Capitolo 29

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Ho bisogno di aria,
di respirare

«Finalmente siete arrivati!» Sentenzia Anna, battendo il dito sul suo orologio da polso, appena varchiamo il portone d'ingresso.
«Oggi ha fatto colazione con il limone.» Dico a bassa voce a Giordano.
«Scusaci Anna, non volevamo farti aspettare!» Dice il mio avvocato, facendo finta di non sentirmi.
«Non farla incazzare di più, altrimenti ti tiro un cazzotto!» Mi ringhia a denti stretti e a bassa voce mentre seguiamo Anna, non so dove.
«Non ci offri il caffè prima?» Dico ad Anna stuzzicando il mio avvocato. Non so dove ho preso tutto questo coraggio. È da un po' di tempo che non mi nascondo più, che sto cercando di tornare il rompiballe di un tempo.
Anna si gira e mi fissa con le narici allargate come se fosse un drago pronto a sputare fuoco.
«Ehi, cosa ho detto di male?» Le rispondo come se mi avesse parlato.
Giordano mi dà una gomitata sul braccio e continuiamo a seguirla, fino ad arrivare a una porta di legno massello scuro che apre su una scala. Scendiamo e sembra che stiamo andando nel sotterraneo. "Ma che cavolo ci facciamo qui?", penso, "tutto questo mistero non mi piace. Mi sono fidato di loro e loro non mi stanno dicendo tutto, sento che mi stanno nascondendo qualcosa."
Siamo nel sotterraneo che sembra una seconda casa, anzi sicuramente è una taverna adibita alle feste. C'è un tavolo da biliardo nel mezzo, un divano angolare in tessuto blu notte, un televisore che dovrebbe essere minimo un cento pollici e un bancone bar. Proseguiamo dritti, mentre continuo a osservarmi intorno. Anna apre un'altra porta, questa volta entriamo in una stanza piena di postazioni per i computer. L'unica illuminazione è quella del monitor di cinque computer allineati uno di fianco all'altro.
«Eccoci, siamo arrivati!» Esclama Anna in tono freddo.
Continuo a guardarmi intorno come un bambino al luna park, non notando l'uomo che si è alzato non appena ha sentito la voce di Anna.
«Mi spieghi che cazzo significa tutto questo?» Ringhio a denti stretti, come a voler farmi sentire solo da Anna, ma lei nemmeno mi calcola dicendo all'uomo di accomodarsi.
«Alessandro prego, mostraci ciò che hai scoperto.» Anna si posiziona alle spalle dell'uomo e noi facciamo lo stesso.
Sullo schermo del computer compaiono diverse foto, alcune appartenenti al repertorio della scientifica scattate sul corpo del dottor Congedo, altre sembrano raffigurare un corpo carbonizzato e altre che sembrano invece cercate su Google con descrizione annessa. Il mio sguardo va da un'immagine all'altra per poi spostarsi sullo sguardo di Anna e del mio avvocato.
«Queste immagini Riccardo non dovrebbero essere nuove per te!» Esordisce Anna.
«Non so cosa vorresti insinuare.» Le rispondo guardandola in volto.
«Abbiamo scoperto che dietro a questo marchio c'è un "associazione", se così possiamo definirla.» Anna si interrompe cambiando la diapositiva del computer da un telecomandino che prima non avevo notato.
«Questo segno…» Anna lo indica con una bacchetta di plastica nera. «Già lo conosciamo. È il morso del diavolo. Questo è il simbolo, abbiamo scoperto, di un'associazione che effettua riti satanici. Il loro nome è "Sostenitori dello Spirito, invocatori della Luce"...» Anna si gira verso di me continuando a parlare. «Abbiamo anche scoperto che a capo di questo gruppo c'è una donna. Che all'epoca della nascita del gruppo stesso era solo una ragazza adolescente. Abbiamo anche degli elenchi con i partecipanti, sono tutti nomi di fantascienza, ma con lui…» Indicò l'uomo seduto di fronte al computer. «Che è un hacker di successo, riusciremo anche a risalire ai loro nomi originali.»
Lo sguardo mi cade sull'elenco dei nomi riportato sul computer. Ci sono ancora come membri: "Angelo Ribelle e Corvo Nero", sgrano gli occhi. Perché comparivano tra i primi nomi iscritti? Ricordo ancora quel giorno, quando nel bar di Roberto ci iscrivemmo a questo gruppo attraverso questi nomi. Le nostre sfide non furono tante, perché poco dopo Elisa morì.
«Questo gruppo ha operato tra ragazzi di età compresa tra i quattordici e i vent'anni. Organizzavano sfide di coraggio fino a più o meno cinque anni fa, poi sembra come se si è interrotto, non ci sono attività fino a un anno fa più o meno.» Anna continuava a parlare, ma la mia mente ormai era appannata dai ricordi.
«C'è una cosa che voglio chiederti però Riccardo, dovrai rispondere sinceramente. Tu sai chi era che c'era o meglio dire c'è a capo di questo gruppo? Anche sul corpo di Elisa, esaminando nuovamente l'autopsia è emerso che c'è lo stesso simbolo trovato sul corpo del dottor Congedo. Quindi siamo arrivati a conclusione che la sua morte non è stata casuale, ma qualcuno la voleva morta.» Anna conclude di parlare e le mie gambe non reggono. Mi appoggio al tavolo e cerco di prendere fiato, sembra come se mi avessero conficcato un coltello a lama grossa nel cuore.
«Io… no, non so, non ho mai saputo chi ci fosse dietro a questa associazione. Ci mandavano delle mail oppure messaggi da un numero privato. Non ho mai visto però le persone che gestivano questa "setta".» Ho il fiato corto, non riesco a pensare, riflettere, ragionare.
«Abbiamo condotto anche altre ricerche!» Afferma Anna guardandomi. In quella frase è nascosta la verità me lo sento. Ma sono veramente pronto a scoprirla? Il mio cuore e il mio cervello sono pronti a ricevere un eventuale verità?
«Continua…» Le dico cercando di respirare normalmente.
«Ricapitolando…» Anna fa uno schema sulla lavagna luminosa di fronte a noi. In cima c'è il nome di questo gruppo setta, sotto c'è il nome di una donna che a me non dice niente “Melissa Ronchetti”. Sotto il nome “Elisa Rosato” e sotto ancora “Dott. Congedo”, di fianco staccato da ogni nome “Marco Storace”. Perché compariva anche il nome di mio padre?, prima pensai e poi domandai.
«Perdonami Riccardo…» Il mio avvocato mi guardava come un cerbiatto impaurito.
«Perdonarti cosa?» Non riuscivo proprio a capire.
«Ti ricordi di quei mozziconi di Marlboro trovati nel garage dopo che tua madre fu portata all'ospedale?»
Sì, ricordavo bene quei mozziconi.
«Gli ho dati ad Anna per analizzarli!» Afferma il mio avvocato. Cerco di afferrarlo per il colletto e sbatterlo sulla scrivania, come si era permesso? Gli avevo chiesto di aiutarmi, ma non così.
Anna si mise in mezzo e spinse sulla sedia alla mia destra. Ci caddi sopra, avvolgendo la testa tra le mani.
«Riccardo, calmati! Ascolta cosa abbiamo scoperto.» Anna poggia le sue mani sulle mie spalle e io alzo il volto per osservare ciò che ha da dirmi.
«Il DNA trovato sulle sigarette ha delle molecole compatibili con il DNA di Elisa, stiamo analizzando meglio, ma potrebbe essere un padre, una sorella o un fratello. Dovrebbero arrivare a momenti i risultati.»
«Il padre di Elisa ha abbandonato lei e sua madre prima che lei nascesse!» Affermo con voce ferma.
«Sai se aveva sorelle o fratelli?»
«No, che io sappia era solo lei e sua madre. Solo una volta ho visto una ragazza che mi sembrava la gemella di Elisa, ma lei non volle aprire discorso e io non insistetti.»
«È arrivato il risultato!» asserì l’uomo di fronte al computer.
«Pronti a scoprire chi è?»
No, non ero pronto, però volevo e dovevo sapere.
Vedo Anna che inizia a tracciare una linea sotto il nome di mio padre, successivamente scrive il mio nome e sotto il mio nome compare quello di Elisa e un altro “Valeria Rosato”. Sorella di Elisa. Perché io non conoscevo la sua esistenza? Perché me lo aveva tenuto sempre nascosto? Perché mi aveva sempre detto che erano solo lei e sua madre?
Valeria era più grande di lei di tre anni. Ma la domanda che mi uscì ad alta voce fu, perché i nomi venivano scritti sotto quello di mio padre e il mio?
«Riccardo, mi dispiace molto, ma loro sono tue sorelle.»
Sorelle? Mio padre è stato sempre un porco e un violento, ma non credevo tradisse anche mia madre. La rabbia prende il sopravvento e un impeto getto all’aria una fila di sedie di plastica al mio passaggio. Ho bisogno di aria, di respirare.

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