Capitolo II - La Verità sul piatto d'argento

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   Eleanor si era pentita in fretta di aver concesso all'ex-marito una mano per le indagini, ma non poteva certo dirgli di no: in fondo era stata lei a chiedergli di risolvere l'intricato rompicapo.  Scorrere tutte quelle immagini per ore, senza neanche capirci qualcosa, dopo un paio di ore divenne fiaccante. Gli occhi le bruciavano e appena li distolse cominciarono a lacrimare; maledisse mentalmente l'orologio che non si era fermato e dalle sei di sera segnò in fretta la mezzanotte. Jake stava di spalle a lei, lavorando anche lui sulle fotografie. «Ehi, Jake» disse richiamando la sua attenzione. «Sì?», «Tu hai trovato qualcosa?», «No». Eleanor non se la sentì di continuare la conversazione, tra le risposte monosillabiche dell'ex coniuge e la stanchezza che la prendeva sempre più. «Puoi andare nella camera degli ospiti, se vuoi. Non c'è nessuno» le propose lui. Eleanor lo ringraziò e si andò a coricare. La sua vecchia casa almeno era tenuta ancora decentemente, pensò mentre si guardava intorno, salendo le scale. 

  Hopper continuò il suo arduo lavoro, dopo aver visto la figura della Blake sparire al piano superiore della loro villetta in periferia. Dopo aver conosciuto la giovane indiana, voleva aiutarla, poiché credeva fermamente in ciò che Dhara diceva. Doveva spostare la sua attenzione su gli altri sospettati. Sarebbe partito dal fratello della vittima, interrogato solo perché testimone: pensò al detto "parenti serpenti", nessuna famiglia era perfetta, la perfezione è la finzione. Perfino lui e suo fratello maggiore Harry Jr si scannavano a vicenda ogni volta che si vedevano. Sicuramente sorella e fratello avevano problemi di un qualche genere. Potevano essere soldi, potere o amore: i tre moventi possibili. Era più ragionevole la questione dei soldi: la sorella non aveva particolari posizioni di spicco, né pensò che uno dei due potesse essere coinvolto in qualche strana relazione. «Domani io e Matthew Coleman ci faremo una bella chiacchierata» disse, chiudendo in una busta tutti i fogli sparsi per terra, prima di ritirarsi nella sua stanza.  

  Sapeva che dopo la battuta sulla questione dell'amante, Price lo avrebbe fulminato a vista: non gli avrebbe mai dato l'indirizzo di Coleman, né si sarebbe offerto di accompagnarlo. Una volta gli aveva detto: «Sa, Hopper, la gente qui farebbe la fila per metterle le manette: veda di non darmi una buona ragione per scegliere con la fortuna chi sarà a farlo». Sicuramente ora non avrebbe più potuto attuare la sua minaccia. Tuttavia, la reazione fu delle più scontate. «Mi rifiuto, Hopper! Mi rifiuto!» esclamò l'Ispettore. «Eddai... Farò tutto da solo, ma almeno mi dia una mano!» gli rispose Hopper a mo' di supplica. «Potrei arrestarla», «Non lo farà», «Sicuro?», «Come il fatto che mi chiamo Jake Hopper e sono nato a Glasgow». Si guardarono in cagnesco alcuni secondi, poi l'Ispettore borbottò un: «Vive a Kennington Road, 141». Così, Jake prese il primo taxi che si fermò, osservando le grigie case di quel grigio giorno londinese. 

  Gli venne a aprire un uomo sulla quarantina, capelli castani, occhi grigi ma attivi che tuttavia dimostravano un'immensa tristezza. Non sapeva che motivo attribuire a quell'aria malinconica; ma avrebbe potuto perfettamente pensare che fosse per la morte di Sarah, se non che aveva studiato a lungo quel genere di espressioni, e la malinconia era per tutt'altra ragione. «Chi è lei?» chiese Matthew Coleman stupito. «Non parlerò con la Stampa, l'ho già detto un centinaio di volte a un centinaio di giornalisti diversi. Lasciatemi in pace». «Signor Coleman, non sono un giornalista. Mi chiamo Jake Hopper e sono stato chiamato da Scotland Yard per risolvere l'omicidio di sua sorella. Mi permette di entrare?» chiese, ma senza neanche attendere risposta si diresse verso la cucina. «Credo mi preparerò un tè, se non è contrario». «Faccia pure. Cosa vuole sapere? Ho già detto tutto all'ispettore Price. Non credo di poter essere molto d'aiuto senza ripetere cose che già sa». «Sì, ma tra me e Price non scorre buon sangue. Preferisco sentire la sua versione, direttamente da lei, per cortesia». Matthew prese aria, prima di ricominciare il racconto. «Va bene. Io e mia sorella eravamo molto legati. Forse non l'esempio perfetto d'affetto fraterno, ma comunque non litigavamo spesso, se non per stupidaggini. Quando mi hanno detto che era morta, non ho saputo cosa dire. Ero veramente spaesato. E poi ho saputo della giovane che ospitava». Hopper lo squadrò da capo a piedi. «Lei mente. Mente come mia figlia che mi dice che è a studiare e invece è uscita con le amiche». «Ma... è la verità!», «Lei mente, spudoratamente, e vorrei sapere cosa mi nasconde». Coleman era rosso di faccia, scioccato, rabbioso e confuso. «Ma...», «Oh, la smetta! Mi dica la verità. E si muova, non ho tutto il giorno, sa?». L'altro serrò le labbra. «D'accordo. Le dirò cosa è successo l'ultima volta che ho incontrato Sarah». 

«Avevamo litigato» incominciò. «Non sono una persona molto capace di gestire un patrimonio. Ho la brutta abitudine di scommettere all'ippodromo e alle carte. Sarah lo sapeva. Ora, mia sorella era vedova e senza figli: nel momento in cui sarebbe venuta a mancare, io sarei diventato automaticamente l'unico beneficiario di tutti i suoi affari e del patrimonio. Ma era stata chiara, non avrei visto una sterlina. Né avrei mai dovuto lavorare con Nicolas Johansen. Pensava fosse un uomo pericoloso. Non so se intendesse che era violento, forse è stato lui a ucciderla. La prego, indaghi su di lui». «Grazie, signor Coleman, mi è stato di grande aiuto. Le auguro una buona giornata» rispose uscendo dalla porta Hopper. 

  Ovviamente andò a trovare il signor Johansen. Il quale alla sua domanda: «Lei e la sua socia andavate d'accordo?» rispose con un: «Caro signore, le avrei dato fuoco!» convinto. «Dovevo tornare a casa - gli spiegò - Sa, mia madre sta male. Mi avrebbe escluso dagli affari se avessi messo anche solo un piede su suolo svedese, parole sue! Aveva qualche cosa in corso e dovevo farle da accompagnatore il mese prossimo. Non potevo rifiutare, sa: dipendevo molto dagli affari che chiudevamo». «Di che genere di affari parla?», «Non credo che la riguardi». Si capiva che non scorreva buon sangue tra l'inglese e lo svedese. Non volle approfondire la questione, perché l'uomo si calò in un silenzio scontroso e tacque finché lui non uscì dalla stanza in cui albergava. Avrebbe dovuto entrare nel dettaglio di quella situazione tra la vittima e il socio, ma temporaneamente avrebbe continuato le sue indagini in altra maniera. 

  Fuori dal Ritz Hotel, dove alloggiava Johansen, trovò Eleanor con un taxi ad aspettarlo. «Che ci fai qui?» le chiese. Non le aveva detto dove si trovava. Probabilmente aveva chiesto a Price. «Sono qui per portarti una novità. Ho trovato qualcosa tra i registri di Scotland Yard: un agente è il mio nuovo fidanzato. Pare che la nostra vittima, dieci anni fa, sia stata l'artefice dell'omicidio di una bambina di quattro anni, Kia. L'ha investita con l'automobile. Non si sa null'altro: la denuncia è stata anonima e senza la testimonianza della madre, che è sconosciuta, il caso è stato archiviato e dimenticato da tutti. Magari qualcuno l'ha scoperto e ha vendicato la bambina. Cosa ne pensi?». «Dico che è plausibile. Grazie, Eleanor» la ringraziò Jake. Questa nuova informazione stava aprendo più porte di quanto Jake e Eleanor potessero immaginare: solo, non lo sapevano ancora.  

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