Uniti

74 10 0
                                    

No, lo specchio non parlava: era muto, non trasmetteva niente. "Meglio così", pensai. Mi infilai nella doccia a aprii l'acqua e mi posizionai sotto al getto, immobile, passivo facendomi scorrere tutto addosso mentre con sguardo perso fissavo il bordo di ceramica in basso vicino ai miei piedi. Era come se non fossi lì, era uno di quei momenti nel quale i tuoi pensieri ti portano da tutt'altra parte. Quella sorta di "trance" fu interrotta dall'aprirsi della porta della doccia.

<< Cucciolo...? >> mi disse Splendid entrando. Ora, io non sono tanto portato per queste carinerie, forse dipende dal modo in cui sono cresciuto e come ho portato avanti la mia vita, dal momento che, dal mio punto di vista, in una coppia stabile e felice contano di più i fatti che mille parole diabetiche; ciò non toglie che ci sono dei momenti in cui, volendo, si posso dire. E' vero: avrei ucciso subito chi mi avesse detto "cucciolo", "patato" o idiozie simili, ma con lui non potevo fare altro che abbassare la guardia e concedergli di dirmi tutto quello che voleva.

<< Si? >> risposi timidamente senza girarmi.

Lui mi prese da dietro stringendomi in vita, mi tenne stretto vicino a lui e poggiò le labbra sul fondo del mio collo. Sospirai per la sensazione che provavo. Poi lui portò la bocca al mio orecchio e mi sussurrò dolcemente: << sei bellissimo... >>.

Mi girai verso di lui restando sempre nel bastione delle sue braccia. Ci guardammo per un secondo e senza altre esitazioni gli poggiai le mani sulle guance portando la sua testa verso la mia e a quel punto lo baciai con passione. Sentivo le sue mani accarezzare la zona in basso della schiena, per scendere fino alle mie natiche. In bocca avevo il sapore della sua lingua incrociata alla mia; avevo gli occhi chiusi, volevo sentire più che vedere. Lui prese l'iniziativa e mi appoggiò al muro. Senza staccare la sua bacca dalla mia, con la mano destra mi sfiorò la natica e la coscia destra, iniziando a sollevarla. Poteva fare quello che voleva, mi ero arreso a lui, ero suo ormai. Lo sentii entrare dentro di me e di nuovo potevo sentire i nostri corpi in sintonia, uniti come una volta. Mi limitai solo ad accarezzargli i capelli e a soffocare i gemiti.

Finita la doccia ci vestimmo in un certo modo per andare a comprare il regalo a Lumpy: da lì saremo andati direttamente alla sua festa. Uscimmo e nel frattempo pensammo a cosa comprargli. Optai per un orologio carino che avevo visto in un negozio. Splendid voleva compragli un profumo, ma quando gli spiegai che molto probabilmente almeno metà degli invitati e del nostro gruppo gli avrebbero regalato un profumo, abbracciò la mia idea. Al ritorno prendemmo la metropolitana. Avevamo ancora tempo per la festa e lui voleva prendere un gelato in un parco dove ci siamo visti la prima volta. Per essere un sabato pomeriggio, verso il fare della sera, la stazione era abbastanza vuota, come lo si sarebbe rivelata poi la metro. Non era un viaggio lungo: dal centro dove eravamo, due fermate ed eravamo arrivati. Giunta la metro salimmo e ci mettemmo in fondo al vagone. Eravamo soli. Ci sedemmo, io appoggiai la testa sulla sua spalla e lui mi strinse la mano. Prima fermata fatta. Alla fermata salì un signore, un uomo di carnagione scura, dall'aria definirei da "disperato", da persona non proprio raccomandabile. Costui si sedette sulla fila di posti di fronte a noi, all'ultimo posto, vicino la ringhiera che segnava la fine della fila e la separava dalla porta di uscita. Non ci facemmo molto caso. In prossimità della fermata mi alzai e mi avviai alla porta. Splendid mi seguì, ma la metro sbandò per un secondo, Splendid stava per cadere su quell'uomo, il quale mi sembra sussurrò << attento >>, ma Splendid aveva i riflessi e l'equilibrio pronti: non lo sfiorò neanche, gli passò davanti, fece movimento strano di gambe ed eccolo pronto, pimpante in piedi vicino a me.

<< Mi scusi. >> disse cortesemente Splendid a quell'uomo. Non era neanche necessario dal momento che non c'era stato un contatto, però lui, nella sua semplicità e spontaneità che io amavo, preferì scusarsi.

Odio et amoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora