Capitolo 16 - Amaro in bocca

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Prima di andare alla piccola chiesa evangelica battista di Carpenter Avenue per la funzione religiosa, i partecipanti al funerale di Matthew erano stati invitati alla veglia nella sua casa. Era norma che questo evento si svolgesse qualche sera prima del funerale, però la salma del povero Matthew era stata trattenuta un paio di giorni per l'autopsia. Questo Ryan lo aveva saputo dalla telefonata che aveva ricevuto da Giselle e, dopo averne parlato con Rose, decisero di recarsi insieme prima alla veglia.

La casa di Matthew, per l'occasione, era stata decorata con fiori bianchi ed erano state portate ulteriori sedie per fare accomodare gli invitati. Amici e parenti, rigorosamente vestiti di nero, stavano in soggiorno a chiacchierare e a raccontarsi aneddoti su Matthew.

In tutta le stanze si potevano vedere foto di Matthew da bambino, Matthew nel giorno della sua laurea, Matthew con la sua prima automobile, nel giorno del suo matrimonio, mentre era a pesca, sulla spiaggia, in montagna, al lago. Vari oggetti appartenuti a Matthew erano stati distribuiti in tutta la casa perché quel giorno era dedicato a lui. Una dolce musica faceva da sottofondo al brusio degli ospiti che sorseggiavano del vino da un bicchiere o mangiavano delle tartine da un vassoio. All'arrivo di Ryan e Rose, molti vecchi colleghi che da un anno non si facevano più sentire, accolsero i due ospiti cordialmente, come fossero vecchi amici.

«Che enorme farsa», disse sottovoce Ryan a Rose.

«Perché?», domandò lei.

«Matthew era piuttosto insopportabile alla redazione, ed era visto come il cagnolino del direttore. Io non ero visto di buon occhio per il motivo opposto. Eppure, eccoli lì a descrivere Matthew come di un grande collega o un amico leale e ad accogliere me come se fossero davvero dispiaciuti per il mio licenziamento»

Lei gli passò una mano sulla spalla: «Cerca di comportarti bene, da domani queste persone non dovrai più vederle»

Ryan sospirò e annuì.

«E va bene.»

Prese un biscotto salato da un vassoio appoggiato al tavolo e si diresse in cucina a fare le dovute condoglianze alla moglie.

La lucente chioma bionda di Giselle era raccolta in un contegnoso chignon, reso immobile da un nastro nero. Un lieve trucco ambrato rendeva armonioso il suo viso malinconico. Indossava un tubino nero smanicato, coperto sulle spalle da uno scialle grigio chiaro. Un paio di ragazze le stavano accanto sussurrandole lievi parole di conforto. Salutò Ryan accennando un sorriso, per sdrammatizzare la situazione, ma era evidente che la tensione e l'attenzione da parte di tutte quelle persone la stavano mettendo a disagio. Ryan le elencò una serie di banali frasi fatte, che lei nemmeno ascoltò. Poi tornò in soggiorno seguito da Rose. In fondo al corridoio, vide una coppia di anziani che usciva dall'ufficio di Matthew. Si diresse dunque in quella direzione. Entrato nella stanza, sentì che un velato odore di incenso permeava l'aria, mentre un piccolo gruppo di parenti prossimi era raccolto in preghiera, insieme ad un pastore. La bara color mogano, circondata di fiori bianchi, era aperta e Ryan poté vedere il pallido profilo di Matthew spuntare dal suo interno. Non conosceva nessuna delle persone presenti in quella stanza, al di fuori di Rose, ma intuì che dovevano esserci sicuramente i genitori di Matthew. Si avvicinò al pallido corpo e mise una mano sul bordo della bara. Il suo vecchio collega era stato vestito con un distinto abito sartoriale nero e blu. Le lunghe dita ormai affusolate erano disposte sul petto in un accenno di preghiera. Nel complesso, pareva che Matthew stesse dormendo. Era stato ampiamente imbellettato, forse per coprire il colorito bluastro che il corpo aveva sicuramente preso in seguito all'annegamento.

Nonostante quell'uomo sdraiato nella bara non fosse stato proprio il migliore del mondo, Ryan non riusciva ad attribuirgli un solo peccato. Effettivamente, pensandoci un po', dove Ryan aveva aggirato la legge, fatto uso di stupefacenti, ucciso, rubato e avuto a che fare in modo diretto con la criminalità, Matthew, al contrario, aveva sempre mantenuto un basso profilo da dipendente modello, una banale pedina del sistema da sacrificare in qualsiasi momento. Aveva sempre abbassato la testa e detto "sì" ad ogni richiesta e "mi scusi" ad ogni richiamo. In che modo, quindi, Matthew, aveva trovato il coraggio di compiere l'insano gesto? Era forse arrivato ad un punto della propria vita in cui non riusciva più a guardarsi allo specchio senza provare vergogna per sé? In quel caso Ryan l'avrebbe capito: ci era passato anche lui, nell'anno in cui era rimasto disoccupato. E avrebbe capito anche quanta forza di volontà infondeva la disperazione e la depressione, quel tanto che bastava per raggiungere quell'unica soluzione: il suicidio. In fondo, cos'è la vita, se non il lungo cammino verso la morte? «Respice post te. Hominem te memento», "Guarda dietro a te. Ricordati che sei un uomo". Era una frase che qualunque generale romano doveva tenere a mente ogni volta che, tornando in città dopo una vittoria in guerra, veniva riempito di onori. E così come un centurione romano trovava il coraggio per lanciarsi in battaglia, Matthew aveva trovato il coraggio di buttarsi nel vuoto. Coraggio che Ryan non aveva mai trovato. Se durante uno di quei terribili mesi in cui si era abbandonato a sé stesso qualcuno gli avesse detto che prima o poi la vita sarebbe migliorata, gli avrebbe risposto, senza ombra di dubbio, che ogni secondo che passava era un passo verso la tomba. E se qualcuno, nel mentre egli guardava la bara di Matthew, gli avesse rivolto le medesime parole, avrebbe sorriso e aggiunto che, essendo ciò un fatto, non si poteva che prenderla in modo positivo, perché il destino di ogni festa è quella di finire. Aver trovato degli amici con cui condividere esperienze di vita, una persona da amare, in cui riversare ogni paura e trovare ogni conforto, avere degli obiettivi da raggiungere: questi erano i punti che Ryan aveva spuntato da una lista che non credeva nemmeno di poter avere e che Matthew aveva strappato e portato dietro di sé. Quel gesto, quel maledetto gesto, era stato il primo e l'unico in cui Matthew era stato egoista. Non aveva pensato al vuoto che avrebbe lasciato nei cuori della sua famiglia, di sua moglie e dei suoi amici, aveva dedicato quel gesto a sé stesso e questo Ryan non glielo perdonava. Fosse stato lui, mesi prima, solo in quel suo polveroso appartamento, senza un soldo, senza nessuno che veniva a bussare alla sua porta, allora sarebbe stato diverso. Sarebbe stato ricordato solo nel magro trafiletto di un necrologio su un quotidiano, mentre, invece, la casa di Matthew era gremita di gente, più di quella che lui aveva immaginato per il proprio funerale.

La vertigine della folliaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora