole... »

Era impossibile che lui fosse lì davanti a me e mi stesse punzecchiando... dovevo dimostrare a me stessa che quello era uno spettro del mio passato.

Mi lasciò le gambe, andò verso il rubinetto e farfugliando qualcosa in russo, rovistò tra i piatti sporchi del lavandino. Non trovando un bicchiere pulito, recuperò una tazza dal pensile della cucina che riempì d'acqua.

« L'hai presa bene, pensavo peggio. » disse porgendomi la tazza.

Presi la tazza e... ancora incredula gliela versai addosso.

Ero impazzita, avevo una qualche forma di psicosi e il mio attaccamento alla morte di Leonard era diventato così morboso da offuscare la mia capacità di giudizio.

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