Frustrazione

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Niente di più tortuoso dello scorrere del tempo: dà l'idea di quanto futile sia la nostra esistenza. Sentivo ogni minuto, ogni secondo scorrere, trascinandomi­­­­­­ nell'oscurità. Il mio unico pensiero di sofferma sul senso della vita...la mia vita. Quanti elogi, quanti auguri e benedizioni ho ricevuto in questi anni. Quanti di questi favorevoli auspici si siano realizzati? Nessuno, almeno per ora. Ricordo quel nefasto giorno, quando fui convocato all'ospedale militare per essere sottoposto a visite psichiatriche specialistiche, al fine di valutare il mio stato emotivo dopo l'ultima, purtroppo, mia grande missione e vittoria. Questi illustri dottori, dopo avermi sottoposto tutta una serie di test e di colloqui, emanarono il loro verdetto finale, dichiarando che la mia persona non era più idonea alla carriera militare intrapresa, causa: "labilità emotiva causata da stress post traumatico". Non nascosi agli occhi della commissione di ufficiali la mia ilarità: io ero il migliore, avevo portato a termine quello che nessuno era riuscito a compiere e ora dovevo essere allontanato perché qualche grande intellettuale affermava un bipolarismo da stress post traumatico? Cercai di mantenere il mio più totale autocontrollo, benchè fossi già approdato alla mia soglia limite. Non avrei accettato dopo cinque anni di accademia militare essere allontanato così. Non la voglio tirare per le lunghe: dico solo che uno di questi geni uscì dicendo: << Beh, si prenda una lunga vacanza, vedrà che gioverà alla sua salute. Ci dispiace, ma ciò non è uno status incline al ruolo che lei ricopriva. >>. Rimasi a fissare per un pò quel foglio che sputava sentenza sulla mio essere militare. Lo presi in mano, lo rilessi un'altra volta e dopo essere scoppiato in una risata isterica, davanti ai loro occhi strappai il foglio, mi alzai, mi misi sugli attenti e mi congedai. Non è possibile descrivere il mio stato d'animo di allora: era un vuoto ancora più vuoto. Solo ira e adrenalina mi scorrevano in corpo. Avevo bisogno di uno sfogo. In quel momento pensai che avrei preso il primo sfigato, il primo barbone, la prima persona che mi fosse capitata a tiro e avrei dato libero sfogo al mio genio. Mentre camminavo sul marciapiede di fronte l'ospedale, notai ai semafori un barbone che chiedeva l'elemosina con un bicchiere alle macchine passanti. Stavo camminando con le mani in tasca e per puro caso mi trovai a toccare quei pochi centesimi che avevo in quel momento a portata di mano. Non so perché, ma quando mi avvicinai a lui, mosso da non so che, presi quegli spiccioli e li misi nel suo bicchiere. Senza motivo, era una cosa che sentivo di fare, tutto l'opposto di quello che mi ero prefissato. Il mendicante mi sorrise, chinò la testa alzando il cappello e disse qualcosa che mi avrebbe accompagnato per qualche minuto dopo : << Che Dio ti benedica! >>. E non fu la prima volta: mesi prima, semplicemente per aiutare una anziana signora a scendere dall'autobus ricevetti queste parole: << Sei un carissimo giovane, una rarità, io purtroppo sono rimasta vedova, ti auguro che la Madonna possa sempre proteggerti e vegliare su di te. >>. Sono due esempi dei tanti complimenti e auspici che mi sono stati rivolti. Tuttavia, arrivato a questo punto, erano pur sempre elogi, non maledizioni. Perché allora l'unica cosa che posso permettermi di dire nella mia solitudine era "Dio non è più con me...". Dopo essermi dedicato a salvare la vita delle persone e a combattere per la pace, devo sprofondare nell'abisso di tristezza e solitudine perché non mi è rimasto più niente per cui valga la pena di vivere? Ho provato a cambiare, per i miei amici...per lui...ho provato ad adattarmi a un nuovo stile di vita, ma senza risultati. Il giorno passava e la mia casa era diventata la mia cella. Non avevo concluso niente. Capii che non avrei risolto niente restando a ricordare quanto fosse accaduto, così mi infilai la giacca, misi i miei amati stivaletti dell'arma e decisi di andare a fare quattro passi. Era notte e l'oscurità era rischiarita dai piccoli fasci di luce che emanava la luna invidiosa del sole. Non c'era nessuno per strada, nessuno sguardo da poter osservare. I lampioni e una leggera brezza invernare erano i miei compagni di uscita. Mentre stavo camminando udii un urlo di donna provenire da un vicolo vicino. Mi precipitai subito senza esitare. In questo vicolo cieco trovai tre uomini che tenevano ferma una donna al muro, molestandola e toccandola nelle parti intime. L'occasione che mi serviva: avrei potuto "manifestarmi" con un valido motivo, anche se forse era solo un pretesto. Mi fiondai verso il primo a destra, lo presi per la giacca e lo scaraventai sul muro opposto. Il secondo che era al suo fianco si lanciò contro di me sbattendomi al muro. Resistetti all'impatto, mi liberai dalla sua presa e dopo avergli sferrato un pugno diritto in viso rompendogli il setto nasale, con il pollice e l'indice destro, con la stessa velocità che l'aquila usa per afferrare le sue prede, similmente io afferrai la sua trachea. Strinsi tanto forte che le mie unghie squarciarono la pelle del collo ed entrai nella sua carne. Che sensazione, era un sadismo che mi procurava piacere, un'irresistibile goduria. Il malcapitato indietreggiò premendo le due mani contro il suo collo ormai diventato sorgente del sangue che scorreva mentre emetteva con la bocca dei profondi e rauchi respiri sofferenti. Il terzo aveva tirato fuori un coltello e si scagliò urlando verso di me, probabilmente per intimorirmi e nascondere la sua paura. Con le dita insanguinate mi strofinai il labbro sorridendo e quando il suo colpo di coltello mi stava per raggiungere, gli diedi il profilo deviandolo, con la mano sinistra afferrai il suo braccio destro che teneva il coltello, con il bordo della mano destra aperta gli sferrai un colpo diritto al collo stordendolo, prontamente scambiai le mani, mi portai dietro di lui e con le due mani applicai una leva lungo il suo braccio. Lo portai in ginocchio tra urla e lamenti, ma la mia presa era ben salda. Sentivo i muscoli che mi facevano promesse di tante emozioni forti. Sorridendo e con il sangue che mi scorreva sulle mani, misi più forza nella leva tanto da spezzargli il braccio: lanciò un urlo che risuonò nel vicolo e dopo essersi portato ancora più a terra, mi girai alzando la gamba e colpendolo con un calcio a montante in faccia. Il primo nel frattempo era rimasto a guardare con gli occhi sbarrati la sorte dei suoi compagni. Mi avvicinai verso di lui, iniziò a tremare, la paura lo portò ad avere un'azione offensiva nei miei riguardi. Io ,di cortesia, lo ricevetti e lo riportai spalle al muro da dove proveniva. Questa volta però gli afferrai i capelli e cominciai sbattere la sua testa sul muro violentemente. Bastarono tre volte affinchè il muro potesse essere colorato del sangue della sua nuca. La quinta fu la più violenta e dopo questa lo lasciai cadere a terra. Chiusi gli occhi e tirai un profondo respiro. Ecco: ora ero calmo, ero in pace con me stesso. Quando riaprì gli occhi contemplai il mio operato: mi sentivo soddisfatto. Mi girai verso la donna che nel frattempo era rimasta impietrita in un angolino. Avevo sangue sul volto, sulle mani e qualche schizzo in qua e in là sulla giacca. Mentre mi avvicinavo la vedevo impaurita, tanto da cercare disperatamente un via di fuga nel muro. Mi accovacciai sulle gambe e lei voltò la testa. Le porsi la mano sorridendo amichevolmente: << Stai bene? >> Le chiesi. Tremava: lo shock era tale da non permetterle di parlare o di fare qualsiasi cosa. Solo quando la presi per un braccio e la aiutai ad alzarsi sembrava che fosse ritornata tra noi. Raccolsi da terra la borsa e gliela porsi. << Grazie... >> sentii dirmi timidamente. La ripresa iniziata fu interrotta dall'uomo al quale avevo spezzato il braccio. Lo vidi dapprima strisciare e rotolare a terra, poi cercò di alzarsi tra profondi respiri di dolore. << Va' via ora, torna a casa. >> dissi alla signora. Lei, senza farselo dire la seconda volta, se ne andò. Prima di andarmene però mi disse un'altra cosa: << Sei un angelo.>>. Sorrisi. Richiusi gli occhi e dopo aver tirato un sospiro li riaprì: ora avevo l'ispirazione per il secondo round. L'uomo si era avvicinato al muro e aveva iniziato ad alzarsi. Corsi verso di lui e afferrandolo per il collo della giacca, lo scaraventai a terra a pancia su, mi misi a cavalcioni e il suo volto fu il bersaglio dei miei pugni. Uno dopo l'altro, come se l'eternità fosse scandita da quella raffica di colpi. Non mi preoccupavo: erano feccia, quello che è accaduto se lo meritavano. Qualcuno potrebbe dire che non è giustizia. Sbagliato: la vera giustizia è questa. Dal canto mio, il mio istino primordiale era all'opera. Il richiamo del dolore era così forte, così persuasivo che mi ero completamente abbandonato a ciò che stavo facendo. Stavo sfigurando il suo volto, vedevo come il labbro si spaccava sotto i miei occhi e come il sangue schizzava su di me. Non mi avrebbe fermato nessuno: eravamo soli, lui ed io, il delitto e il castigo. L'agonia della morte era irrinunciabile per me: mi suscitava sensazioni di eccitazione e di rilassatezza che nemmeno un bacio poteva tramettere. E i miei baci erano ormai andati via...

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