KAEDE - 13 anni (non canonica)

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Avevo tredici anni quando me lo chiese, la prima volta.

Era seduto a tavola. Io, come da suo ordine, accanto a lui. Ormai era quasi un anno che lavoravo lì, avevo da poco compiuto gli anni.
Mi aveva sorpreso con un regalo e un dolce. Delle scarpe nuove, e una fetta di torta.
È sempre stato gentile con me. Non mi chiedeva mai niente, e non capivo perché le altre parlavano così male di lui. Anche lì, seduto a tavola, mi guardava con occhi dolci e sottili. Dritti nei miei, sempre. Mi squadrava, mi faceva dei complimenti. Era davvero simpatico, e gentile. Disponibile. Un fratello, per me. Mi dedicavo completamente a lui, e lui si dedicava sempre a me. Non mi fidavo di nessun'altro, se non di lui.

Ero ingenua. Terribilmente ingenua.

"Ho fame."

Gli diedi uno sguardo, confusa. Mi ero persa tra i pensieri, e non capivo perché stesse guardando proprio me.
Al tavolo, i suoi genitori stavano bevendo del vino sanguigneo dai loro bicchieri. I fratelli minori, invece, giocavano con il cibo nei loro piatti, non curanti di ciò che stava succedendo.

"Ho fame, Kaede. Dammi da mangiare."

Ancora lo guardai, ancora senza rispondere nulla. Cosa voleva dire?
Diedi uno sguardo veloce al principe minore, cercando aiuto. Cercavo una risposta, una guida, una mano, qualsiasi cosa che mi avrebbe tirato via da quella situazione. Le gambe mi tremavano, il cuore batteva all'impazzata. Cosa vuol dire che aveva fame? In che senso dovevo sfamarlo? Cosa vuol dire, perché nessuno dice nulla?
Perché il Re non alza la testa?
Perché la Regina non obietta le parole del figlio?
Ho solo tredici anni, io e Yuki avevamo la stessa età. Come mai hai anche solo pensato di sfamarti di una bambina?

Ma in quel momento, nonostante il mio gran cercare aiuto, non ricevetti nulla. Nessuna risposta, nessuna occhiata, nulla di nulla. Un silenzio totale, rotto dallo schiocco delle dita di Hibiki davanti al mio viso.

"Non.. non capisco.." risposi, con un filo di voce. Oh, povera me. Non sapevo cosa mi sarebbe aspettato..
Nella sua perfida mente, già mi immaginava su un piatto, con una mela in bocca e nuda, come mamma mi ha fatta. Ha sempre avuto quel desiderio, infondo nel suo cuore, da quando mi ha visto. Ne sono convinta. A volte, mi chiedo, se il motivo per cui mi abbia salvata, fosse stato quello.
Carne fresca da macello, con due cose che potevano soddisfare un uomo all'infinito: sangue e buchi caldi.

"Andiamo. Si che hai capito. Tieni, usa questo, e versalo qui.", indicò una ciotola, posta a terra, davanti a me.
..mi diede un coltello, in mano, con la sua solita gentilezza. In viso aveva un buon sorriso, tipico del giovane vent'enne qual  era appena diventato.

Io presi la lama, con le mani tremanti. La guardai, per poi guardare lui. Poi di nuovo la lama, poi lui, poi la lama, poi lui, poi il mio braccio.
Aveva allungato le mani, alzandomi la manica dell'abito. Sentii un piccolo suono di sorpresa, della bimba, alla vista della mia pelle bruciata.
Le cicatrici si erano chiuse da poco, ormai sembrava che non avrebbero più sanguinato. Ma non era questo il caso.

"Cosa.."

"Non ho intenzione di morderti. Almeno, non ancora. Non fino ai tuoi.. facciamo sedici. Sedici anni vanno bene."

Sedici anni..
Davvero la mia dignità era dettata da un numero così piccolo?

E guardai lui. Poi la lama, sempre più vicina al mio braccio. Poi lui, che mi teneva la mano con il coltello, tenendo la punta sulla pelle. Poi la lama, poi lui, poi la lama, poi lui, il mio cuore andava a fuoco. La vista era scura, tutto girava, ma lui mi teneva salda in piedi, con le sue braccia. La presa faceva male, e guardavo lui, poi lei, lui, lei, e lui premeva sempre di più, e lui sgorgava, lei lo aiutava, lui usciva dal mio braccio come una fontana, in quella piccola ciotola a terra. E poi lui, e il suo sguardo affamato, non vedevo più mio fratello, ma il metallo che creava linee sulla mia pelle, il fuoco non era bastato? Perché il metallo mi fa questo, perché tu mi fai questo? E lui, e lei che uno, tre, cinque e dieci il mio braccio è ormai pieno, come lo è la ciotola, ormai fluiva sul tappeto, e il Re si lamentava, perché il sangue è difficile da pulire. E lei, e lui che beveva, e io con lei in mano, l'abito ormai appesantito dal liquido, bagnato, e le scarpe nuove sporche, macchiate dalla sua fame, macchiate dalla sua voglia di potere.

E poi lui, felice e soddisfatto, che beveva e mangiava, e conversava con il padre. E io, con lei in mano, ferma accanto a lui, e lei non era più in mano, era a terra. La mano tremava, come le gambe, il petto, le braccia, non erano dieci, erano tanti, tantissimi, mi occupavano tutte le braccia, le gambe, lo stomaco, ovunque ci fosse pelle, li c'erano loro, e c'era anche lui, a bere insaziabilmente, per sfamare questa fame ingorda, che voleva sempre di più, sempre di più.

E il Re si lamentava delle macchie sul tappeto. Ma io ero una macchia, a terra, sul tappeto, a tremare. Era stato tutto troppo veloce, non capivo. Non capivo perché facesse tutto così male.

Non dovevi essere, tu, mio fratello?

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 20, 2023 ⏰

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