Capitolo 1

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Sembra di vedermi ancora lì: che a soli 3 anni piango tra le braccia di mia madre che cerca di tenermi su un solo braccio con fatica, mentre nell'altro porta una valigia; anche lei piange, ma di gioia perché aveva finalmente fatto quello che aveva sempre sognato di fare: partire e andare lontano. Non aveva una meta, voleva solo andare lontano da tutti i suoi problemi.
Lontano dalla sua casa, lontano dalla sua famiglia, lontano da quello stronzo che aveva sposato, voleva una nuova vita.
Mamma non aveva un buon rapporto con i genitori: non la volevano più vedere dopo che lei era scappata di casa a 16 anni per andare a Woodstock ed era rimasta incinta di me da un uomo di 30 anni. Per darmi una famiglia sposò quell'uomo ma le cose non andarono bene e si separarono dopo neppure un anno.
Quando decise di partire non aveva nessun posto dove andare e così giravamo per giorni a bordo della sua piccola auto in cerca di una vera casa.
Ricordo che per qualche tempo andammo a stare da una sua amica, che aveva un letto libero. Però la cosa non durò molto e tornammo a girare il mondo su quella piccola auto, trasferendoci continuamente.

Ed eccomi qui, Vanille Beth Floyd. Nonostante tutto, ricordo di aver passato un'infanzia felice. La mia non era solo una madre, poteva diventare anche una vera amica: con lei mi potevo confidare e mi dava tanti consigli.
Quando prendemmo un appartamento fisso mi iscrissi in una stupida scuola piena di persone finte e superficiali: loro non ci comprendevano e ci consideravano strane, spesso venivo presa in giro per via di come si vestiva mia madre (era hippie ed aveva dei capelli lunghissimi e spettinati, portava vestiti con fantasie psichedeliche ed era sempre scalza o con i sandali) ma io me ne fregavo.
"Tu sei forte, noi siamo forti, fregatene di tutto" mi ripeteva mamma, ed io così facevo.
Spesso rimanevo isolata ed un po' mi rattristavo, ma a volte sei più sola insieme a persone superficiali come loro che quando sei sola veramente.
Io stavo con mia madre e non avevo bisogno di amici, lei mi bastava; ci divertivamo come amiche e ci raccontavamo tutto a vicenda, la consideravo una migliore amica più che una madre.

Tutto cambiò nell'estate dei miei 13 anni, quando improvvisamente lei morì.
Aveva una grave infezione ai polmoni e non aveva mai voluto dirmelo, non se ne curava tanto perché odiava i dottori e non voleva andare mai in ospedale, così l'infezione era aumentata e diventava sempre più forte, fino ad ucciderla.
Scoprii tutto al ritorno da scuola: delle persone, credo fossero poliziotti, mi vennero a prendere e mi portarono in ospedale, poi lì i dottori mi spiegarono tutto.
Non so per quanto tempo rimasi abbracciata a quel cadavere, forse ore. Urlai cose tipo "dovevi essere forte, tu sei forte, noi siamo forti!"
Ma non piansi.
Io ero forte.
Sapevo nascondere il dolore.
Non avevo parenti che potevano tenermi, o meglio, li avevo: i miei nonni, solo che loro non volevano tenermi. Così mi portarono in uno stupido istituto, pieno di altre persone finte e superficiali.
Odio profondo.

Fortunatamente, potei portare con me tutti i nostri ricordi: i nostri libri, i nostri cd, le sue chitarre ed il gatto.
Quell'istituto era schifoso, pensavano che fossi una satanista perché il mio gatto era nero e per via della musica che ascoltavo..cosa c'è di satanico nel Rock? La musica più bella del mondo.
Ma come ho detto prima, le persone erano finte, false.
Pian piano mi dovetti abituare, ma era una merda. Sgobbare e pulire tutto il giorno i cessi dell'istituto non era per me. Le altre ragazze erano false, e psicopatiche. Se non stavi attenta lì dentro, potevi finire male.
La regola principale era che non potevi socializzare con nessuno, niente amori, niente amicizie.
Non c'era uno stereo e non potevo ascoltare la musica, ne potevo suonare. Impazzivo lì dentro.

Un giorno mi avevano dato l'incarico di pulire e ordinare la soffitta e mentre mettevo a posto alcuni scatoloni trovai una scaletta, che portava sopra il tetto, in un'altra stanzetta sopra la soffitta.
Era un buco più che una stanza. Mancavano alcune tegole e si poteva vedere il cielo, mi piaceva.
Iniziai ad andare più spesso lì, stare sola in silenzio a guardare il cielo era fantastico, mi mettevo a scrivere qualche testo per delle canzoni perché mi metteva molta ispirazione.
Nessuno sapeva dell'esistenza di quel luogo, era mio, era il mio segreto. Lì potevo finalmente piangere senza che nessuno mi vedesse.
Cazzo mamma, mi mancavi da morire in quel periodo.
Tu eri la ragione dei miei sorrisi,
Eri quella che mi faceva sentire amata,
Quella che sapeva sempre come tirarmi su il morale,
Quella che per me avrebbe fatto qualunque cosa,
Tutto ciò di cui avevo bisogno,
Ed ora mi ritrovo qui, in questo posto di merda, in questo posto finto, falso.
Da quando non ci sei più io non credo più in qualcuno.
(S)fortunatamente i miei pensieri vennero fermati dalla voce di una suora che urlava "Floyd! Floyd!" Già, erano le 21 e dovevo tornare sotto, alle 21 in punto tutte dovevano essere a letto.
Scesi e la guardai con aria strafottente, infastidita.
"Vanille Beth Floyd! Non ti sei presentata a cena, dov'eri!?"
"Uhm, in soffitta, a pulire"
"Che questo non succeda più!"
Senza rispondere andai nella "camera" assegnatami e mi misi a dormire, che era la cosa migliore.

•Runaway• || Johnny DeppDove le storie prendono vita. Scoprilo ora