VIII.

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❝    sé que sientes mariposas, yo también sentí sus alas, déjame robarte un beso que te enamore y tú no te vayas

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    sé que sientes mariposas, yo también sentí sus alas, déjame robarte un beso que te enamore y tú no te vayas.   




Passarono due settimane da quella sera, dalla nostra ultima conversazione, dal nostro ultimo contatto, dal nostro primo ed ultimo bacio. Pensavo alle sue mani che scorrevano lente lungo la mia figura, il suo respiro sul collo e nell'incavo dei miei seni, le labbra che accarezzavano le mie con dolcezza unita a disperazione assoluta. Era un tormento, un'ossessione che divorava anima, mente e corpo. Mente sempre più stanca e priva di forze. Il solo immaginarmi quella scena, tentando di risentire quelle sensazioni mi dava i brividi più volte al giorno, senza che potessi controllarlo. Da quella sera, decisi d'indossare qualche spruzzo di profumo tutti i giorni, mi faceva sentire più vicino a lui, alle parole che m'aveva detto, a quanto gli piacesse il mio aroma. Era diventato un rito ormai, non potevo farne a meno: una parte del mio subconscio sperava che magari, anche da lontano, percepisse la scia e s'avvicinasse di nuovo, baciandomi ancora fino a farmi mancare l'aria nel petto. Avevamo incrociato gli sguardi più volte: nei corridoi, in cucina quando veniva assieme ai ragazzi a cercare qualcosa da mangiare, nel parcheggio. Non ci dirigemmo una parola, neanche mezza, mi bastava guardarlo per far sì che si facesse carico di quella terribile sensazione che portavo al mio interno, tra stomaco e cuore. Avrei voluto strapparmi entrambi gli organi e gettarli via, richiedendone dei nuovi che non provassero ne delusione, ne mal d'amore, ne compassione e ne voglia di piangere ogni qual volta mi trovassi da sola. Da Ciudat Deportiva fino a Barcelona Beach davo sfogo alle mie lacrime, facendo in modo che una volta arrivata al locale tutto quello che c'era da buttare fuori, tutto il malessere, tutta la poca sicurezza che avevo sfociasse via dando spazio ad una maschera per camuffare il mio stato d'animo. Non che fossi così brava nel farlo: mia zia mi conosceva come il palmo della sua mano, cercava di consolarmi e mettere al loro posto i pezzi calpestati, riuscendoci in parte: mi preparava i miei piatti preferiti, cantavamo assieme di nascosto da mia madre, mi insegnava dei piccoli segreti della cucina. Mia madre faceva altrettanto, levandomi qualche incarico e offrendosi a sostituirmi qualche giorno per il servizio catering. Le dissi che non era necessario e che potevo cavarmela. Mi sfogai con loro dopo essere tornata da quella maledetta cena, passai la notte insonne tra le braccia della mia famiglia, le lacrime non ne volevano sapere di arrestarsi. Fu probabilmente una delle notte più dure che avessi mai vissuto.

Indossavo ancora la sua felpa, non la mollai un attimo. Era impregnata di un odore intenso, come bergamotto e patchouli.

—''Allora, come sta andando con quel nuovo ragazzo?''

Ronald ed io avevamo avuto già due appuntamenti ufficiali: una cena cucinata interamente da lui, a casa sua, e cinema all'aperto - fu il mio preferito. Era un gentiluomo, cercava di darmi tutto lo spazio possibile, cercava di non sfiorarmi - facendo esclusione per le mani che intrecciò più volte con le sue. Quei pochi gesti mi facevano sentire importante e soprattutto unica. Ma era anche la persona con la quale fingevo di più ed ero una vera campionessa nel farlo. Ciò accadeva solo quando ero accanto a lui, dato che il resto della giornata lo passavo a rimproverarmi di non essere abbastanza per Pedri.

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