Capitolo 23

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Per questa notte non ci siamo per nessuno

Dopo tanto tempo ero ritornato nel suo paese. Poggiardo mi era sempre piaciuto, con Elisa progettavamo di prendere un piccolo appartamentino. I ricordi mi stringono il cuore. Prima di andare in palestra, mi sono soffermato a osservare la sua casa, ormai logorata dal tempo. Dopo la sua morte, sua madre e la sorella se ne sono andate chissà dove. La mia mente è in continuo lavoro, elabora pensieri e supposizioni; sì, perché di certezze non ne ho nemmeno una. Dopo aver finito il mio allenamento, aver salutato tutti stringendo mani e abbracci e dopo aver fatto una doccia veloce negli spogliatoi, raccolgo le mie cose e mando un messaggio a mia madre per avvisarla che non sarei tornato per cena, perché avevo intenzione di uscire in barca; finalmente era tornata a casa e iniziava a stare bene del tutto, almeno potevo avere un pensiero in meno.
La vista di Roberto, di questo pomeriggio, mi ha turbato, il suo sguardo nasconde qualcosa, o meglio i suoi occhi tradiscono le sue parole. Mi ha salutato cordialmente, mettendosi di fianco a me a fare pesi. Ha preso informazioni su come sta mia madre e su come mi sta andando la vita. Ci siamo osservati a lungo, attraverso lo specchio di fronte a noi, non so spiegare se in quel momento ci stavamo sfidando o studiando. Mi sembrava di non riconoscerlo più. L'uomo paffutello che lavorava dietro a quel bancone bar, oggi non esisteva più. Il migliore amico di mio padre, ora era diventato un uomo pompato in tutti i sensi. Si atteggiava come se avesse ancora vent'anni e sembrava come se non avesse subito nessun lutto. È pur vero che ognuno elabora il dolore a modo proprio, ma lui sembra quasi che non gliene importa niente della morte del figlio.

Il sole inizia a tramontare e dopo un energy drink bevuto appoggiato alla mia moto, inserisco la prima e parto in direzione Porto Miggiano. Il mio amico Gabriele, mi aspetta per consegnarmi le chiavi di una sua barchetta, finita di restaurare un mesetto fa. Ho bisogno di fare un giro in mare aperto, di pensare e ragionare da solo con me stesso.

«Credevi di esserti liberato di me?»
La voce persuasiva di Anna giunge alle mie spalle come un vento fresco di primavera. Per tutto il giorno avevo ignorato le sue chiamate, dall'ultima volta nel suo ufficio era passata una settimana e io non mi ero più fatto vivo e quindi era già tanto che fosse da sola e non con una squadriglia di carabinieri pronti ad arrestarmi, pensai prima di risponderle.
«E tu che ci fai qui?» il mio tono di voce è di un tono più alto del solito, voglio sembrare più rilassato possibile, ma non mi riesce per niente.
«Ho sentito che ti piace andare in barca... e volevo fare un giro insieme a te...»
Le sue parole non mi convincono. Aveva per caso messo sotto controllo il mio telefono?
«Dimmi la verità, mi stai spiando?»
Anna sorride e solleva sulla fronte i suoi occhialini da sole. Ormai le luci della sera iniziavano ad accendersi.
«No, sono passata a salutare tua mamma... tranquillo non gli ho fatto un interrogatorio! Abbiamo chiacchierato un po' e mi ha offerto caffè e biscotti, i tuoi...»
Le do un buffetto sul braccio e la canzono.
«Mi comprerai una confezione intera di abbracci, se ora che torno a casa non li trovo» mentre ci incamminiamo le indico Gabriele che ci aspetta sotto al gazebo in legno per consegnarci le chiavi.
«Anna, quanti anni, che ci fai qui?»
«Ciao Gabriele, sono qui per lavoro...»
I loro sguardi sono indagatori, si studiano e scrutano a vicenda, nel mentre mi gusto la scena, sento suonare il clacson di un'auto. Cerco di capire chi è, in lontananza non riesco a distinguere bene, aguzzo la vista e vedo il mio avvocato, in jeans e maglietta, affrettarsi a scendere dalla macchina per raggiungermi.
«Riccardo...» si sbraccia per catturare la mia attenzione, sembra non essersi accorto di Anna.
Ma cosa vogliono tutti da me oggi?
Gli faccio segno con il braccio alzato e gli vado incontro.
«Ehi, che ci fai qui?» domando incuriosito dalla sua comparsa.
«Ho delle novità...»
«Avvocato... anche lei qui?» Anna fa il suo capolinea alle mie spalle.
«Pubblico Ministero, che piacere rivederla...»
Gli sguardi dei presenti si incrociano l'un l'altro, studiandosi a vicenda. Nessuno parla più, il rumore delle onde che si infrangono sulla scogliera è l'unico suono percepibile.
«Beh visto che ci siete tutti possiamo andare? O dobbiamo aspettare che arrivi qualcun altro?» cerco di allentare la tensione creata tra i presenti; se qualcuno attaccasse un cavo elettrico credo che si prenderebbe la corrente.
«Pronti...» rispondono all'unisono Anna e Giordano.
Gabriele ci consegna i giubbotti salvagente e mi dà alcune raccomandazioni riguardo il vento.
Saliamo sulla Magica Stella un piccolo gioiellino da settantamila euro nel '90, tutto ristrutturato e reso quanto più moderno possibile. Il frigo è fornito del necessario e io decido di stappare il Sant'Orsola che mi aveva messo a disposizione il mio amico.
«Torneremo domani mattina all'alba, se qualcuno ha qualche impegno lo dica ora o taccia per sempre» dico rivolto ad Anna e Giordano che nel mentre si sono accomodati sul divano.
«Mio marito è fuori e torna fra tre giorni, quindi non ho impegni»
«Io nessun impegno, possiamo andare»
Mentre piloto l'imbarcazione, bevo e guardo l'immensità del mare di fronte a me. Ormai l'acqua è un'immensa chiazza scura, con una spuma bianca ai nostri lati. Anna e Giordano sono alle mie spalle, sorseggiano il loro prosecco senza proferire parola.
«Beh... che mi dite di questa pace?» chiedo io sempre con lo sguardo fisso in avanti.
«È da tanto che non salivo su una barca, di notte poi è tutta un'altra cosa» dice Anna venendo di fianco a me.
Si ode lo squillo di un telefono e io ammonisco tutti e due, ordinando di spegnerlo immediatamente. Per questa notte non ci siamo per nessuno. Saremo noi con i nostri pensieri, qualche parola, le stella e la luna che ci guida sul nostro cammino.

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