♡Capitolo 7♡

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Diego's pov

Non ci posso credere.

Non ci posso credere.

In tutti questi anni ho vissuto nella menzogna, come posso non aver mai notato Alessandro per i corridoi.
Prima pensavo di avere avuto un allucinazione, ma poi l'ho rivisto in giardino.

"Diego come è andata la serata ieri? Ti ho visto impegnato con una bella tipa" Mi chiede Salvatore

"Hai visto il nostro amichetto come si diverte, sono proprio fiero di te!" Esorta un altro compagno.

Io non li ascolto, sono intento a osservare Alessandro rientrare in classe, così come se non fossi io a camminare lo seguo evitando la domanda che mi era stata posta.

"Devo andare, vi aspetterò in classe"

"Ma come? Ci lasci così? La ragazza di ieri ha detto che te la sei data a gambe come un coniglio... ma non ce bisogno di vergognarsi" Ridono tutti.

Entra in bagno, aspetto 10 secondi e faccio lo stesso e lo trovo con la schiena appoggiata al muro mentre guarda il cellulare, alza lo sguardo e lo riabbassa all'istante. Faccio finta di niente, vado al lavandino e mi inizio a lavare le mani, lui si avvicina e fa lo stesso.

"Da quanto suoni il pianoforte?" Lo dice con un tono di voce così basso che probabilmente non si aspettava che lo sentissi.

"Da quando ho 5 anni, me lo ha insegnato mio nonno"

È da tanto tempo che non ci penso, da quando mio nonno non è più al mio fianco, ma sarebbe fiero dei notevoli passi avanti che ho fatto nella vita.
La musica è stata sempre un argomento che ci ha unito, parlavamo ore ed ore di quali note usare per un determinato brano o di come poter al meglio suonarlo insieme. Nella sua casa aveva due grandi pianoforti vicini e ci divertivamo a fare a gara chi interpretasse al meglio la melodia, era difficile da battere, ma non nego di esserci riuscito. Uno era bianco e uno nero, perché gli ricordavano lo Yin-Yang e il suo meraviglioso significato, per lui rappresentava la perfezione e la completezza.
Era una persona speciale, perché oltre alla musica mi insegnò anche come vivere, come non avere pregiudizi, come fallire e come vincere. Mi manca e ogni nota la dedico sempre a lui.

"Sei bravissimo, Beethoven non è facile e la tua interpretazione è stata a dir poco fenomenale" Non posso non notare le sue guance che si colorano di rosa.

"Grazie e non è facile neanche riconoscere un artista di questo calibro, come sai che è una mia interpretazione"

"Mio padre è ossessionato dalla musica classica, ho passato l'infanzia ad ascoltare in macchina tutta la sua playlist e il tempo restante a sentirlo parlare di come non ci siano più i musicisti di una volta"

"Su questo sono d'accordo"

"Secondo me invece si sbagliava"

"Perché?" Chiedo con faccia incuriosita.

"Perché se fossi nato 300 anni fa mio padre ora si starebbe sentendo la Sinfonia n.5 di Diego Diàz"

"Ma non scherzare"

"Sono serio... hai un vero e proprio talento"
E dentro di me sento un calore nascere nel profondo, tutto sembra infuocarsi, un brivido mi percorre la schiena, ma è piacevole, mai provato prima.

Mi allungo per prendere il sapone dal dispenser, ma noto che anche lui ha avuto la medesima idea e così le nostre dita si toccano per un istante perché entrambi tiriamo indietro velocemente la mano. Un istante, un semplice tocco, che però ha amplificato la sensazione di poco prima. Mi giro e lo becco a fissarmi e ci blocchiamo. Credevo che degli occhi così espressivi li potesse avere solo una donna, ma mi sbagliavo, perché questi sembrano chiamarmi.
Se ieri il tempo è durato a lungo, adesso vorrei che continuasse ancora per un po', giusto il tempo di riuscirgli a leggere nella mente, per capire se non mi stia immaginando tutto.
Veniamo interrotti da una porta che si spalanca, un suono che assomiglia ad un tuono in una giornata di sole. Ci ristabiliamo come se non fosse successo nulla, Alessandro si asciuga le mani e fa per andarsene, ma prima mi passa vicino per sfiorarmi la spalla, un altro piccolo contatto, un'altra piccola scintilla che si accende dentro di me. Ho bisogno di rinfrescarmi il volto, di ritornare in me stesso, di cambiare espressione e di tornare il Diego spavaldo di poco fa. Devo farlo se no cado a pezzi qui e alla prossima persona che entrerà e mi chiederà se sto bene penso che scoppierei a piangerle davanti, perché credo di essere impazzito, di avere qualcosa che non va. Prendo coraggio ed esco anche io, destabilizzato è la parola giusta per descrivermi, ma prima di ritornare in classe mando un messaggio a Teresa.

"SOS doposcuola vieni a casa mia" le prime tre lettere indicano uno stato di totale emergenza.

"Che succede?" Ho urgente bisogno di parlarle, di capire, di trovare una soluzione.

"Ti spiegherò tutto dopo, ora non saprei farlo"

"Va bene" leggo e spengo il telefono.

Tutto questo non ha senso.
Non deve avere senso.
Le restanti 3 ore di lezioni le passo scrivendo note sul pentagramma, componendo ciò che provo in questo momento, unica valvola di sfogo, magari suonando saprei esprimere meglio i miei sentimenti. Note basse e alte che si alternano proprio come la dualità del mio animo in questo momento.

● Angolo Autrice ●
Vi è piaciuto il capitolo?
Fatemi sapere cosa ne pensate e ringrazio moltissimo chiunque dedichi il suo tempo alla mia storia.
Vi mando tanti bacioni, alla prossima🙋🏻‍♀️

@libri_uguale_vita su IG

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 15 ⏰

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