Libertango

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Quando mi risvegliai, tutti se n'erano già andati, molto probabilmente a pasticciarsi lo stomaco con un misto di dolce-salato, annaffiato o spruzzato con discrete varietà di prosecchi o bianchi fermi. Di solito il dolore chiude lo stomaco, serra la gola e predispone l'uomo a non desiderare alcun tipo di cibo, perlomeno solido. E invece me li potevo perfettamente immaginare, quella banda di inutili inetti, incapaci di allacciarsi le scarpe da soli, in grado di vestirsi col denaro ottenuto dal lavoro degli altri, per la precisione: sono io quegli altri!

Li posso vedere gozzovigliare allegramente, stappare bottiglie su bottiglie e scambiarsi calorose pacche sulle spalle. Terminato il teatrino della veglia, avvolti e custoditi dalle grandi mura della mia casa, si mostrano per quello che effettivamente sono i loro adeguati colori. Il nero del lutto viene rapidamente sostituito con giallo limone e rosso ottone, valido per le occasioni di festa, per le cerimonie gioiose. E me li vedo proprio quei maiali, con la bocca piena quanto la vescica e il ventre gonfio, simile a un panciotto ottocentesco, di quelli imbottiti e pregiati che oramai nessun sarto è in grado di replicare. Posso persino sentire le note musicali e il trascinarsi di suole impacciate, goffi tentativi di danze allegre e piene di limpida vita.

Che ironia...

Poco importa, ora mi sollevo, mi ripulisco il cappotto dalla polvere, imbraccio il bastone da passeggio e abbandono il cimitero. Alla prossima volta. Devo dire che ho provato sensazioni ben peggiori di quella di poc'anzi: non è male starsene stesi al fresco assorti nel silenzio cimiteriale. Sicuramente non hai vicini curiosi, desiderosi di chiacchierare ad ogni costo. Io ho sempre avuto una dannata paura della morte poiché la sua inevitabilità la rende pressoché invincibile. Non le puoi sfuggire e non la puoi ingannare. Tuttalpiù, ci puoi senz'altro mercanteggiare.

Così la inviti nell'orario successivo la cena, le offri un sigaro – di buona qualità, la Morte è una signora – e le versi in adeguati calici di cristallo un buon porto, di quelli che luccicano come i rubini negli occhi delle statue di giada. Signori, prima di mercanteggiare, bisogna accogliere e coccolare il diretto o la diretta interessata. È esattamente come l'arte della seduzione. Oggi si teme – e ahimè spesso accade – che per conquistare una bella fanciulla basti mostrare il bicipite tatuato, offrirle un drink annacquato in qualche locale di mezza tacca, bombardato da "musica" discutibile e infine, con note valentiniane sussurrare rocamente la gloriosa domanda: "Scopiamo?"

Signori, siate seri... questi tentativi potranno anche avere l'effetto desiderato, ma essi sono alquanto deprimenti e si realizzano unicamente a seconda di una delle opzioni che vado qui ora ad elencarvi:

a) Il successo arriva dopo il decimo tentativo, a seguito di una sfilza infinita di NO detti nei modi più disparati: ridacchiati, gridati, sussurrati, semplicemente accennati con lo sguardo o la smorfia corretta o, meglio ancora, gesticolati con ceffoni o drink scagliati giustamente in faccia.

b) La dama desiderata è ubriaca e occhio: questo è stupro. Capito?

c) La dama desiderata è disperata tanto quanto l'aspirante Valentino.

Accogliere, coccolare e conquistare sono l'essenza della seduzione e lo stesso vale per il mercato. Così, dopo aver considerato molte altre alternative, ho deciso di chiedere colloquio proprio alla Signora. Quella sera, la tosse era più violenta che mai e il cuore nel petto batteva a un'irritante lentezza. Lei mi guardava leccandosi le morbide, nere e piene labbra, simili a vene pulsanti di vita. i suoi occhi tradivano il desiderio di prendermi lì, in quel preciso momento, senza lasciarmi nemmeno il tempo di esporre il mio audace proposito. Si tratteneva a stento, fremendo come la coda di un serpente a sonagli. La trovai bellissima e terribile come la più perfetta e inconsolabile delle burrasche. A fatica riuscii a proporle uno scambio, un affare nel quale lei avrebbe saziato per un poco quella fame infinita ed io, moribondo che ero io, avrei scampato l'inevitabile sipario ancora per un poco.

Chiaramente sul piatto della bilancia chi andava a guadagnarci di più era lei, ma non era una questione di vincere o perdere, si tratta di una ragione meramente temporale. È il tempo quello che desideriamo accumulare il più possibile: non l'oro, non il sesso e nemmeno la fama. Solo il tempo, poiché questi – perdonate le continue ripetizioni – ci permette di avere tempo per ottenere tutto il resto. E io, da buon mercante, lo avevo ottenuto.

Così mi incammino lungo la via che costeggia il cimitero, sperando nel miraggio di un taxi e fortunato sono, poiché lo vedo cigolare fra la nebbia e la neve, dirigendosi quieto nella mia direzione. Si ferma. Salgo. Non c'è bisogno di dare nessun indirizzo, alla guida c'è la mia partner in affari. Strizzandomi l'occhio languidamente, preme sull'acceleratore. Guida a una velocità infernale sulle strade inargentate dalla brina, ma non ho paura: come si fa a temere la morte quand'essa viaggia al tuo fianco? Follia.

Entriamo nei cancelli spalancati della mia dimora, dove luci e musica sfrigolano oltre le grandi vetrate del secondo piano. Scendo dal taxi ammirando la magnificenza della mia casa. Poi sospiro pregustando quanto di lì a poco accadrà. L'aria s'è tinta di ghiaccio e la signora scende dal taxi porgendomi la sua mano di luna, intimandomi senza parlare di accompagnarla all'ombra della soglia. Indossa tessuti di ragno e diademi di scaglie serpentine, l'abito all'altezza dell'anca è spaccato e le sue lunghe gambe d'avorio sono toniche e scattanti. Arrivati alla soglia, anch'essa aperta, mi sorride lasciando la presa.

«Quanti?» «Sedici? Forse diciassette...» «Ottimo, vista l'audacia nell'incontrarmi, arrotonderò a venti. E non mi si dica che io non sia generosa o di buon cuore! Ma ti avverto mercante, nessun'altro baratto: tra vent'anni saremo io e te a ballare l'ultimo valzer...»

Le sorrido rassicurante. «Mia signora, le prometto un tango...»

Lei annuisce soddisfatta ed entra nella mia magione. Le luci si spengono e al posto della musica si solleva un coro soave di puro e genuino dolore: magnifico!

Stringo il bastone e riprendo la via della strada. Ne ho ancora di tempo! Ah sì, vent'anni sono lunghi e poi, quando scoccherà l'ultimo minuto danzerò sulle note di LIBERTANGO.

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