11. Incubo

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Matilde non riuscì a fermare le lacrime che iniziarono a scendere dal suo viso.

Era fuggita ancora, di nuovo aveva avuto paura di quel calore che sentiva, del cuore che batteva fuori ritmo, e sopratutto del modo premuroso in cui Charles l'aveva trattata.

Si rannicchiò nel bagno e prese a singhiozzare.

Per troppo tempo aveva fatto finto di niente, si era sempre giustificata con tutti dicendo che non aveva tempo per un ragazzo, che doveva studiare, e visti i suoi ottimi risultati aveva finito per crederci anche lei. Si rendeva conto però che per anni e anni aveva sepolto tra i libri la sua paura di non essere abbastanza per nessuno, lei che non conosceva altro che le mani ruvide di suo padre addosso, le mani di quando la sfiorava e la toccava in modo osceno.

Le faceva schifo sentire ancora quella sensazione sulla pelle, quel sentirsi sporca e violata, in balia di un uomo che avrebbe dovuto amarla e invece la tradiva e la usava quando tornava troppo ubriaco, troppo arrabbiato, troppo chissà cosa per giustificare quegli abusi.
Aveva nelle orecchie la sua voce roca che la insultava, e nel naso il puzzo di sigarette, la cosa peggiore però erano le sue mani grandi che stringevano il suo corpo di bambina, sentiva ancora la paura e il silenzio assordante imposto da una madre che non le aveva mai creduto.

I sogni e le favole per Matilde bambina si erano infranti lì, in quelle notti insonni di quando aveva solo 11 anni.

Era lì che lei si era rotta. Spezzata. Inghiottita da quella casa, e da quel silenzio.

I nonni materni l'avevano presa con loro quando i suoi genitori avevano finalmente divorziato e anche sua madre era sparita dalla circolazione, ma mai nessuno aveva saputo niente di quell'incubo.

E lei di certo non voleva trascinarci dentro nessun altro.

Non avrebbe permesso a Charles di rovinarsi con una come lei.

Pianse in silenzio ogni lacrima che aveva, poi dovette trovare il coraggio di uscire da quel bagno, si guardò nello specchio e si sciacquò il viso: i suoi occhi rossi non avrebbero mentito, ma si risistemò il camice ed tornò nella sala del personale.

"Ehi, Rinaldi, ti fa questo effetto Leclerc?" Ridacchò il suo collega Roberto, non appena la vide.
"Smettila non ho voglia di parlare" e prese una tazza di caffè.
"Ci ha chiesto di te mille volte e poi ti fa piangere?" Continuò imperterrito
"Smettila te lo ripeto"

L'attenzione degli altri colleghi fu richiamata dalla plateale uscita di Roberto, che alzò perfino il tono di voce:
"Charles Leclerc, il sogno proibito di tutte le donne, prima conquista e poi abbandona"

"Roberto, Charles non ci incastra nulla con i miei occhi rossi, sono solo stanca"

"Siamo già passati al chiamarlo per nome..." disse malizioso
"Smettetela" Matilde sbatté la porta e tornò al suo giro tra i pazienti.

Roberto però aveva ragione, lo aveva chiamato per nome di fronte a tutti, e lo aveva fatto con la naturalezza di chi ha superato il rapporto tra medico e paziente.

L'unica che doveva assolutamente smetterla, era lei.

Spazio autore <3

Vi confesso di aver scritto questo capitolo di getto. L'ho controllato un paio di volte e poi pubblicato, scusatemi se è un po' più breve, ma essendo un capitolo fondamentale per il continuo della storia non volevo renderlo troppo complesso.

Vi chiedo di lasciare una stellina o un commento se volete, ci tengo tantissimo che la mia storia vi piaccia!!!

See you soon.
Suoki

Ps. Tante good vibes per le qualifiche e gara di Charles in Austrialia. Ne ha bisogno!

Le favole NON esistono - Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora