Uova

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"Tenga a mente che ci aspettiamo che lei ripaghi qualsiasi eventuale danno alla proprietà, signor-"
"Balestra. E non si preoccupi, mi scoprirà essere molto responsabile."
"Allora questo è quanto"
Un paio di chiavi fu ruomorosamente gettato sul tavolo bianco che occupava gran parte di quella fatiscente cucina e che Simone iniziava a sospettare fosse una scrivania riadattata, più che un tavolo da pranzo.

Avrebbe potuto puntare molto più in alto se solo si fosse accontentato di condividere una casa con dei coinquilini, come il padre gli aveva ampiamente consigliato, ma la verità è che Simone non avrebbe fatto altro che barricarsi in camera per la timidezza e tramutarsi in un eremita.

Così andava molto meglio, in un appartamento brutto ma tutto per se e che conservava quel fascino che tutte le cose brutte hanno, quello che ti fa venire voglia di viverle e di renderle un po' più speciali.
Per una frazione di secondo si chiese se lui stesso non conservasse lo stesso fascino, ma rinsavì piuttosto in fretta.

Avrebbe quantomeno avuto amici in quel caso.

La voce della proprietaria di casa richiamò nuovamente la sua attenzione: era una donna paffuta, sulla cinquantina, con una voce incredibilmente irritante che tentava in tutti i modi di passare per autoritaria.

Anche lei aveva lo stesso fascino della casa, se ne rese conto piuttosto in fretta, e non riuscì ad evitare di sorridere a quell'idea.

"Io vado allora, e mi raccomando"

"Le ripeto: si può fidare, e i soldi non sono un problema in ogni caso"

La donna si limitò ad annuire in modo poco convincente, prima di chiudersi la porta alle spalle.
Simone tirò un sospiro di sollievo abbandonandosi contro la porta ormai chiusa, ed approfittò di quella prospettiva per osservare meglio il suo nuovo nido.

Le pareti erano verdi, completamente ed inequivocabilmente verdi, e contro di esse il mobilio che una volta era probabilmente stato in legno, ma che ora si trovava nascosto sotto strati e strati di pittura noce messa lì nel disperato tentativo di farlo sembrare meno vecchio di quanto fosse, quasi scompariva.

Al giovane Balestra quella stanza ricordava una foresta, una bruttissima foresta fatta di pessime scelte di interior design, ma pur sempre una foresta.
Si rese presto conto, osservando con più attenzione l'ambiente circostante, che la parete che separava la sala dalla cucina, direttamente visibile dal divano, era ricoperta da leggere striature biancastre.

Crepe.

Quel muro era ricoperto di crepe.

Simone sperò con tutto il cuore fossero profonde solo quanto lo strato doppio di vernice verde, e che non arrivassero al cuore della struttura.
Erano quasi belle, viste da quell'angolazione.
Si ramificavano come quei disegni in cui le persone raffigurano la loro linea temporale.

Erano distorte, incurvate, imprevedibili.
Erano come le crepe nella vita di Simone.

Cristo, forse ci stava leggendo troppo nel profondo, un altro mezzo pensiero e si sarebbe trasformato in suo padre, iniziando a proclamare discorsi filosofici a chiunque avesse pazienza di ascoltarlo.

Accanto a lui la busta della spesa che si era trascinato su per le scale fino al sesto piano, con la mal riposta speranza che la signora Anna lo avrebbe lasciato solo in casa in un orario decente per pranzare, non aspettava altro di essere smistata fra i cassetti del frigorifero, anche se Simone sospettava adesso che magari avrebbe fatto meglio a pulirlo prima di affidarvici il suo pranzo e la sua cena.
Quello del cibo era un pensiero che preferiva ritardare, però, al più lontano possibile.

Mangiare da solo era sempre stata per lui l'apoteosi della tristezza e della solitudine.

Gli faceva addirittura venire voglia di videochiamare suo padre per costringerlo a fargli compagnia.

Crepe Nel Muro Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora